I rapporti tra la Chiesa Cattolica e l’ebraismo

I rapporti tra la Chiesa Cattolica e l’ebraismo

Pochi sanno che nella chiesa di San Gregorio della Divina Pietà, che è situata nel rione Sant’Angelo a Roma, proprio alla destra della Sinagoga, erano tenute le prediche obbligatorie imposte, durante il Regno Pontificio, agli ebrei per la loro conversione. Questa prassi oggi quasi non è comprensibile ai più ed è criticata da molti ma, allora si fondava sulla Bibbia e, fra i tanti su versetti come il seguente: “Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle; essi andavano per una strada non buona, seguendo i loro propositi, un popolo che mi provocava sempre, con sfacciataggine” (Isaia 65, 2-3; Bibbia CEI 2008). Cosa è cambiato rispetto ad oggi?

La risposta, sotto molti aspetti, si può rinvenire nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane “Nostra Aetate”, approvata dal Concilio Vaticano II nella votazione definitiva del 28 ottobre 1965, con 2041 placet, 88 non placet e 3 voti nulli. [cfr. Enchiridion Vaticanum 1, Documenti ufficiali del Concilio Vaticano II (1962-1965), EDB, Bologna 2006], che è considerata un punto di svolta nel dialogo interreligioso. Nel suo contesto assume infatti un valore fondamentale il paragrafo dedicato a “La Religione ebraica”, nel quale il Concilio, dopo aver ricordato “il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo”, attesta, sulla base della Sacra Scrittura, che “Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata (cf Lc 19,44); gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione (cf Rm 11,28). Tuttavia secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento (cf Rm 11, 28-29). Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce …  (cf Rm 11, 11-32)” (n. 4).

Questo passo della Dichiarazione rimanda in particolare e ripetutamente al capitolo 11 della Lettera di San Paolo ai Romani. Il tema trattato è essenzialmente esegetico, sia per il nesso tra Vecchio e Nuovo Testamento, sia per le responsabilità degli Ebrei nella morte di Cristo.

Dopo molti secoli di antigiudaismo ed antisemitismo cristiano, la “Nostra Aetate” è il primo documento ufficiale della Chiesa Cattolica che parla in modo del tutto amichevole e non polemico dell’Ebraismo, con il quale instaura dunque un dialogo. La Dichiarazione non cancella la millenaria accusa di deicidio, ma la limita al Sinedrio e agli abitanti di Gerusalemme (i “mandanti”) mentre assolve tutti gli altri Ebrei dell’epoca e delle generazioni successive.

Per una concreta attuazione della Dichiarazione si rinvia al documento della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’ebraismo: “Orientamenti e Suggerimenti per l’Applicazione della Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate”, del 1° dicembre 1974.

Senz’altro al primo posto tra quanti hanno scritto sull’argomento, a commento della Dichiarazione conciliare, occorre menzionare gli studi del Card. Agostino Bea, S.J. (cfr., in particolare: Il popolo ebraico nel piano divino della salvezza, in La Civiltà Cattolica, quaderno 2769, 6 novembre 1965, pp. 209-229).

Il Card. Agostino Bea nasce a Riedböhringen (Germania) il 28 maggio 1881, coetaneo, pertanto, del futuro Giovanni XXIII (1881-1963). Novizio gesuita nel 1902, sacerdote nel 1912, completò gli studi alla Pontificia Università Gregoriana nel 1914. Professore di Sacra Scrittura in Olanda dal 1917 al 1921 ed a Roma dal 1924 al 1959, prima alla Gregoriana e poi al Pontificio Istituto Biblico, di cui fu Rettore dal 1930 al 1949. Conosciuto come confessore di Pio XII, carica che ricevette nel 1945 e che tenne fino alla morte del Papa, nel 1958. Elevato al rango di cardinale da Papa Giovanni XXIII nel Concistoro del 14 dicembre 1959. Nel 1960 fu nominato presidente del neonato Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, carica che ricoprì fino alla morte e che lo rese una figura chiave nello sviluppo dell’ecumenismo e del dialogo ebraico-cristiano nella Chiesa cattolica. Morì a Roma il 16 novembre 1968 all’età di 87 anni. La biografia più completa è quella del suo segretario, padre Stjepan Schmidt S.J., Agostino Bea, il cardinale dell’unità (Città Nuova, Roma 1987).

Il Cardinal Bea ebbe il primo incontro al vertice con Nahum Goldmann (1895-1982), presidente del Congresso Mondiale Ebraico, a Roma, su domanda di Bea, il 26 ottobre 1960.

Riportiamo, dal racconto che ne fa il Goldmann stesso (N. Goldmann, Staatmann ohne Staat. Autobiographie, Köln-Berlin, 1970, pp. 378 ss. Cit. da S. Schmidt, op. cit., pag. 356) i passi più significativi: “Mi disse di aver chiesto di vedermi perché il Papa intendeva proporre all’ordine del giorno del Concilio il problema delle relazioni cristiano-ebraiche e aveva incaricato lui di preparare la cosa. (…) Fin dal primo colloquio, egli dimostrò di comprendere profondamente l’importanza storica e politica delle relazioni cristiano-ebraiche; mi manifestò altresì la sua convinzione che in queste relazioni si esigeva un radicale cambiamento da parte della Chiesa, anche se il processo sarebbe stato difficile e lungo. Da parte sua, pur prevedendo una violenta opposizione da parte dei suoi colleghi di Curia, egli avrebbe fatto di tutto per indurre il Concilio ad un nuovo e positivo atteggiamento. A suo modo di vedere, il primo passo doveva essere questo: le organizzazioni ebraiche dovevano inviare suo tramite al Papa un memorandum, chiedendo che il problema venisse proposto all’ordine del giorno del Concilio. Mi pregò di adoperarmi a costituire un unico fronte ebraico (…). Mi pregò in particolare di indurre anche le organizzazioni ebraiche non appartenenti al Congresso Mondiale Ebraico a dare il proprio appoggio al memorandum. Gli dissi che era difficile, e gli feci presente, in particolare, la mia preoccupazione che l’ortodossia ebraica potesse opporsi ad un simile passo presso il Vaticano, il che avrebbe reso la cosa più difficile ancora. Anzi, se ne fosse nata una violenta polemica all’interno dell’ebraismo, il tentativo di avvicinamento si sarebbe risolto a danno delle reciproche relazioni. Ad ogni modo gli promisi di fare tutto il possibile, e di restare in contatto con lui” .

Il Memorandum che il Cardinale aveva richiesto a Nahum Goldmann il 26 ottobre 1960 fu consegnato il 27 febbraio 1962 e presentato dal Goldmann e da Label A. Katz (1918-1975), Presidente del B’nai B’rith International, a nome della Conferenza Mondiale delle Organizzazioni Ebraiche.

Il testo del Memorandum è riprodotto negli Atti del “Simposio card. Agostino Bea (16-19 dicembre 1981)” (Pontificia Università Lateranense, Istituto “Ut Unum Sint”, Roma, 1983, pp. 96 ss.).

Di che cosa si trattava? Bea stesso ne spiega così il concetto: “Si tratta di una iniziativa che intende promuovere il superamento di pregiudizi, sospetti e risentimenti, di qualunque origine essi siano, a mezzo di fraterni incontri ispirati al mutuo rispetto, fondato questo a sua volta sul riconoscimento della dignità della persona umana, dei suoi diritti e doveri, sotto la Sovranità di un Essere Supremo Personale, Dio, Padre provvido e benevolo di tutti gli uomini” (cit. in S. Schmidt, op. cit., pp. 464-470).

Bea fu invitato per la prima volta agli incontri detti di “Agape”, tenutisi a Roma e organizzati dall’Università degli Studi Sociali “Pro Deo”, il cui presidente era il padre domenicano belga Felix Morlion, il 14 gennaio 1962. Si trattava della “VII Agape”, cui parteciparono esponenti di 17 religioni o Confessioni religiose diverse; tema dell’incontro: “Il superamento dei pregiudizi, dell’incomprensione, degli antagonismi nazionali, razziali, religiosi e politici”.

Che Giovanni XXIII approvasse le Agapi, è confermato dal suo appoggio al viaggio di Bea negli Stati Uniti. L’occasione del viaggio fu data da una nuova Agape da organizzare non più a Roma ma a New York e di cui Bea sarebbe stato il Presidente.

Il viaggio durò dieci giorni, dal 27 marzo al 5 aprile del 1963, toccando Harvard, Boston, New York, Baltimora e Washington. Due furono gli incontri significativi, svoltisi entrambi a New York. La sera del 31 marzo Bea si riunì nella sede dell’American Jewish Committee con i rappresentanti delle organizzazioni ebraiche. Il giorno dopo, 1° aprile, ebbe luogo l’Agape, riunendo un migliaio di personalità, tra le quali, oltre a Bea, il sindaco di New York, Wagner, il governatore Rockfeller, il pastore H. P. Dusen (protestante), Rabbi Abraham J. Heschel, professore al seminario Teologico Ebraico, il musulmano Zafrulla Khan ed il buddista U Thant, entrambi delle Nazioni Unite, ed il Padre Morlion. Tema dell’incontro: Civic Unity and Freedom under God. Il rabbino Abraham Joshua Heschel fin dal novembre 1961 fu ripetutamente ricevuto dal Cardinale Bea a Roma e, come collega scientifico ed anche lui esegeta, esercitò un notevole influsso sulla elaborazione della dichiarazione Nostra ætate.

L’impegno di questi protagonisti ha recato un deciso contributo al miglioramento dei rapporti fra cattolici ed ebrei, che deve comunque fare ancora molti passi avanti, da ambo le parti. Come ha ricordato il beato Giovanni Paolo II nel Discorso tenuto nell’Incontro con la comunità ebraica nella Sinagoga della Città di Roma il 13 aprile 1986, tale sforzo appare fondamentale “perché siano superati i vecchi pregiudizi e si faccia spazio al riconoscimento sempre più pieno di quel “vincolo” e di quel “comune patrimonio spirituale” che esistono tra ebrei e cristiani. È questo l’auspicio che già esprimeva il paragrafo n. 4 della dichiarazione conciliare Nostra Aetate. La svolta decisiva nei rapporti della Chiesa cattolica con l’Ebraismo, e con i singoli ebrei, si è avuta con questo breve ma lapidario paragrafo”.

 

CLAUDIO CIANI
in Corriere del Sud anno XX
n. 12/11 p. 3

 

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