SOS SCUOLA, una denuncia sociale

SOS SCUOLA, una denuncia sociale

di Francesco Bellanti

IL LIBRO DI OLGA SERINA

Il libro SOS SCUOLA di Olga Serina è una denuncia sociale, dove l’autrice ha raccontato alcune sue esperienze vissute in veste di docente di Arte e Immagine e di insegnante di Sostegno, nella Scuola Pubblica, per mettere alla luce comportamenti scorretti, esercitati da colleghi, dirigenti, alunni, o genitori e storie di mobbing.

Nello stesso tempo Olga Serina ha raccolto diverse testimonianze da parte di operatori scolastici che hanno voluto mantenere l’anonimato. Avendo toccato un tasto dolente, quello più oscuro che gran parte della gente può riscontrare in ogni ambiente di lavoro.

Questo tema può risultare scottante solo per gli individui ipocriti, responsabili di divisioni e situazioni incresciose.

Il contenuto mette alla luce verità scomode che possono infastidire sia i diretti responsabili, sia tutti quelli che per opportunismo preferiscono ignorare l’esistenza del problema.

A seguire il testo del libro.

SOS SCUOLA
“La scuola di oggi è una fortezza assediata dove gli insegnanti combattono una guerra”
– di Olga Serina

A tutti i docenti affinché ci sia più collaborazione e solidarietà tra di loro, perché l’unione fa la forza.

A tutti i dirigenti scolastici affinché mettano in pratica, con risolutezza, i provvedimenti disciplinari nei confronti degli studenti che non vogliono rispettare le regole della scuola e quelle civili.

A tutte le famiglie affinché non intralcino il lavoro degli educatori, per il bene dei loro stessi figli.

A tutti gli alunni e studenti affinché comprendano che la scuola forma l’uomo consapevole, responsabile e veramente libero, e che non ci può essere apprendimento senza educazione e disciplina.

PRESENTAZIONE del Dott. Carmelo Occhipinti, psicoterapeuta

Per una serie di ragioni l’educazione e la scuola rappresentano oggi, ancor più problematicamente che in passato, un punto cieco della nostra vita sociale. Di queste ragioni ne privilegio due dando così, e volentieri, un cenno introduttivo all’opera di Olga Serina che si è dedicata, coinvolgendo altri spiriti critici, a mettere in risalto i danni potenziali che si arrecano nell’educazione, invece dei benefici prospettati. Difficoltà e potenziali danni da cui gli stessi insegnanti non sono del tutto immuni, dovendosi anche confrontare con disagi sociali e istanze culturali, prima mai esistite nella storia dell’insegnamento.

Desidero argomentare il primo punto critico intorno al concetto stesso di insegnamento e a quello di apprendimento correlativo. È in corso un pericoloso processo di astrazione del lavoro didattico tale per cui si può impropriamente pensare di prescindere dall’apprendimento dell’alunno e continuare ad essere insegnanti di ruolo; basta firmare moduli, registri e relazioni (spesso già precompilati, senza che però si riduca il lavoro manuale) e basta soprattutto far compilare agli alunni schede, protocolli e diagrammi: l’importante è fare, senza pensare. E infine basta partecipare a riunioni nelle quali non si discute nulla, ma si lasciano, per assurdo della situazione, i suddetti moduli precompilati a confrontarsi da soli.

Non si discute neanche, come almeno si dovrebbe agli inizi della carriera, il concetto stesso di insegnamento. Mostrerò questa mancanza attraverso la correttezza concettuale di un errore tipico dei dialetti meridionali. Si dice spesso: la mia maestra mi ha imparato e io mi sono insegnato. I ben pensanti correggono immediatamente, e fanno bene, dicendo: la maestra insegna e l’alunno impara.

Nella correzione si manca di notare due particolarità. La prima è che il compito dell’insegnante è di parare in (alla latina, verso) un determinato oggetto, ad esempio leggere, scrivere, sapersi comportare in determinate circostanze. La seconda è che il compito dell’alunno è quello di segnarsi dentro (segnare in, sempre alla latina, ovvero memorizzare) i contenuti presentati, in modo da poterli successivamente utilizzare. L’osservazione di questo aspetto fondamentale del lavoro mentale dell’alunno porterebbe immediatamente ad una diversa e migliore considerazione dell’alunno in quanto persona con cui entrare in rapporto, in base al principio che è inutile per l’educatore–insegnante dannarsi a formare, spiegare, correggere senza catturare la simpatia dell’allievo– discente e senza chiedersi e chiedergli un parere su ciò che sta insegnando.

Si realizza per assurdo una vecchia frase di Mario Lodi che notava come nella scuola tutto fosse fatto per escludere l’alunno come essere pensante. Oggi siamo nella situazione in cui, per escludere l’alunno, l’insegnante si autoesclude tenendo in poco conto il fatto che, se insegna, è perché qualcuno impara.

Il secondo aspetto critico è immediatamente conseguente all’obbligo scolastico nella cui pratica si omette di valutare che, come tutti gli obblighi, può suscitare una reazione contraria: sono obbligato ad imparare e non imparo! Tu non impari ed io ti costringo perché devo farlo! Oppure non faccio nulla perché anch’io mi rifiuto di fronte agli obblighi! Oppure lavoriamo entrambi in modo distruttivo l’uno dell’altro.

Ancora una volta con esclusione di qualsiasi riflessione sugli obblighi, sulla loro natura, sulla loro utilità e sulla loro eventuale dannosità. Questa mancata riflessione porta gli insegnanti a dividersi in due categorie: quella di coloro che sottomettono se stessi e gli altri agli obblighi, compreso il divieto di pensare, e quella di coloro che non si sottomettono, senza per questo cominciare a pensare.

Olga Serina nella scuola si trova in una posizione privilegiata, quella dell’insegnante di sostegno che, spesso chiamato in causa da un alunno che reclama il proprio diritto a pensare, è costretto a chiedersi cosa sta facendo, come e perché lo sta facendo.

Mi piace notare a questo punto che la sua posizione è simile alla mia. Occupandomi della cura del pensiero di persone giudicate dagli altri difettose nello stesso pensiero, ho dovuto accorgermi che c’era una parte, e profondissima, di questo pensiero che sfuggiva a me e a loro (con buona pace della ripetizione di una parola che non voglio in alcun modo sostituire con un sinonimo).

Trasferita dalla lontana Sicilia in Lombardia, si è posta nella condizione di riflettere sul suo lavoro. Ha coinvolto in questo lavoro amici e parenti di laggiù e di quassù, raccogliendo pareri ed esperienze e spingendo gli altri e se stessa a scrivere ed a mettere a disposizione di tutti un frutto che altrimenti sarebbe rimasto solo nella memoria individuale.

È questo il motivo per il quale la sua opera è pregevole: fuori dai canali ufficiali, fuori dagli schemi precostituiti, fuori dalle associazioni partitiche c’è una comunità di persone che si interrogano con Olga sulla vita religiosa, scolastica ed artistica.

Sulla vita religiosa, perché lei è autrice di diversi libri di spiritualità. Sulla vita scolastica, perché siamo qui a vedere un saggio che può costituire la base di un testo di didattica. Sulla vita artistica perché Olga è autrice di racconti, narrazioni fantastiche e di saggi sull’arte, ma anche e soprattutto per la sua attività pittorica. Avendo seguito tutto il percorso dell’apprendimento della tecnica pittorica, dimostra di saper utilizzare il principio per cui non si può dipingere senza pensare; la tecnica serve ad esprimere meglio tutto se stessi. Una linea, un colore, una sfumatura esprimono il pittore nella sua interezza, così come un movimento, una battuta, una parola esprimono l’insegnante nella sua interezza.

Questo libro è l’espressione più completa della sua personalità. Oltretutto, assieme a suo marito, Saro Torrisi, tiene dei corsi di pittura nei quali i loro figli hanno un posto privilegiato, in base al principio per cui non si tengono lezioni di alcunché, se si escludono i figli dalla propria vita.

Voglio ricordare che a questo principio non si è attenuto J.J. Rousseau la cui lezione pedagogica sembra così importante.

Il lavoro di Olga Serina ed il mio convergono eminentemente nel trovare i punti deboli di certezze per nulla sicure e nel proporre una nuova possibile persuasione: ci sono regole che riguardano la vita comune tali per cui guidiamo tenendo la destra e ci attendiamo che i veicoli in senso inverso tengano la destra anche loro; e c’è anche la fantasia che costruisce un mondo più o meno possibile.

Si può dunque immaginare di guidare anche a sinistra, stando bene attenti ad occupare il lato destro della strada.

In questo lavoro di articolazione tra regole e fantasia deve sapersi districare il lavoro dell’insegnante ben sapendo rinviare a domani ciò che oggi non si riesce a realizzare. Ed ecco allora dipanarsi, nel racconto di esperienze, i casi di ragazzi con handicap dichiarato e quelli di presidi e insegnanti che sembrano ancora più handicappati. I casi di ragazzi che sembrano capire, e non capiscono, come quelli per i quali succede il contrario.

Non mi privo del piacere, a questo proposito, di collegare una parola siciliana con un termine tecnico. Capita spesso di incontrare la pseudo-insufficienza mentale, ovvero il caso di quei ragazzi che dimostrano di capire poco e si comportano come se fossero insufficienti mentali, anche ai test mentali, e si vede che invece sono molto acuti. A spiegare il fenomeno ci sono molte teorie e diverse casistiche, una di queste è l’angoscia che in alcune occasioni lavora come sabotatore interno e finisce per deprimere le facoltà intellettive. Questo particolare situazione viene facilmente spiegata col ricorso alla parola abbauttutu. Per gioco, non sempre privo di sadismo, incontrando un bambino gli si può fare bau! Cioè lo si può spaventare senza alcuna ragione e senza alcun obiettivo (noto che sto distinguendo tra cause e scopi di un’azione educativa).

Se il fatto si ripete spesso, specialmente in tenera età, con lo stesso bambino, questo ne può risultare più che spaventato, più che angosciato, fino al punto da deprimere lui stesso le proprie facoltà mentali, fuggire il rapporto con gli altri, evitare i processi di pensiero. Mi viene da osservare che siamo stati tutti abbauttuti, chi più, chi meno, nella nostra personale storia. Cominciare ad elaborare in proprio la nostra personale storia passata e presente ci permette di trovare la via di uscita. Traggo queste importanti lezioni dalla lettura delle pagine di Olga e dei tanti che con lei hanno collaborato, lezione che mi sento impegnato a trasmettere.

COMMENTO DI SILVIO SGAMMA

Le testimonianze che ho letto non lasciano dubbi, sono solo la conferma di quanto immaginavo, pur vivendo ormai lontano dall’ambiente; la scuola pubblica sta vivendo un suo momento critico. Olga, tu nel campo dell’ insegnamento hai l’esperienza vissuta e le capacità culturali – intellettive per dare almeno un suggerimento incitante e leale su ciò che servirebbe per abbattere il virus che si annida nell’ambiente scolastico. Le persone di buoni principi saranno sensibilizzate dall’allarme che tu lanci. La tua iniziativa è sicuramente ammirevole e coraggiosa.

Olga, permettimi di congratularmi con te, per quanto ci concedi mediante le tue creazioni pittoriche e letterarie. Il libro inerente al sistema scolastico attuale che a breve andrà in pubblicazione, è la tangibile conferma di quanto io asserisco. La scuola, con gli alunni, i genitori, gli insegnanti, i dirigenti, sicuramente dal tuo libro trarranno motivo di riflessioni costruttive.

Il tempo di attesa, prima che la tua opera venga diffusa, anche se breve, ci sembrerà molto lungo.

Un caro saluto e un augurio speciale a te, Olga e a tutti quegli operatori scolastici, affinché l’Istituzione in cui operate, riguadagni in pieno dignità ed efficienza.

Grazie di tutto … meriti molto … Brava!

Con stima e affetto. Silvio Sgamma

COMMENTO DEL DOTT. SALVATORE TORRISI

Premetto che non mi è facile affrontare un problema di così vasta portata e non mi sento in grado di fornire suggerimenti e rimedi.

Occorre considerare che la cosiddetta emergenza educativa non riguarda soltanto le giovani generazioni, riguarda anche la stragrande maggioranza dei genitori di questi ragazzi, i quali costituiscono il tramite tra due generazioni; quella dei loro genitori, generalmente ancorati ai sani principi di un tempo ed i loro figli assai “distanti” dai medesimi principi. Nella società di oggi é notevolmente diffusa, lasciando molto perplessi i veri educatori, una insana alleanza: la complicità genitori – figli.

È sotto gli occhi di tutti come questi genitori siano tolleranti o ancora peggio, colpevolmente compiacenti delle scelte “trasgressive” dei loro figli, (tanto fanno tutti così!), i quali non rispettano ormai da tempo non soltanto i loro educatori, ma niente e nessuno, quindi neanche gli stessi genitori. Paradossalmente e a differenza di altri tempi, questo genere di figli viene puntualmente premiato con la paghetta.

PREFAZIONE

Premesso che la scuola è lo specchio della nostra società, ne consegue che riflette il suo stesso disagio e i suoi problemi.

Quali problemi? Se ne parla abbastanza, nella cronaca di ogni giorno. Deficit economico, debito pubblico, scandali in ogni categoria, violenze ad opera di piccoli bulli e di personaggi di un certo peso che operano coi loro killer, ecc…

Ne abbiamo fin troppo. Il mondo va alla deriva? Non possiamo categoricamente affermarlo, è la risonanza di questi fatti, a mezzo di stampa e televisione, che sembra coinvolgerci tutti e toglierci la speranza in un modo migliore. Ma il bene esiste. Esistono ancora giovani che si prodigano per il prossimo, che sono in prima linea là dove li chiamano calamità ed emergenza.

In una società c’è sempre chi francescanamente vede le cose positive, chi tende a sottolineare il male che c’è nel mondo (homo hominis lupus).

La storia che dovrebbe essere maestra di vita ha spesso cattivi allievi, perché non tutti apprendono ciò che vuole insegnarci. Ma “non lasciate morire la speranza” ci ripete giustamente la Chiesa.

E la speranza del mondo devono essere i giovani, sollecitati dai buoni esempi e da un’educazione che sappia trarre la parte migliore della loro personalità; devono cioè essere guidati dalle istituzioni preposte all’educazione e alla trasmissione del sapere, la scuola, appunto.

Sembra che l’attuale stato di cose dipenda soprattutto dal sistema che ci governa, che determina il malcontento di oggi, eppure ognuno di noi deve cercare di arginare il malcostume e la mentalità contorta instauratasi in ogni organizzazione sociale. Affidiamo ai giovani, per mezzo della scuola, la volontà di un cambiamento!

PRIVILEGI E DISAGI

Se la nostra scuola è malata, è perché esistono molte disparità, sia nella società, che all’interno di ogni singola categoria. In teoria tutti siamo uguali di fronte alla legge, di fronte ai diritti o ai doveri, ma nella realtà vige l’abitudine secondo cui un gruppo di privilegiati gode dei vantaggi che vanno a danneggiare le classi o i soggetti più deboli.

Nella scuola, la definizione più vicina che si adatta a questo andazzo è il nonnismo. Quella consuetudine quasi istituzionalizzata di sovraccaricare i docenti ultimi arrivati, i precari, per alleggerire il lavoro a quelli con una carriera più lunga. Nel caso del lavoro scolastico, inoltre, tutte le volte che si presenta un serio problema a causa di alunni, la strigliata dal dirigente la ricevono sempre i docenti più freschi.

Tra gli argomenti che sto per affrontare, racconterò degli episodi realmente accaduti, alcuni vissuti in prima persona, nel ruolo di Educazione Artistica (e, in minima parte, come insegnante di sostegno) e altri che riguardano docenti, (naturalmente col loro consenso), che vivono in diverse regioni d’Italia. Ho inserito inoltre i commenti di due dirigenti scolastici.

Infine (tra le ultime pagine) vorrei far conoscere un articolo che mi ha molto impressionato, riguardante la salute a rischio della categoria dei docenti, tanto per avvalorare certi concetti. E naturalmente devo anche premettere che ci sono scuole dove tutto va per il meglio, scuole fortunate, privilegiate per fattori socio- ambientali, dove si formano giovani responsabili che sono chiamati a dare un volto nuovo alla società di domani.

Ho cercato di rimanere piuttosto fedele alle realtà evidenziate, anche se per una questione di tutela della privacy, nel rispetto di quanti hanno offerto la propria testimonianza, è stata conservata la versione dei fatti, ma modificando nomi, luoghi e tempi delle esperienze riportate. La finalità, infatti, non è quella di denunciare direttamente le persone, ma i fatti di cui si sono rese responsabili.

In questo libro cerco di evidenziare soprattutto la figura dell’insegnante, che purtroppo oggi maggiormente soffre il malessere, infatti i docenti, per certi versi, non sono più tutelati e non esistono le condizioni per poter lavorare serenamente. Di conseguenza il nostro lavoro diventa sempre più difficile e logorante.

Gli eccessi sono sempre negativi. Era opprimente e spesso anche diseducativa una scuola basata sull’autorità assoluta dell’insegnante, libero di agire nel chiuso della propria aula senza ingerenze di sorta; nella scuola democratica di oggi, con vari organi collegiali e la prevista collaborazione delle famiglie, la scuola dovrebbe essere non solo modello di una società che si regge autonomamente con l’apporto di molti, ma dovrebbe esplicare meglio del passato il proprio ruolo sociale ed educativo.

Purtroppo spesso non è così, molti ostacoli di varia natura vanificano l’azione di alcuni insegnanti, pur se animati da buoni propositi.

Ci sono però anche dei dirigenti scolastici con uno spiccato senso di responsabilità, che grazie alla loro serietà e impegno, riescono a ottimizzare l’efficienza dell’Istituzione nel raggiungimento degli obiettivi previsti e allo stesso tempo garantiscono al personale la necessaria serenità per lavorare bene.

CHI HA IL CORAGGIO DI PARLARNE?

La scuola di oggi ormai è una sorta di fortezza assediata, dove gli insegnanti molte volte combattono una guerra persa in partenza, lasciati soli dai loro dirigenti, dalle famiglie degli alunni e più volte dagli stessi colleghi. Finché predominerà il malcostume e il “lasciar correre” non ci sarà un miglioramento nella società.

Una buona parte dell’incapacità dell’ Istituzione scolastica nel far fronte a tante emergenze è causata da tutta quella serie di riforme e tagli finanziari che ultimamente hanno condizionato la scuola: minor numero di collaboratori scolastici addetti a pulizie e sorveglianza, minor numero di insegnanti in seguito all’elevazione del numero di studenti per classe, affidamento di più plessi scolastici a un solo dirigente, ecc. Se già esistevano problemi dal versante dell’utenza, adesso le difficoltà si moltiplicano per via dei tagli sulle risorse umane.

Vorrei potermi confrontare con i lettori per conoscere il loro pensiero in merito alle gravi problematiche che in questo libro sto affrontando, nonché per sensibilizzarli, poiché l’istruzione, ovvero la scuola pubblica, non riguarda solo il personale che vi lavora, ma soprattutto i nostri figli e le nostre generazioni.

Forse il mio sogno, (una scuola veramente funzionante ed educativa, con alunni consci del loro dovere e rispettosi delle regole), non si potrà “subito” realizzare, ma credo che sia giusto poterlo esprimere!

Datemi almeno la libertà di gridarlo, per cercare di condizionare positivamente il pensiero dei “chiamati in causa” (operatori scolastici, burocrati, famiglie) e soprattutto per poter infondere la speranza che non deve mai morire.

PARTE PRIMA

ESPERIENZE PERSONALI

RIFLESSIONI

Con molto entusiasmo cominciai a dedicarmi all’insegnamento, avevo presente l’esempio di mia nonna, ancora in servizio, (insegnò nella scuola elementare per oltre 46 anni).

Mia nonna amava i bambini, con loro era dolce e nello stesso tempo severa, bastava solo uno sguardo per richiamare un alunno, che all’istante recepiva, nutrendo nei suoi confronti un profondo senso di rispetto.

Oltre al dna che probabilmente mia nonna in parte mi trasmise, ho sempre amato la mia materia e anche relazionarmi con i ragazzini. Dopo questa piacevole premessa, noto che purtroppo i tempi odierni, hanno letteralmente peggiorato e stravolto tutto, quindi anche la scuola ha subìto un notevole degrado, poiché riflette fedelmente la società di adesso.

Non tutti hanno quella voglia o il coraggio di parlarne, sia per mancanza di fiducia in un cambiamento in meglio, sia perché sono talmente “nauseati” che hanno scelto la via del “distacco”, quindi non affrontano il problema.

Ingenuamente da ragazza credevo che insegnare significasse mettere a frutto le proprie conoscenze e cercare di avere un bel rapporto con gli alunni. In effetti ai tempi di mia nonna funzionava così! Era molto semplice, non c’era troppo spreco di risorse: l’energia si adoperava per svolgere il proprio lavoro con serenità e dignità.

Soprattutto nell’ultimo trentennio tutto è cambiato e ne spiegherò i motivi. Gli alunni, in generale, sono diventati più “difficili” rispetto a quelli delle generazioni passate a causa della difficoltà di collegamento tra la loro generazione e quelle precedenti, perchè hanno modelli comportamentali derivati da altre fonti e non solo dalle famiglie, spesso assenti per impegni lavorativi. In alcuni casi le famiglie in buona fede hanno abbandonato modelli educativi tradizionali concedendo massima libertà e massima facoltà ai figli. Questi sono bombardati da troppi stimoli, il consumismo è sicuramente un aggravante, come pure la visione di spettacoli televisivi e programmi diseducativi.

Gli alunni maleducati, o molto vicini ad una mentalità delinquenziale, vengono purtroppo sopportati, con le negative conseguenze, che sono quelle di intralciare il lavoro dei compagni e dei docenti. Gli insegnanti non hanno più le “armi” per potersi difendere, cioè i mezzi per potersi fare rispettare, perché malgrado le strategie adottate, sono sempre considerati inadeguati dalle famiglie non riuscendo essi a dimostrare di aver fatto onestamente quanto a loro era possibile.

Spesso i dirigenti, probabilmente per paura di doversi scontrare con le famiglie, fanno finta di niente e così si lascia correre tutto.

Risultato: i maleducati e i delinquenti continuano a proliferare, a dare cattivo esempio nella scuola, a discapito della giustizia, dell’onestà e del profitto scolastico. Questa e la pura e triste verità.

CONSIDERAZIONI

Ho sempre avuto un bel rapporto con i miei alunni, per il semplice fatto che sono una persona alla mano, semplice, spontanea, animata da buoni propositi, perché credo nell’azione educativa della scuola e di ogni singolo insegnante.

Ho verificato anche che per insegnare bisogna apparire un po’ severo, cioè distaccato, non manifestando la propria indole, ma cercando di mostrarsi agli alunni in una veste professionale fatta di fermezza e di autorevolezza, ma i ragazzini hanno un fiuto particolare, ti fanno subito la radiografia.

Ciò premesso, posso affermare di essere fiera di me e infatti ho avuto “successo” con parecchi miei alunni, che hanno nutrito nei miei confronti fiducia e affetto, e non dimenticherò le soddisfazioni che ho avuto in questi miei anni di insegnamento. Una certa autorevolezza accompagnata dalla intuizione e dallo studio della psicologia del ragazzo è indispensabile all’insegnate, soprattutto nei casi dei ragazzi difficili; avendo lavorato anche come insegnante di sostegno, ho fatto le mie esperienze il più delle volte positive.

Ma capita anche che ragazzi poco educati o caratteriali, inseriti in una classe senza sostegno psicopedagogico, a volte creino disordine e rendano difficile lavorare con serenità. Il tuo bel carattere viene scambiato per debolezza e ti danno filo da torcere. Fare leva sugli spontanei interessi di ciascuno? Cercare di rendere bella e suggestiva una lezione? Come fare se spesso non ti danno ascolto e pare che l’unico loro scopo sia creare scompiglio nella classe?

Parlando con vari colleghi, ho verificato che questo è un problema comune: i ragazzi alla fin fine fanno quello che vogliono, perché non si ricorre durante l’anno a interventi adeguati o a punizioni che possano mettere un freno ai comportamenti negativi.

Come potrà intuire il lettore, se non ci fossero i problemi e gli ostacoli che rendono difficilissimo il lavoro dei docenti, il nostro lavoro sarebbe molto edificante, perché prima di essere insegnanti, siamo educatori.

Purtroppo, se da un canto è vero che occorrerebbero leggi a favore della scuola, sovvenzionando più posti di lavoro, finché ognuno di noi non farà la sua parte per eliminare “l’inquinamento della cattiva mentalità”, non ci sarà mai un cambiamento in bene.

Sarebbe sufficiente che ognuno di noi agisca secondo la propria coscienza, assumendosi la propria responsabilità nel ruolo che gli compete: sarebbe il primo passo per un cambiamento.

UNA REAZIONE IMPREVEDIBILE

Nella relazione formale insegnante – alunno, più delle volte, tutto si riduce ad una serie di comportamenti abbastanza prevedibili e tutte le volte che questa “continuità” venga per così dire interrotta, il risultato sfocia ovviamente nell’ilarità, ma non solo, spiazzando gli interlocutori, l’involontaria gag permette all’insegnante, in un modo originale, di padroneggiare e tenere sotto controllo la situazione.

Mi trovavo in classe a far lezione in una terza media ed erano momenti di attenzione e di silenzio.

All’improvviso risuonò nell’aula il rumore forte e prolungato di una pernacchia, fatta con molta decisione, proprio per disturbare la lezione.

L’autore pensava di aver fatto una prodezza che doveva rimanere impunita, perché era sicuro di non essere stato scoperto.

Avendo individuato l’alunno, ebbi la prontezza di avere una reazione che sbalordì tutta la classe e mise in difficoltà il ragazzo stesso. Mettendo in atto la mia abilità teatrale, fingendo di preoccuparmi per lui, lo invitai premurosamente a correre in bagno:

“ Vai, esci! Corri subito ai servizi!”

Lui diventò paonazzo e disse: “No, non ho bisogno di andare in bagno!”

Ripresi: “Ma non preoccuparti! Non devi vergognarti, corri, vai in bagno, non c’è nulla di male!”

Il ragazzo era molto imbarazzato e mi disse confessando la sua bravata: “No, io scherzavo!”

Tutti i compagni nel frattempo ridevano per la situazione che si era venuta a creare; forse alcuni ridevano perché convinti che io fossi così ingenua da parlare seriamente, mentre altri magari avevano capito che io, avendo mangiato la foglia, volevo mettere in ridicolo il ragazzo e così castigarlo in un modo divertente (per gli altri, ma non per lui che continuava ad essere mortificato).

Da quel giorno non si sentirono più in classe rumori inopportuni.

LA LUNGA SOSPENSIONE

Vorrei raccontare un episodio che si verificò in una scuola media dove ho lavorato alcuni anni fa.

Un alunno di terza, proveniente da una famiglia disastrata, a causa delle carenze affettive e di disciplina educativa, frequentava la scuola creando seri problemi: era considerato un elemento di disturbo, sia per i compagni, con cui a volte diventava violento, sia nei confronti di noi insegnanti, irrispettoso e trasgressore di ogni regola civile.

Non vorrei soffermarmi sui particolari, perché privi di importanza, bensì sul risvolto positivo della faccenda. Voglio solo ricordare che noi docenti eravamo stressati perché nonostante le strategie adottate, non si approdava ad un risultato positivo.

Dopo il primo quadrimestre, considerato che l’alunno non aveva conseguito alcun profitto, nonostante le sue buone capacità potenziali, la preside, persona di buon senso, prese una decisione, col consenso dello stesso e della madre: egli poteva ritirarsi dalla scuola, studiare privatamente e poi presentarsi agli esami, così avrebbe avuto la possibilità di prendere il diploma di licenza media.

Devo affermare che il ragazzo accettò molto volentieri. Anche la madre aveva mostrato un certo sollievo, poiché fino a quel momento era stata con frequenza chiamata a colloqui coi docenti e informata della condotta del figlio, e lei era disperata, anche perché mancava la figura del padre.

Arrivarono i giorni degli esami, l’alunno partecipò a tutte le prove, mostrando una buona condotta e conseguendo risultati soddisfacenti.

Vorrei fare delle importanti considerazioni:

forse è vero che nella prassi non è contemplato questo tipo di soluzione per alcuni alunni, e quindi la preside, da un punto di vista burocratico ha forse scavalcato un ostacolo, ma poiché sono fermamente convinta che sia più importante la sostanza piuttosto che la forma, la dirigente, allontanando l’alunno dalla scuola, ha scelto la via più logica, non solo per il bene dell’alunno stesso, ma soprattutto per il bene della classe, dei docenti e del personale.

Sta di fatto che durante la lunga assenza (di tutto il secondo quadrimestre) dell’alunno interessato, tutti noi docenti abbiamo potuto riacquistare quella serenità che era venuta a mancare.

Sulla base di questa scelta responsabile, credo che tutti i presidi, sentiti i docenti, debbano poter attuare queste “trasgressioni” sacrosante, ovviamente in casi estremi come questo. Certamente, dal punto di vista di vista disciplinare, la scuola presenterebbe meno problemi.

INDIMENTICABILE ESPERIENZA

Alcuni anni fa lavorai come insegnante di sostegno in una scuola media, in cui c’era un ottimo ambiente. Le classi erano costituite da alunni abbastanza tranquilli. Avevo instaurato un bel rapporto con diverse colleghe e il preside sembrava una persona decisa e competente.

Fu un’esperienza molto forte e indimenticabile.

Mi affidarono un ragazzino con gravi problemi psichici. All’inizio l’impatto fu per me quasi traumatico, perché non sapevo come relazionarmi a lui e quali strategie adottare, dato che L. pronunziava a stento poche parole e insomma, il suo linguaggio si doveva interpretare.

L. era come un bambino di 5 anni anche se abbastanza robusto, molto allegro, vivace, sensibile.

Faceva gran fatica a concentrarsi, per cui i suoi tempi di attenzione erano molto brevi.

Una particolarità di L. era quella di non sopportare assolutamente di essere contrariato, perché, se per caso si cercava di costringerlo a svolgere un compito, si agitava a tal punto da diventare aggressivo e violento. Presto imparai a prenderlo per il verso giusto e lo assecondavo sempre, anche per non mettere a rischio la mia incolumità!

Per me fu davvero una conquista, non solo, mi guadagnai anche il suo affetto!

Lasciava trapelare una dolcezza che commuoveva, mi baciava e mi abbracciava spesso per esprimere il suo affetto, tanto che alla fine delle due ore trascorse insieme, mi diceva: “ Grazie, Olga”.

Amava il disegno, dopo avere scoperto la mia abilità, preferiva guardarmi mentre disegnavo, a richiesta; poi con tanto entusiasmo, colorava i disegni. Cercavo sempre di accontentarlo, quando potevo.

Poiché avevo analizzato i gusti di L., cercavo di esaudire i suoi piccoli capricci del momento: passeggiare per i corridoi della scuola, scambiare quattro chiacchiere con i bidelli, giocare con lui; solo raramente riusciva a stare seduto per svolgere qualche compito, come ricopiare le vocali, ecc.

Trascorrevamo la maggior parte del tempo in una grande aula di sostegno, che assomigliava ad una ludoteca, c’erano giochi, libri e persino il televisore, per cui ogni tanto vedevamo qualche videocassetta per bambini, era sempre lui a decidere! Non potevo contrariarlo, altrimenti diventava intrattabile.

Il suo massimo divertimento era quando (anche per rompere la monotonia) mi improvvisavo attrice, con delle performance. Potevo anche sbizzarrirmi, dato che eravamo da soli. Sinceramente mi divertivo anch’io, perché mi esprimevo anche attraverso la recitazione che avevo sempre amato. Mi stupivo di me stessa, perché riuscivo a tirare una creatività incredibile: facevo imitazioni, creavo dei personaggi molto buffi e L. si divertiva da matti! In poche parole, senza volerlo, per lui ricoprivo il ruolo di animatrice! La cosa più interessante è che riuscivo a coinvolgerlo, infatti anche lui in un certo senso recitava, anche se a modo suo. A volte intonavamo delle canzoni. Non dimenticherò le risate!

Ricorderò sempre un episodio che si verificò una mattina a scuola. Oltre alle mie ore di sostegno, L. era affiancato da un educatore molto giovane, ma il suo modo di “educare” o relazionarsi col ragazzino era completamente opposto al mio e per questo nacquero delle incomprensioni tra me e l’educatore, poiché G. sosteneva che la mia strategia fosse errata!

Non solo, mi disse pure che il mio lavoro “distruggeva” il suo! G. invece non si rendeva conto che a sbagliare era proprio lui, ma non c’è niente di peggio della presunzione! Spiegherò il motivo, raccontando lo spiacevole episodio a cui ho accennato.

Una mattina L. aveva deciso di farsi accompagnare da me, per andare al distributore automatico, così si incamminò sulla scala ed io vicino a lui, quando intervenne G. con severità dicendo: “No, L. non va da nessuna parte! Rivolgendosi a me: “Tu non sai che è vietato andare sopra?”

Ci fu un piccolo diverbio tra me e l’educatore. Sostenevo che accompagnare L. al piano superiore, evitava che andasse in escandescenze, come altre volte era avvenuto se contrariato, ma non ci fu verso: G. era irremovibile più che mai e mi disse:

“Tu così lo vizi! Lui deve capire che le regole della scuola si devono rispettare!”

Beh, sapete cosa successe?

Ne nacque unna colluttazione tra il ragazzino e l’educatore. Volarono calci, pugni, morsi, con tutta la rabbia e la sua forza; a G. caddero gli occhiali per terra! A quel punto implorò il mio aiuto: “Olga, aiutami! Si è scatenato e ha perso l’autocontrollo, cerca di bloccargli mani e gambe in modo da attutire i colpi!”

Intanto le urla di L. rimbombavano per tutta la scuola e a me parve di vivere in un incubo, perché rischiai di ricevere anch’io delle botte. Ero terrorizzata! Il ragazzino non si fermava, ma andava avanti, mentre l’educatore doveva difendersi per non farsi troppo male!

Dopo un po’ dovette intervenire un’altra insegnante di sostegno cercando di calmare L., ma senza alcun risultato.

Mi sentivo avvilita, esasperata e in quel momento ebbi l’istinto di tirare fuori dalla mia borsetta una boccettina di acqua benedetta, proveniente da Lourdes, e con velocità, ne spruzzai un po’ su L. bagnandogli il viso. Sembrerà strano, ma come per incanto … all’improvviso si calmò, come se si fosse svegliato da un brutto sogno. Quelle gocce di acqua (benedetta o no) ci avevano aiutato!

Sia la mia collega che l’educatore, rimasero stupiti.

Ero letteralmente stremata e pensai: parlerò chiaramente con G. per dirgli che quella era stata la prima e sarebbe stata l’ultima volta a dover lottare fisicamente, perché io sono pagata per fare l’insegnante di sostegno e non per essere coinvolta nelle colluttazioni, a causa di un educatore che provoca problemi non da poco (l’opinione che io “viziassi” il ragazzino doveva essere formulata non alla presenza di lui!).

Come se non bastasse, G. non si diede per vinto e successivamente continuò a comportarsi con il ragazzino in modo rigido e severo, senza tenere conto della sua diagnosi: non aveva imparato la lezione, tanto da farsi picchiare ripetutamente.

Ogni volta che L. non veniva accontentato dall’educatore, o quando lui decideva che doveva fare i compiti e non ne aveva voglia, L. diventava violento.

Di tanto in tanto vedevamo arrivare G. pieno di lividi e graffi. Così una volta gli dissi: “Scusami, non ti è bastata la lezione? Non hai ancora capito che L. andrebbe sempre assecondato? Logicamente entro i limiti!”

Con sorpresa lui mi rispose: “Ma che stai dicendo? Io sono coerente e anche se vengo picchiato, sono soddisfatto”.

Gli dissi: “Fai quello che vuoi, l’importante è che tu non mi coinvolga più e che non ti intrometta quando L. è affidato a me! Ognuno pensi a svolgere il proprio lavoro secondo la sua coscienza”.

Da quel momento lui non si permise più di fare con me il maestrino, limitandosi di tanto in tanto a lanciarmi delle occhiate di disappunto.

L’unico inconveniente e fastidio che ho ricevuto da L., in qualche periodo particolarmente euforico, era quando per gioco, di punto in bianco mi dava calci sugli stinchi. Quando vidi che i rimproveri o i miei ammonimenti non servivano a fargli capire che era evitato dare calci, adottai l’unica strategia intelligente: andavo a scuola col parastinchi! Non sentivo più dolore, perché i colpi venivano ammortizzati. Questo periodo durò circa 15 giorni.

Lo riconosco, sarebbe stata necessaria una collaborazione fra me e l’educatore, come ad esempio stilare assieme una “programmazione didattica” e discutere sugli obiettivi minimi che l’alunno avrebbe dovuto raggiungere. Ma ciò sarebbe stato possibile in una situazione diversa. Con L. di che programmazione ci si doveva occupare se non accettava la disciplina e non tollerava nessun intervento?

Il colmo dei colmi fu quando G., per fare bella figura con me, si vantò mostrandomi i compiti assegnati a L., dicendomi: Guarda che bravo L.! Guarda le sue produzioni! Ma mi venne da ridere quando mi accorsi che palesemente erano quasi tutti svolti da lui! Si notava la gran differenza di mano! Così risposi:

“Bravo G., sei molto ordinato! Vuoi che ti dia il voto?”

Anch’io avevo riempito delle pagine sul quaderno di L., ma non mi venne mai in mente di far credere ai miei colleghi, all’educatore o alla preside che fossero eseguiti per mano di L. Non potevo mentire! Infatti in consiglio di classe raccontavo in cosa consisteva il mio operato e il mio intervento sull’alunno.

Un giorno arrivò a scuola la madre di L. per conoscermi e avere un colloquio. Aveva le lacrime agli occhi, con lei ci capimmo subito.

Mi disse che suo figlio parlava (anche se a modo suo) sempre di me, mi nominava spesso e addirittura la notte riusciva a dormire, cosa che prima non faceva perché era sempre agitato. Era felice di avermi come insegnante di sostegno.

Mi sentivo gioiosa e soddisfatta perché credo che nella vita siano queste le più grandi soddisfazioni, non esiste altro! È molto importante creare legami affettivi e rendersi utili agli altri in modo disinteressato, perché riesci a percepire l’amore di Dio!

Confesso che, durante l’anno scolastico, L. era sempre nelle mie preghiere. La mamma mi manifestò la sua stima, pronunziando una frase che mi emozionò: “Lei è un angelo!”

L. era entrato nel mio cuore e pian piano, si instaurò un bel rapporto con i suoi genitori, due degne persone, che si occupano di volontariato.

Verso la fine dell’anno scolastico sua madre mi venne a trovare a scuola e mi chiese se fossi disposta a essere la madrina di L. che doveva ricevere la Cresima. Non mi sentivo di rifiutare, così accettai con tutto il cuore! Lei era onorata e manifestava la sua gioia.

Resterà indimenticabile il giorno della Santa Cresima; avevo le lacrime agli occhi e sentii L. molto vicino a me spiritualmente, perché lo affidai a Gesù e alla Madonna, chiedendo mille benedizioni per lui e la sua famiglia.

SCOLARESCA IN HOTEL

Mi trovavo in vacanza con la mia famiglia, in un albergo di Riccione.

Una mattina, davanti all’ hotel si fermano due pullman e circa 150 ragazzi si precipitano nella hall e si avviano verso le rispettive camere. Si tratta di studenti liceali che frequentano l’ultimo anno scolastico e si trovano in viaggio d’istruzione. Arrivano dalla Croazia.

Ebbene, questi, il giorno successivo, dopo cena, sono usciti per svagarsi e divertirsi, ma sicuramente hanno esagerato nella loro condotta, infatti succede qualcosa di spiacevole: verso mezzanotte, mentre tutti dormivamo, veniamo svegliati di soprassalto da urla, schiamazzi, forti rumori, in pratica le scolaresche rientravano in hotel. Ma non finisce qui! La baraonda e lo scompiglio per tutto l’albergo si protrae a lungo nel bel mezzo della notte. Almeno un’intera classe aveva bevuto perdendo l’autocontrollo e ciò disturbava parecchio, poiché questo comportamento andava oltre la maleducazione; tanto che ad un tratto sono esplose le grida di rimprovero dell’insegnante, responsabile della disciplina. I ragazzi se ne sono letteralmente infischiati, quindi il baccano si è protratto per altre due ore circa: da ciò si può dedurre quanto rispetto avessero questi studenti nei confronti dei loro educatori!

Sentivamo correre, salire e scendere le scale in continuazione, picchiare sulle porte delle camere, urlare e sghignazzare. Sarebbe stato addirittura il caso di fare intervenire i carabinieri, per disturbo alla quiete pubblica.

Quando finalmente sembrava che la baraonda si fosse calmata e stavamo per riaddormentarci, verso le 2,30 circa, veniamo nuovamente svegliati di soprassalto, questa volta a causa dello squillo assordante del telefono della camera che funge da sveglia. In pratica, qualche ragazzo, profittando dell’assenza del custode che si era appisolato, si era intrufolato dietro al bancone della hall, divertendosi a svegliare nel bel mezzo della notte i villeggianti.

Non potrò dimenticare questa spiacevole esperienza. Fortunatamente la mattina successiva la scolaresca indesiderata se ne è andata, perché diretta altrove. Senza dubbio questi studenti hanno lasciato un brutto ricordo, sia ai gestori dell’hotel, che a ai clienti dello stesso.

Arrivai a delle ovvie conclusioni: questi ragazzi sono paragonabili ai peggiori alunni che noi docenti incontriamo nella nostra scuola, e anche i loro docenti non riescono a tenerli a bada.

Mi venne in mente, a questo punto, un altro episodio, che definirei all’opposto estremo: una scolaresca italiana, durante un viaggio d’istruzione in Francia, ha incontrato seri problemi, a causa di un ragazzo che aveva commesso un’infrazione che gli è costata molto cara: è stato una notte in carcere, per avere provato a disegnare con un pennarello scarabocchiato sulla saracinesca di un negozio. A causa di ciò, il gruppo non è potuto ripartire, ma ha dovuto rimandare di un giorno, perché mancava il compagno. È stato per tutti un disagio…!

Anche se questo esempio francese può sembrare estremo, è comunque preferibile ai modi troppo docili che si praticano in Italia.

PARTE SECONDA

TESTIMONIANZE

MESSAGGIO EDUCATIVO REGRESSIVO

(Carla)

Non potrò dimenticare un’ esperienza che mi ha tanto amareggiata.

Devo fare una premessa:

agli alunni, ovviamente, non è consentito usare i cellulari a scuola, ma un conto è usarlo per ascoltare la musica, un conto è usarlo per altri scopi; e in effetti avevo, qualche giorno prima, concesso ai ragazzi di poter disegnare ascoltando musica con le cuffiette. Ma ecco cosa accadde: durante la mia seconda ora di Ed. Artistica l’alunno più discolo e imprevedibile, usò il cellulare come telecamera per filmare in classe. Scattò una breve sequenza ad un compagno che, vedendosi ripreso, si sbizzarrì a suo modo, facendo qualche boccaccia e – a quanto pare- salendo su una sedia.

Mai e poi mai avrei immaginato che quell’alunno discolo si fosse portato a scuola e avesse usato il suo cellulare come telecamera! Mi ero resa conto che in aula c’era una certa vivacità, ma ero particolarmente stanca e stavo anche male, perciò evitai di sgridarli ancora, dato che mi ero già sgolata durante la prima ora per richiamare all’ordine. Evidentemente loro, gli alunni più indisciplinati, avevano percepito il mio malessere di quel giorno e ne approfittavano. Si doveva abbassare il loro voto in condotta, pensai, ne avrei parlato nel prossimo consiglio di classe.

Due giorni dopo fui informata dai miei colleghi che un mio alunno aveva pubblicato il video in rete, così si decise di discutere il caso per prendere i dovuti provvedimenti. Risultato: ai due alunni coinvolti furono assegnati due giorni di sospensione dalla Scuola, e ovviamente questo sarebbe stato un messaggio educativo per i ragazzi; la sospensione avrebbe avuto decorrenza alcuni giorni dopo.

Naturalmente io vietai categoricamente di utilizzare a scuola telefonini e roba del genere, soltanto in questo modo non avrei corso il rischio di una seconda sgradevole sorpresa!

Gli alunni coinvolti nell’ episodio ora si comportavano in modo più contenuto, quasi nella normalità ed io mi sentivo più “sollevata”.

Ma la faccenda ancora continuò: le famiglie dei due alunni, avendo ricevuto la comunicazione, hanno rigettato l’accusa colpevolizzando a loro volta la Scuola, responsabile di non avere prevenuto il fatto.

Il preside, senza neanche interpellarmi, per raccogliere la mia versione e metterla a confronto con quella dei genitori, ha dato piena ragione a questi. Ha “assolto” i due ragazzi, offrendo a tutta la classe un motivo per screditarmi.

In conclusione, i due alunni non hanno ricevutoun segnale educativo, né dai genitori, tanto meno dalla Scuola. La distrazione dell’insegnante è diventata l’alibi per abbuonare agli alunni una trasgressione, col risultato ovvio: non solo i due ragazzi, ma anche altri, acquisirono un comportamento irrispettoso.

Lettera firmata

RIFLESSIONI

Ma è questo il compito dell’ insegnante, quello di sorvegliare minuto per minuto i suoi mocciosetti irresponsabili, fino al diciottesimo anno di età?

La scuola, operando in tal senso, ha dato un messaggio educativo regressivo, facendo sentire gli alunni dei “pulcini” (e travolgendo il ruolo dell’ insegnante in quello della “sorvegliante – chioccia”).

UNA DECISIONE SENSATA

Insegnavo matematica in una scuola media di una piccola provincia della Sicilia. Posso affermare che tutto sommato ho lavorato con grosse soddisfazioni in quella scuola, perché gestita da una preside davvero molto in gamba, che aveva una grande fermezza, subito pronta ad intervenire nelle situazioni che richiedevano una certa decisione.

Ecco l’episodio che sto per raccontare.

Una mattina, durante l’ora di lezione, un ragazzo col suo cellulare fece una ripresa in classe. Riprese me mentre spiegavo e alcuni compagni poco attenti. Essendomi accorto del fatto lo rimproverai: Che cosa vuoi ottenere facendo il filmato? Lo sai che è vietato girare filmati in classe?

L’alunno rispose: “Certo, prof, non si preoccupi! Stia tranquillo che dopo eliminerò il filmato. Pensa che sia così fesso da pubblicarlo su internet?

Risposi: “Sappiti orientare, perché tu sai ciò a cui andresti incontro. Voglio fidarmi di te!”

Alcuni giorni dopo, venni a sapere che questo alunno aveva pubblicato il breve video su fb. Così andai in presidenza a riferire, come era mio dovere.

La dirigente, avendo buon senso, mi tranquillizzò affermando che avrebbe preso dei provvedimenti.

Fu di parola, infatti l’alunno fu sospeso per alcuni giorni.

In seguito venni a sapere che la famiglia del ragazzino si era lamentata con la preside, perché, a suo avviso, responsabile era solo l’insegnante, che aveva permesso all’alunno di girare il filmato. Conclusione: i genitori, non soddisfatti, chiesero alla dirigente di avere un colloquio con me in sua presenza. Ovviamente mi presentai all’incontro e con tutta tranquillità spiegai che mi ero fidato dell’alunno, poiché mi aveva promesso che non avrebbe pubblicato quel filmato, per cui il fatto di non avere sequestrato il cellulare, non implicava nessuna autorizzazione a contravvenire alle regole e manifestai il mio vivo disappunto per il comportamento del ragazzo. La direttrice prese le mie difese e riuscì ad ammutolire gli arroganti genitori.

La soddisfazione più grande l’ ho avuta successivamente.

Dopo un po’ di tempo lo stesso alunno, per una specie di vendetta contro di me, disturbava in continuazione durante l’ora di lezione. Le ho tentate tutte, per invitare l’alunno al silenzio e all’attenzione, ma senza risultato. Così decisi di tornare a parlare con la stimata preside.

Per farla breve, questo ragazzo è stato bocciato, sia per le insufficienze nelle varie discipline, ma soprattutto a causa dell’insufficiente voto in condotta.

Naturalmente conservo un ottimo ricordo di questa preside. Ho saputo in seguito che l’alunno bocciato poi è maturato e anche la sua condotta è cambiata in positivo. Credo che la dirigente in questione sia un caso esemplare, ma non un caso isolato.

Lettera firmata

IL PROF DI TECNOLOGIA

Fernando è una persona tranquilla, pacata, gioviale e scherzosa.

Insegna tecnologia nella scuola media di un piccolo paese della Calabria. Ha un buon rapporto con i suoi alunni, finché un giorno non capita in una classe scalmanata al punto tale da sconvolgergli l’esistenza.

Forse Fernando avrà commesso “un errore”, ma soltanto in apparenza: infatti, secondo la sua versione (si è confidato con me) se ha deciso di non parlare dei problemi di gestione di questa classe, è stato per avere appreso che tutte le volte che un suo collega esprimeva al preside simili problematiche, questo, con massima impassibilità, ascoltava ma non interveniva in alcun modo. Ecco perché Fernando preferì tenersi tutto dentro, sapeva che la battaglia sarebbe stata persa in partenza, magari avrebbe rischiato di fare anche una brutta figura, passando per un insegnante incapace.

Se avesse invece incontrato un dirigente scolastico responsabile e soprattutto con un forte carattere, avrebbe avuto l’appoggio indispensabile a consentirgli di svolgere il suo lavoro.

Sarebbe bastato ammonire quei pochi elementi sufficienti a destabilizzare la classe; invece, niente punizioni, niente sospensioni. Conclusione: gli insegnanti che incontravano tali problemi dovevano cavarsela da soli.

Ecco cosa successe: Fernando, tutte le settimane, quando si trovava in questa classe senza poter svolgere la lezione, per la baraonda che causavano gli alunni, doveva pure scontrarsi verbalmente con alcuni di loro a causa della spiccata maleducazione, perché veniva provocato per misurare fino a che punto la sua pazienza avesse un limite! Avvenne che davvero i suoi nervi furono messi a dura prova. Stanco di ammonire e sgridare ai suoi alunni senza risultato, cominciava a sollevare oggetti e sbatterli con violenza contro il pavimento, picchiava come un pazzo i pugni contro la cattedra, fino a farsi male. Un giorno ha rotto persino un banco.

In poche parole, Fernando era fuori di sé, e purtroppo questa sua frequente perdita di controllo non gli giovò a guadagnare solidarietà e tanto meno comprensione da parte dei colleghi che dopo un po’ cominciarono a considerarlo un po’ picchiatello.

Ebbene, vorrei concludere con delle riflessioni.

Quando incontrai Fernando, un anno dopo, lui stesso mi raccontò la sua esperienza da incubo in quella scuola dove aveva lavorato come supplente annuale.

Grazie al Cielo, adesso sta bene, perché la scuola dove ora lavora è gestita da una dirigente scolastica molto in gamba, che sa svolgere egregiamente il suo lavoro, per cui se in qualche classe si presentano inconvenienti, questa argina subito il problema ammonendo seriamente gli alunni distruttivi.

Fernando mi confidò che quell’anno era stato traumatico per lui, perché dovere entrare in quell’aula e “lavorare” in quelle condizioni, era deprimente al massimo livello. Come se non bastasse, si era sentito emarginato anche dai colleghi che non gli mostravano un minimo di comprensione.

Fernando ha voluto fare “l’eroe”, ostinandosi ad andare a lavorare, ma quando, come in questo caso estremo, il gioco non vale la candela, sarebbe stato più sensato chiedere un periodo di aspettativa.

SPIACEVOLE EPISODIO

(Silvana)

In una scuola media è capitato una fatto spiacevole. Tra le altre mi era stata assegnata una classe molto vivace, con alunni al limite di un comportamento adeguato, in quanto facevano fatica ad accettare le regole, che necessariamente devono essere osservate in una comunità. Questa classe era considerata una delle peggiori dal punto di vista disciplinare. Era difficile che in classe ci fosse un attimo di silenzio per via dei continui dissensi, delle liti e delle polemiche che quegli alunni intavolavano, anche nei confronti dell’insegnante. Probabilmente incideva il fatto che si trattava delle ultime due ore, erano molto stanchi e credevano di potere ormai fare come se fossero in cortile, essendo la mia, una materia non considerata “importante” come le altre (forse perché non è mai stato bocciato nessuno in Ed. Artistica).

Vista l’impossibilità di ottenere attenzione e silenzio, mi era impossibile spiegare una lezione di Storia dell’arte, anche se a volte mi servivo di supporti audiovisivi che avrebbero dovuto interessarli. Allora mi limitavo ad assegnare delle pagine da studiare a casa, magari distribuendo le fotocopie del riassunto che preparavo per loro al fine di facilitare lo studio.

Ed ecco il fatto spiacevole. Un’ alunna mi riferisce che sua madre sarebbe venuta a parlarmi, insieme ad altri genitori, perchè non era assolutamente soddisfatta delle mie ore di lezione, visto che non spiegavo mai, quindi, a suo avviso, mostrando disinteresse per gli alunni.

Non si può immaginare che sensazione ho avuto! Mi sono sentita delusa e amareggiata, così in modo deciso ho spiegato: “Siete stati voi a volerlo, proprio per il vostro menefreghismo, nonostante i miei continui richiami al silenzio e all’attenzione! Pretendereste che vi spieghi la lezione, se rendete il mio lavoro impossibile? È come chiedere del cibo, e al momento in cui vi imboccano, voi tenete la bocca chiusa. E anche se ci fossero due soli alunni interessati alla lezione, non potrei comunque, dato che sono costretta a sorvegliare gli altri, per evitare che qualcuno possa causare problemi ai compagni, vista l’esuberanza e l’aggressività di questa classe”.

Piuttosto angustiata, a casa preparo una lettera, dove lamento la condotta degli alunni e per informare le famiglie della spiacevole situazione che questi avevano creato e per tutelarmi da eventuali attacchi ingiusti dei genitori.

Naturalmente la mattina dopo, sottopongo al preside il problema e la decisione che voglio adottare e gli chiedo indicazioni come far pervenire le copie della lettera ai destinatari. Il dirigente legge la lettera un po’ frettolosamente ed esprime il suo giudizio che mi lascia di stucco. “Non se ne parla nemmeno, lasci stare questa lettera. Lei rischia di mettersi in cattiva luce!”

Il dirigente, non solo ha negato la possibilità di comunicare con le famiglie, ma non ha neanche suggerito una soluzione alternativa per affrontare il problema.

Grazie a questi atteggiamenti da … “Ponzio Pilato”, molte volte la scuola va alla deriva, o rischia di andarci, perché i ragazzi sono lasciati liberi di fare quello che vogliono e perché oggi le famiglie sono sempre dalla parte dei loro figli e arrivano ad esprimere sugli insegnanti giudizi negativi: questi segnali agiscono negativamente sui ragazzi e sulla loro educazione.

Lettera firmata

L’ INSEGNANTE DI MUSICA

In una zona malfamata e tristemente nota di Palermo, un professore di musica ha lavorato per tanti anni in una scuola media. Purtroppo il suo lavoro, in una classe terza, non poteva essere svolto nel modo normale e consueto. Il suo si è tramutato in un lavoro molto difficile e tutt’altro che edificante! Il motivo era semplicissimo: gli alunni gli impedivano di far lezione e se lui si fosse imposto, avrebbe fatto i conti con i rispettivi genitori!

Racconterò in cosa consisteva la sua interminabile ora di “lezione”: egli, con aria di sfida, entrava in aula dando un calcio contro la porta e sputava per terra, poi con durezza guardava negli occhi, uno per uno, gli alunni.

Il prof. era costretto ad attuare questo brutto atteggiamento per dimostrare ai ragazzi di essere più forte di loro, altrimenti, chissà quali angherie avrebbe subito dai suoi alunni! Non gli restava altro per difendersi da quei “leoni” indomabili, riusciva a tenerli a bada solo in questo modo, a costo di vanificare il suo dovere: insegnare. Gli alunni lo “rispettavano”, e stavano nei loro banchi, soltanto perché era temuto.

I ragazzi, come si potrà immaginare, erano figli di persone malavitose, per cui avevano acquisito quegli atteggiamenti tipici e disgustosi: volgari e prepotenti. Poiché questi mostravano il totale disinteresse nei confronti della sua materia, la musica, (non so se avessero un minimo di interesse per le altre), gli impedivano letteralmente di svolgere il suo lavoro; così alunni e docente trascorrevano l’ora guardandosi in cagnesco.

Il povero professore non avrebbe potuto obbligarli con nessun mezzo, né creare un’atmosfera adatta a svolgere la lezione! Se così fosse stato, avrebbe rischiato di grosso, in quanto gli alunni avrebbero parlato male di lui ai genitori e chissà quale vendetta sarebbe stata escogitata per la vittima!

Ho voluto riportare questo esempio estremo, per far capire come in alcuni casi sia decaduto il lavoro del docente e come ci si deve adattare alle situazioni.

LA SUPPLENTE D’INGLESE ESASPERATA

Il mio primo anno di insegnamento fu traumatico.

Mi chiamarono per la vorare in una scuola media di un piccolo paese del Salento, come supplente annuale. Insegno inglese. Tutto sommato, le classi non erano male, però arrivata in una terza, incontrai tre alunni ingestibili.

Per farla breve, feci di tutto per frenare la condotta di questi, che non si limitavano a non voler studiare, ma che destabilizzavano l’intera classe facendo i buffoni. La cosa pazzesca è che, avendo notato che la scuola non prendeva alcun provvedimento nei loro confronti, questi alunni si sentivano sempre più forti e autorizzati a fare tutto quello che volevano! Fino a quando, col passar del tempo, mi sfidavano per mettere alla prova la mia pazienza.

Adottai tutte le strategie possibili immaginabili. All’inizio le buone maniere, poi le cattive, ma senza alcun risultato: infatti quando in consiglio di classe esposi il grave problema, sostenendo di non potere svolgere il mio programma, a causa del comportamento distruttivo di questi tre alunni, i colleghi e la preside non presero alcun provvedimento!

A me sarebbe bastato che durante la mia ora i tre alunni fossero stati distribuiti in tre diverse classi, affinché potessi lavorare in santa pace. Il problema invece passò inosservato, anzi la preside ebbe a dirmi che se durante le altre lezioni questi alunni si contenevano, il problema era mio!

Credo che qualunque sia stata la causa del problema, avrebbe dovuto prendere provvedimenti! Quelle rare volte che questi ragazzi erano assenti, si creava un bel clima, io riuscivo a svolgere tranquillamente la mia lezione, con grande partecipazione della classe.

Altre volte dinanzi alle mie difficoltà di ridurre all’ordine i tre alunni maleducati, la preside si ostinò a ribadire che ciò dipendeva dalla mia incapacità. Quando le rispondevo: “Allora perché nelle altre classi e in questa stessa (quando questi sono assenti) ciò non succede?”

Lei non rispondeva e tergiversava.

In poche parole, tutte le volte che facevo lezione in questa classe, dovevo sperare che i menzionati alunni fossero assenti! Purtroppo ciò avveniva molto raramente. Risultato: dovevo pure sobbarcarmi le lamentele dei genitori degli altri alunni che non accettavano che a causa dei tre indisciplinati (ormai conosciuti) i loro figli venissero penalizzati, dato che puntualmente la mia energia era tutta incentrata a salvaguardare l’incolumità degli alunni che rischiavano di farsi male.

Vani furono i colloqui con la preside, in cui suggerivo di fare qualcosa per il bene di tutta la classe, che era rimasta indietro nel programma.

Lei minimizzava e fingeva di non capire l’entità del problema, finché un giorno mi disse:

“Ho capito che lei è molto stressata, perché non si mette in malattia per un lungo periodo?”

Solo alla fine, dopo avere incontrato diverse volte i genitori dei balordi, questi mi confessarono di avere anche loro poco ascendente sui figli, ed erano anche loro esasperati perché non riuscivano a “raddrizzarli”.

Lettera firmata

Riflessioni dell’autrice

Per l’ennesima volta, voglio ancora ribadirlo: cosa vuol dire diritto all’Istruzione? Vuol dire che la scuola deve garantire questo diritto a chi ha voglia e capacità di istruirsi; insomma non dovrebbe essere ammesso a scuola chi per indisciplina ostacola il diritto all’istruzione degli altri impedendo all’insegnante di seguire gli alunni volenterosi.

UNA DOCENTE DI LETTERE INSEGNA IN UN CARCERE

Sembrerà quasi un paradosso, ma ciò che sto per raccontare forse potrà stupire il lettore.

Giovanna è una docente in gamba, come tante, che da parecchi anni, dopo aver fatto la pendolare ed una lunga gavetta di precariato, dopo essere passata finalmente di ruolo, decide di scegliere la sua sede: il carcere di una città della Sicilia, nella zona in cui vive.

Ebbene, essendo una mia cara amica, mi ha confidato che quando insegnava in una scuola media pubblica, era arrivata ad un punto di stress insostenibile, per via della difficoltà delle gestioni di alcune classi, mentre da quando insegna nel carcere, ha ritrovato quell’equilibrio e tranquillità che aversa perso.

I motivi sono semplici: innanzitutto ha soltanto sette alunni, responsabili e molto rispettosi, con la voglia di imparare. In poche parole, ci sono le condizioni per poter lavorare.

Un giorno Giovanna mi raccontò un episodio davvero molto curioso:

“Durante l’esame di licenza media, un alunno di circa 20 anni, durante l’interrogazione della prova orale, era molto agitato. Ad un certo punto gli dissi:

“Ma cosa ti succede? Per così poco … sei così emozionato che non riesci a stare tranquillo? Calmati! Me la togli una curiosità? Come mai quando fai rapine e tutto quello che sai tu, sei tranquillo e non hai paura, invece adesso, per una semplice interrogazione ti perdi in un bicchier d’acqua?”

Lui rispose: “Che discorso è? Quando faccio le rapine sono tranquillo, perché ormai sono abituato, invece l’esame per me è emozionante, perché è la prima volta ed è più difficile doverlo sostenere!”

RACCONTO DI SONIA

Sono specializzata come insegnante di sostegno. Non essendo ancora di ruolo, ho lavorato in diverse scuole medie, in una zona della Basilicata. Tutto sommato, non ho incontrato grossi problemi nelle classi, forse perché lavorando soltanto con due o tre alunni, e non avendo avuto la responsabilità dell’intera classe, il mio lavoro è meno stressante rispetto a chi insegna la propria materia, ed ha la responsabilità di tantissimi alunni.

L’argomento che vorrei affrontare è uno spiacevole episodio che si è creato in una scuola media alcuni anni fa.

Avevo un collega che alcuni chiamavano “il bullo”, proprio per il suo modo di fare molto pesante e a volte arrogante nei confronti dei suoi stessi colleghi. Era un tipo muscoloso, fissato con l’attività fisica.

Questo professore non era per niente stimato dagli alunni e neanche dai colleghi Motivo principale: per cercare di entrare nelle grazie della preside, cercava di mettere in cattiva luce i colleghi, ciò si è capito poco per volta.

Ebbene, verso la fine dell’anno scolastico, in consiglio di classe, mentre si discuteva delle varie problematiche didattiche e disciplinari, il professore in questione, con la solita aria da “galletto”, si rivolge alla dirigente e se ne esce con una “sparata”: “Vorrei chiarire una cosa, la collega Sonia ha un metodo di insegnamento tutto sbagliato”.

Io, sentendomi presa dai turchi, pur mantenendo la calma espressi il mio disappunto:

“Ascolta bene, non ti permettere di trattarmi così e parlare con la preside in questi termini, soltanto per sminuire la mia persona e il mio lavoro!

Non sei autorizzato a fare alcuna considerazione, tra l’altro fuori luogo, perché sei un nostro collega e non sei la preside! Se io dovessi essere richiamata per qualsiasi motivo, solo la nostra dirigente ne ha facoltà, hai capito?”

Il professore “bullo”, sempre col fare tipico degli arroganti della sua pasta, si alterò e cominciò ad alzare il tono della voce, cercando di arrampicarsi sugli specchi e appigliandosi ad altri pettegolezzi, proprio come fanno i bambini! Tutti lo guardavano stupiti. Avrebbe potuto chiedermi scusa, ma di questi tempi non si usa più, e poi ci lamentiamo se i nostri alunni fanno i gradassi con gli insegnanti!

A quel punto intervenne la preside:

“Mi scusi, prof. …. La sua collega ha ragione! Come pretende di fare l’educatore quando lei non conosce l’educazione? Lei è di una presunzione e arroganza paurosa, perché dinanzi all’evidenza, non si dà per vinto! Pensi piuttosto a svolgere bene il suo lavoro e non si preoccupi di fare il “vigile” con i suoi colleghi, dato che il ruolo del “vigile” spetta a me! Intesi?

Finalmente il nostro collega ammutolì. Notavo negli occhi dei miei colleghi una nascosta soddisfazione, finalmente aveva avuto una bella lezione dalla dirigente, che lo aveva ammonito una volta per tutte.

Lettera firmata

LA SFURIATA DELLA PRESIDE

Non potrò dimenticare l’esperienza negativa che ho vissuto in una scuola media, in una frazione di Brescia. Una mattina, mi fu affidata una classe per una supplenza. Si instaurò subito un normale rapporto con i ragazzi.

Ebbene, non tutti sanno che la supplente di solito invita i ragazzi a fare i compiti che sono stati assegnati, oppure cerca di coinvolgerli in qualche attività o dibattito.

Ecco ciò che successe:

poiché eravamo in prossimità delle feste natalizie, decisi di donare a ciascuno di loro un foglio con una mia poesia inerente alla natività o qualcosa di simile, che trasmetteva un messaggio educativo. Invitai un alunno a leggerla e tutti mi parvero entusiasti dell’iniziativa.

Da premettere un particolare: prima di consegnare la poesia, chiesi con discrezione chi fosse interessato e solo un ragazzino rifiutò il foglio, l’unico alunno musulmano quel giorno era assente era assente.

Gli alunni mi parvero abbastanza incuriositi e gioiosi, addirittura si complimentarono con me, perché ero io l’autrice del breve testo e quando suonò la campanella ed andai in un’altra classe, una mia collega mi raccontò che un alunno uscì dall’aula gridando con euforia: “ La prof. … ci ha fatto pregare in classe, la prof. … ci ha fatto pregare!” Saltava e correva!

Bisogna pure considerare che l’alunno è molto particolare, esagerato in tutto, infatti si distingueva nell’ istituto per il suo comportamento stravagante e fuori dalla norma.

Mi sovviene (per l’ennesima volta) che spesso gli adulti non usano la psicologia, non comprendono che le parole degli adolescenti andrebbero filtrate alla luce del proprio buon senso.

Il giorno dopo, vengo richiamata dalla dirigente, la quale partì in quarta urlando:

“ Cosa ha combinato!!! Non si permetta più di fare una cosa del genere!”

Mi sentì presa dai turchi e le dissi: “ Cosa è successo? Mi spieghi!”

Riprese: “Ho saputo che lei ha fatto pregare gli alunni in classe!!! Non sia mai! Cosa le è saltato in mente? Quello che ha fatto è un fatto molto grave, per rispetto di chi è straniero e non è cattolico!”

Risposi: “Guardi che non è vero! Non ho fatto pregare nessuno, ho semplicemente fatto leggere e regalato una mia poesia a sfondo religioso, ma si è trattato di una poesia!”

La dirigente non ha voluto ascoltare spiegazioni, era alterata, gridava come se avessi commesso chissà quale “oscenità o delitto!” Pensava che non raccontassi la verità!

Me ne andai rammaricata più che mai, o addirittura sconvolta, perché un mio gesto di amore nei confronti degli alunni era stato recepito nel modo più sbagliato. La sera scrissi una lettera alla preside per chiarire il grosso equivoco, perché mi dispiaceva che lei si fosse fatta un concetto del tutto sbagliato. Il giorno successivo la feci protocollare, però mai la dirigente rispose alla mia lettera, e neanche si scusò per il grosso equivoco!

Riflettendo, pur se il contenuto della poesia era ispirato al mi credo di appartenenza, non mi sfiorava minimamente l’idea o il proposito di fare proselitismo, né tanto meno propaganda religiosa, o qualsiasi tipo di pressione psicologica. Sulle antologie di letteratura italiana, in molte occasioni, si studiano testi poetici, brani di narrativa o quant’altro inerenti al tema religioso, eppure a nessuno mai è venuto in mente, in ambito scolastico (fino ad oggi) di censurare un’enorme mole di letteratura a sfondo religioso!

Lettera firmata

IL PRESIDE COSCIENZIOSO

In una scuola pubblica, l’Istituto Superiore dell’interland torinese, il dirigente scolastico, avendo scoperto due studenti che spacciavano droga ad altri compagni, ha deciso di informare i genitori dei ragazzi, dopo aver sporto una denuncia ai carabinieri. Non avrebbe potuto fare diversamente, perché aveva scoperto un reato che andava fermato e soprattutto, bisognava mettere in guardia i rispettivi genitori.

Conclusione: questi hanno inveito contro il dirigente scolastico, che a loro avviso non avrebbe dovuto intromettersi nei loro fatti privati.

Ci rendiamo conto dove siamo arrivati? Se i genitori arrivano a difendere i propri figli delinquenti, vuol dire che sono complici! Soltanto accettando i provvedimenti presi nei confronti dei propri figli, difenderebbero la propria dignità.

Ho riportato questo estremo episodio per mettere in evidenza la mentalità dei genitori che si sono permessi di aggredire verbalmente il dirigente scolastico, anziché ringraziarlo per aver compiuto ciò che avrebbero dovuto fare loro stessi.

La società va alla deriva quando i genitori, che dovrebbero essere i primi educatori, lasciano correre o addirittura difendono i loro figli coinvolti in attività illecite. Non è raro il caso di genitori malavitosi si siano serviti dei figli per farne apprendisti del malaffare.

LA PRESIDE ACIDA

Alcuni anni fa insegnai Ed. Fisica in una scuola media.

Trovai classi modello, dove mi sentivo molto stimolata a fare lezione, soprattutto alcune classi prime. Quei ragazzini mi facevano davvero amare il mio lavoro dandomi tante soddisfazioni.

Lo stesso non posso dire di una terza molto vivace, e in più con due alunni che mi rendevano il lavoro impossibile per la loro condotta sfrenata. Questi, entrambi ripententi, alti e robusti, erano molto maleducati. Le bestemmie volavano e sfidavano ripetutamente l’insegnante. Provavo un senso di disgusto! In consiglio di classe esposi la situazione in cui mi trovavo a causa di questi due alunni, ma i miei colleghi fecero orecchio da mercante. Qualcuno disse: “Tanto non c’è niente da fare, i genitori li difenderanno sempre e la preside non vuole saperne nulla”.

Una mattina, alla fine della mia ora di lezione, dovetti assistere ad una scena poco piacevole che mi tenne tanto in ansia: questi due alunni, sempre al centro dell’ attenzione, si sono presi a botte; io ero lì, e terrorizzata pensando che si facessero male sul serio, chiamai subito la bidella affinché facesse qualcosa, adottai tutte le strategie immaginabili per fermarli. Rischiai pure di essere anch’io colpita da qualche pugno. Avevo il batticuore, mi parve di vivere una specie di incubo.

Il giorno successivo mi recai dalla preside per raccontarle l’episodio e sottolineare la condotta negativa di questi ragazzi, anche durante le altre lezioni, le spiegai inoltre i miei tentativi per tenere sotto controllo la loro indisciplina.

Ebbene, la dirigente mi guarda freddamente e con tono acido mi dice: “Che cosa vuole che faccia? Il problema è suo, quindi non mi venga a raccontare queste cose! L’insegnante ha il compito di gestire tutti gli alunni, anche quelli più difficili! Se i suoi colleghi non hanno avuto di questi problemi, vuol dire che lei è un’incapace!”

Guardai la preside, esprimendo il mio dissenso, ma non replicai più, perché capivo che era tutto fiato sprecato. Pensai: “Roba da pazzi, se ne lava le mani, senza prendere provvedimenti e così coltiviamo i nostri piccoli delinquenti”.

Da quel momento decisi di non ricorrere più presso la preside, la cui tattica era quella di ribaltare tutto: non mi rimaneva altro che continuare il mio lavoro raccogliendo le soddisfazioni che mi davano le classi disciplinate e augurandomi che il futuro mi risparmiasse esperienze poco piacevoli.

Lettera firmata

Riflessioni dell’autrice

Leggendo questa testimonianza, mi vengono in mente alcuni episodi tremendi verificatisi in America, ad esempio quello di un alunno che recandosi a scuola con un’arma, fa fuoco sui compagni; penso che (per ipotesi) se ci fosse stata in quella scuola la dirigente, menzionata prima, anzicché condannare l’ alunno e la famiglia che dà modo al figlio di tenere un’arma, avrebbe tentato di colpevolizzare l’insegnante che non è stato capace di prevenire ed evitare il gesto omicida! Credo che il meccanismo di pensiero sia proprio lo stesso. È davvero inaudito!

LA PRESIDE BISBETICA

Cara Olga, la mia esperienza non sarà diversa da quella di tante altre persone che lavorano in un qualsiasi settore e che hanno a che fare giornalmente con un “superiore”: professionalmente preparato, irreprensibile nella gestione, ma… umanamente? Prima di diventare direttori, presidi, ecc. perché non vengono preparati ad avere relazioni umane col prossimo?

In Italia si fanno corsi per ogni cosa, ci si inventa di tutto. Credo che un preside debba sottoporsi a corsi con psicologi per correggere il proprio equilibrio ed imparare a saper gestire a 360 gradi anche dal punto di vista interpersonale, proprio come si fa fare ai manager di grandi imprese.

Ho lavorato da Settembre a Giugno in un Istituto Comprensivo di un piccolo paese e tutti mi hanno sempre detto che ero stata fortunata, che rispetto alla grande città avrei avuto a che fare con un utenza migliore.

Ho avuto un ruolo di sostegno in una terza media e due ragazzi da seguire.

Ottimo il rapporto con i colleghi anche se, si sa, gli “anziani” approfittano un po’ dei nuovi arrivati per appioppare faccende che nessuno vuole fare, del tipo “lo sai che sei “verbalista – documentarista” della classe? oppure “mi faresti 70 fotocopie?”

Ma in fondo piccole cose che si possono accettare. Il primo rapporto che ho avuto con la dirigente scolastica è stato proprio per la compilazione di un verbale di consiglio, in quanto non sapevo come inserire un documento.

Lei, con sguardo freddo e inespressivo, mi ha spiegato in modo incomprensibile come dovevo procedere, poi mi ha detto: “Ma se non ha capito niente, non mi deve fare cenno di si con la testa.. Capito? Capito?” Inizialmente impietrita, le ho detto che era ovvio che avessi capito, visto che facevo cenno di sì. Insomma mi ha presa per una cretina che le stava facendo perdere tempo e la infastidiva.

I colleghi

mi dicevano che aveva una serie di problemi in casa e che da anni si lavorava sotto un clima di terrore, anche a causa dei suoi sbalzi di umore. Figurati che molti non accettavano supplenze in quella scuola! Durante l’ultimo consiglio di classe della mia terza, cioè in sede di scrutini, la cattiva educazione è arrivata al culmine. Essendo documentarista, avevo io il registro ma quel giorno voleva fare tutto lei, come attaccare fogli, spillarne altri.

Era già irritata dal fatto che in quella classe era stato bocciato un alunno e lei, a malincuore, aveva dovuto accettare, ma solo perché i colleghi veterani di italiano e matematica si erano imposti.

Al cambio della classe di consiglio, io sono uscita ma il registro dei verbali che io avevo lasciato su una sedia accanto a lei, non riusciva a trovarlo. A detta dei colleghi, cominciò a cercarlo freneticamente e, in un’esplosione di rabbia, dice ad alta voce: “Io la strozzo!” riferendosi a me.

Esce fuori ed entra in sala insegnanti urlandomi dove fosse il registro e perché lo avevo preso. Mantenendo la calma l ‘ho riaccompagnata in classe e le ho fatto vedere dove lo aveva poggiato.

Non una parola di scusa. Esaltata mi dà poi un documento da portare in segreteria, ma mi accorgo che lei non lo aveva firmato. Rientro in classe…” E lei che cosa vuole ancora?

Non vede che ho da fare?” Le spiego che non poteva mandare un documento non firmato e, quasi piangendo, senza staccare gli occhi da un registro mi dice di aspettare perché aveva cose più importanti da fare…

Comincia a bofonchiare, non sapeva se urlare contro tutti o piangere. Quello stesso giorno ha tirato un pezzo di gesso ad una collega di circa 60 anni, solo perché questa aveva sbagliato a trascrivere un voto. Per non parlare delle minacce ad una supplente di italiano e al collega di arte che era nell’anno di prova.

Con fare mafioso, gli ultimi giorni prima degli scrutini, ricordava a tutti che bocciati non ce ne dovevano essere, e a chi era in prova che “non dovevano sbagliare”.

E poi, perché promossi a tutti i costi? “Che non si dica che nel mio istituto ci sono bocciati..”

Ansia e terrore, questo il clima che si è respirato e, detto da colleghi che sono lì da tempo.

Un giorno mi telefonò personalmente perché voleva sapere quando avrei allegato un documento al registro. Sapendo che il giorno dopo c’era una riunione alle 12 (scuola finita) le ho detto che sarei passata alle 11 per aggiornare il registro.

Lei non ricordava che la riunione fosse alle 12 e mi disse: “Ah!, alla buonora!” E perché non alle 6 del pomeriggio col suo comodo?”. Quando si accorgeva delle figure di cacca, non aveva mai il buon senso di scusarsi. E non parliamo di tutte le supplenze che mi appioppava anche quando avevo tanto lavoro da fare con i miei ragazzi!!! Credimi, credo di aver fatto più supplenze in altre classi che lavorato con i miei due ragazzi. Mi hanno raccontato che l’anno scorso la collega che aveva il mio ruolo un giorno si ribellò a tutte queste supplenze, ebbene gliel’ ha fatta pagare umiliandola in un consiglio di classe e chiedendole tutte le leggi che riguardano il sostegno.

E comunque, alla fine, con educazione e sopportazione, si fa il proprio lavoro, pur di tenerselo.

Ma l’abuso di potere, lo stillicidio di ogni giorno su tutti, diventa pesante. Mah, cara amica, ti auguro un buon lavoro ma ti prego di non fare nomi o riferimenti a città.

Lettera firmata

TESTIMONIANZA DI MARIA

Mi chiamo Maria, da quasi venticinque anni, vale a dire da un quarto di secolo, insegno materie letterarie nelle scuole medie italiane o come si chiamano oggi, Istituti Comprensivi.

Iniziai l’esperienza esprimendo le mie doti culturali, non tanto come attività lavorativa vera e propria, ma come missione, perché nella missione stessa credevo e con tale intento mi sacrificavo sino al limite delle mie forze. I primi anni mi appagarono, ero orgogliosa di quel che davo e di quel che moralmente ricevevo, niente poteva farmi pensare ad un radicale mutamento, ovvero, ad un latente peggioramento della situazione globale, così come oggi si presenta.

Allo stato attuale vorrei semplicemente cambiare lavoro, ma purtroppo non posso ricominciare da capo, l’età e la situazione mia familiare non me lo permettono. Per quanto riguarda gli alunni, quelli della prima classe in genere non creano problemi, non hanno ancora la maturata spregiudicatezza e la sfrontatezza che li contraddistinguerà nei successivi due anni, dove può succederete di tutto, purtroppo con il beneplacito dei genitori e della dirigenza scolastica, sempre pronta a scagliarsi contro i poveri professori.

Potrei raccontare di incresciosi episodi e di tanti patiti soprusi, ma rischierei di non essere creduta. Pertanto, mi limito a dire: “Sono delusa, amareggiata, il sogno che tanto cullavo, si è infranto per me come un’onda contro la scogliera.”

Lettera firmata

TESTIMONIANZA DI FRANCESCA

Mi chiamo Francesca, ho quasi raggiunto la sospirata età della pensione e ringrazio il Cielo.

La situazione nella scuola media, dove insegno matematica, è diventata insostenibile. Sono al punto di non avere più voce in capitolo. Il preside per primo, che dovrebbe essere l’imparziale punto di riferimento dell’Istituto, odia me come pure gli altri insegnanti ed è sempre pronto a puntarci addosso gli artigli, anche con sibilline palesi minacce. È impossibile richiamare all’ordine gli alunni che, infischiandosene di tutto e di tutti, fanno ciò che vogliono.

Vengono a scuola vestiti da pagliacci, maschi vestiti da femmine, femmine vestite da maschi e non solo, minacciano, sono arroganti, volgari, brutali, arrivano al punto di accendersi orgogliosamente la sigaretta durante le lezioni, l’educazione e le buone maniere non sanno dove abitano. Per ogni pur piccolo sfogo da parte di noi istruttori, si apre l’umiliante contenzioso, sempre caldamente e puntualmente fomentato da genitori e organi direttivi che, potendo, ci manderebbero davanti alla corte marziale.

Ma si può lavorare in questo modo? Personalmente, sottoscriverei volentieri ciò che sto asserendo e farei volentieri nomi e cognomi, mi astengo però dal farlo, non per vigliaccheria, ma solo perché, ne sono certa, domani mattina mi troverei in mezzo alla strada.

Che Dio ce la mandi buona, ma soprattutto che la mandi buona a coloro che iniziano il tortuoso percorso dell’insegnamento. Egoisticamente parlando, io sono quasi alla meta finale e questo mi dà la forza per sostenere un ultimo sprint.”

Lettera firmata

TESTIMONIANZA DI ROBERTA

Mi chiamo Roberta, da circa dieci anni insegno lingue straniere in una scuola media di una cittadina di provincia. La domanda che mi viene rivolta a titolo di opinionistico sondaggio, a cui sto cercando di dare risposta, mi trae in imbarazzo, perché nonostante tutto nella validità e utilità della scuola ho creduto e credo ancora. Purtroppo è la gente a formare il popolo e il popolo come volgarmente si dice: “È bue!”

Non voglio protrarmi troppo sull’argomento, mi limito perciò ad asserire che, al decimo anno d’insegnamento, sono esaurita al punto da essere forzatamente in cura da uno psicologo e si badi bene che non sono pazza!

È la mia personale salute che va facendo le spese del tanto malessere che imperversa nelle scuole italiane.

La dirigenza, i genitori, gli alunni, tutti in coro contro noi professori. Vorrei far notare che il corpo insegnanti, non è il nemico degli apprendisti alunni come oramai qualcuno vuol far credere, ma è il cardine primo che apre la porta verso il futuro e contemporaneamente è la prima vittima di un sistema che scricchiola e fa acqua da tutte le parti. Perché? Cosa sta succedendo? Tutte domande lecite per le quali vorrei una risposta, ma a chi la posso chiedere senza rischiare di essere incriminata?

Mi si scusi lo sfogo, personalmente sto facendo di tutto per trovare un altro posto di lavoro e se riuscirò… io con la scuola chiuderò per sempre!

Lettera firmata

IL DOCENTE DIMISSIONARIO

Ho lavorato per otto anni in una grande città, come docente di lettere in una scuola privata: Magistrale, femminile.

In teoria la scuola privata dovrebbe essere più tutelata e garantita rispetto alla scuola pubblica. Ebbene, tuttavia ho avuto grossi problemi, causati dall’impossibilità di gestire alcune classi. In pratica, diverse ragazze si comportavano in modo talmente indisciplinato, che non solo mi impedivano di far lezione, ma mi facevano stressare e agitare.

Vani furono i tentativi di trovare una soluzione con la dirigente e credo che se lei avesse collaborato, io non sarei arrivato a prendere una decisione drastica: dimettermi dal lavoro scolastico, infatti con rammarico, lasciai l’insegnamento definitivamente.

A lungo andare, stavo mettendo a rischio la mia salute psichica. Ciò che mi ferì, durante quegli anni duri, fu una frase pronunciata da una mia collega:

“Il tuo errore è quello di essere troppo buono!”

A questo punto chiederei: Ma per fare l’insegnante, bisogna essere dei bruti? E che colpa ho se sono una persona docile?”

Successivamente, ebbi la fortuna di intraprendere la professione di veterinario e ho riacquistato quella serenità e l’equilibrio che mi erano venuti a mancare.

Lettera firmata

TESTIMONIANZA DI UNA DOCENTE

Mi chiamo ……. e sono insegnante di scuola primaria; sono stata immessa in ruolo a seguito di superamento di concorso ordinario per titoli ed esami. Provengo da una famiglia di insegnanti, per cui posso dire di essere cresciuta nell’ambiente scolastico e di aver scelto in maniera consapevole di svolgere questa professione.

Quando ho iniziato a studiare per sostenere i concorsi per l’abilitazione all’insegnamento nella scuola materna ed elementare mi trovavo quasi alla fine del mio percorso universitario; ho scelto, infatti, di studiare “Lettere moderne” per passione, pur sapendo che gli sbocchi lavorativi riguardavano quasi esclusivamente la scuola.

Sin da quando ho iniziato ad insegnare, ossia nel 2005, mi sono resa conto che molto era cambiato nella scuola, purtroppo in negativo; nel mio anno di prova mi è stata assegnata una seconda classe di scuola primaria, bambini di 7 anni circa, ma, fin dal primo giorno di scuola ho capito che tutto ciò che avevo studiato sarebbe servito a ben poco in un ambiente in cui l’italiano era la “seconda lingua”, la prima era il dialetto del luogo, i bambini sapevano interloquire tra loro esclusivamente con epiteti del tipo “ti uccido”, “ti sparo” e, addirittura, “scava la tua fossa, io penso a prepararti una croce” (tutto rigorosamente in dialetto, ovviamente); ho capito immediatamente che, prima di iniziare a svolgere il mio programma avrei dovuto, quanto meno e per quel che mi era possibile, cercare di estirpare dalle menti di bambini così piccoli quei terribili concetti di morte che, evidentemente, dominavano la loro esistenza fuori dalla scuola.

Sempre durante quell’anno scolastico, nel tentativo di separare due miei alunni che, in un litigio, erano arrivati alle mani, ho riportato una brutta lesione al polso destro che mi ha costretta a portare un tutore per ben quaranta giorni e a scrivere anche alla lavagna con la mano sinistra. Quando è avvenuto il fatto ho, ovviamente, steso una relazione da me consegnata al dirigente scolastico che è stato in grado di proferire esclusivamente le seguenti parole: “Non vorrà considerarlo un infortunio sul lavoro!”(cos’era altrimenti? bah…);sono rimasta allibita ma, essendo il mio “anno di prova”, e, completamente inesperiente, all’epoca non ho preso nessuna iniziativa volta a tutelarmi, continuando ad andare a scuola, costretta a prendere il pullman (in quanto impossibilitata a guidare l’auto) e a scrivere con la mano sinistra.

Mi sono resa conto che non solo l’utenza era cambiata nel corso degli anni, ma anche i dirigenti scolastici non erano più quelli di un decennio prima, pronti ad assumersi le loro responsabilità e a tutelare il loro personale; questo avveniva quando insegnava mia madre o i miei zii, ma già nel 2005 era tutto differente: il docente era già stato “preso di mira” da genitori, alunni e dirigenti scolastici, insomma, una situazione a dir poco “ripugnante”. Ho iniziato a pensare di aver sbagliato tutto nella mia vita, di non essere portata per l’insegnamento, in parole molto povere, era il mio primo anno da docente e già pensavo non fosse la professione adatta a me; per fortuna i due anni successivi trascorsi presso un’altra scuola con un’utenza relativamente migliore mi hanno fatto cambiare idea.

Lettera firmata

ABUSO DI POTERE

Mi chiamo Luisa, sono una ex insegnante di lettere alle scuole medie, per Grazia di Dio non ancora in tarda età, pensionata ed in buona salute. Mi viene chiesto un parere personale circa la mia trascorsa esperienza di docente, domanda alla quale aderisco con piacere. Ovviamente di strani episodi da raccontare in materia ne avrei molti, ma quello che più mi ha emotivamente lasciato il segno, lo riepilogo qui di seguito senza nulla togliere o alterare, perché trattasi semplicemente di verità vissuta.

Ero giovane precaria insegnante priva di esperienza, ancora insicura e timorosa di quel prossimo che se onesto fosse stato mi avrebbe capita, considerata, aiutata, ma proprio quel prossimo onesto non lo era affatto. Parlo del preside, che Dio lo perdoni e perdoni anche me perché dei morti non si dovrebbe parlare male. Era costui un uomo sulla cinquantina, basso, brutto, tarchiato, pelato, sempre maleodorante di fumo e di alcool. Bene, vengo al dunque, senza mezzi termini costui mi fece delle avances che respinsi prontamente, categoricamente, energicamente.

Ovviamente tentò all’inizio di comperarmi con gentili propositi, ma vista la mia risolutezza, passò ben presto alle maniere forti e minacciose. In quel periodo, la mia situazione familiare era disperata e disperata ero io che non avevo il tempo materiale per gestirla: avevo perso mio padre da poco, avevo mia madre in dialisi, da accompagnare due volte a settimana in ospedale, il mio fratellino di dieci anni a letto con una gamba rotta, mia sorella di due anni più piccola di me, che minacciava continuamente il suicidio, essendo stata lasciata dal fidanzato.

Cercavo di arrabattarmi al momentaccio al meglio che potevo, il più delle volte rimanendo senza mangiare, riposando pochissimo e malamente. L’insegnamento era per me di vitale importanza, anche perché con quello stipendio vivevamo in quattro o per meglio dire: sopravvivevamo in quattro. Cosa potevo fare?

Raccontai della mia situazione ad un collega molto nelle grazie del direttore, pregandolo di intercedere per me, nella speranza che quel farabutto “mi scuso ancora perché è morto” avesse almeno chiuso un occhio sui ritardi che, mio malgrado, frequentemente facevo e confidando sulla pietà umana, che credevo esistesse ed avesse un qualche prioritario valore. È quasi superfluo a questo punto dire che quella fu la mia condanna.

Saputo che ebbe di quelle mie disgrazie, anziché comportarsi da padre, come mi sarei nonostante tutto aspettata, divenne un tiranno scatenato, inferocito, al punto che non veniva più in istituto per dirigere una scuola come sarebbe stato suo dovere, ma per dileggiarmi, umiliarmi, richiamarmi in continuazione davanti alla scolaresca e colleghi, prendendo il mio posto sulla cattedra, allontanandomi di malo modo, dandomi spesso e sempre davanti a tutti della cretina, dell’incapace, con strafottenza ridendo e chiedendo l’altrui demenziale approvazione che ovviamente mai mancava.

Sono molto cattolica, e forse proprio questo ebbe a salvarmi, impedendomi di commettere uno sproposito allorché ebbi la sconvolgente notizia che a mia madre rimanevano pochi giorni di vita e mi precipitai a scuola per chiedere uno speciale permesso di temporanea assenza, come era nel mio pieno diritto. Ricordo e ricorderò sempre: il meschino direttore da dietro la cattedra sollevata da terra di almeno trenta centimetri, mi guardava dall’alto al basso, serio e pensieroso, mentre io, piangendo, facevo la mia richiesta. Finito che ebbi mutò repentinamente espressione, mi digrignò i dentacci gialli in faccia e puntando l’indice verso la porta gridò: “Fuori di qui! Io non ho tempo da perdere con queste idiozie! Le questioni familiari si trattano fuori della scuola! Queste sue lagnanze non mi riguardano, ho detto fuori!”

A quel punto la vista mia si annebbiò, se avessi potuto e, ripeto, se la fede non mi avesse sostenuta, afferrandomi per i capelli, lo avrei sicuramente ucciso, ma non lo feci, uscii singhiozzando, inciampando e rotolando per la scala, diretta al Provveditorato.

Trafelata ma decisa a tutto, chiesi di parlare e fui ricevuta dal Provveditore in persona, al quale raccontai il tutto, dalla A alla Zeta. Capii subito che quello era un galantuomo: ascoltò pazientemente le mie disavventure, sbiancando in continuazione, mi tranquillizzò assicurandomi che avrebbe preso a cuore il caso e che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere.

Soltanto qualche giorno dopo, infatti, il mio persecutore fu trasferito in una sperduta cittadina della Calabria, dove fece poco male perché, seppi da chi sapeva, si era ben presto ammalato gravemente e aveva vissuto ancora per poco.

Nel frattempo avevo perso anche mia madre, ma il resto della vita mutò per me e si risolse con una prospettiva ben diversa da come era iniziata: in breve tempo divenni stimata insegnante di ruolo, convenni felicemente a nozze, mia sorella trovò un altro fidanzato, che diventò il suo attuale marito, il mio fratellino guarì e crebbe in onestà e saggezza, come io auspicavo. E come in una favola d’altri tempi: tutti vivemmo felici e contenti per tutta la vita.

Lettera firmata

VENDETTA GASTRONOMICA

Sono un docente di tecnologia e lavoro nella scuola media di una provincia del Sud. Mi rammento di uno spiacevole episodio vissuto un po’ di tempo fa durante il mio lavoro scolastico.

Poiché una mia alunna aveva dimenticato a casa il materiale di tecnologia, io la ripresi dicendole che avrebbe dovuto essere più responsabile, e vedendo che mangiava con gusto un panino, le dissi ironicamente: “Come mai non hai dimenticato a casa anche il panino?”

La ragazza non rispose.

Il giorno successivo vedo arrivare a scuola il padre con una pizza e senza una parola me la spiaccicò in faccia. Rimasi allibito e francamente non ebbi la forza di reagire, perché pensai: “Questo è impazzito!”

Questo strano episodio mi fece riflettere sul fatto che noi docenti ci sentiamo davvero impotenti dinanzi a simili fatti, infatti come si possono correggere i figli dei genitori che ci si scagliano contro?

Lettera firmata

COMMENTO DI UN ASSISTENTE TECNICO

Lavoro come assistente tecnico (nel campo dell’elettronica) in una scuola superiore, in una provincia lombarda. Sono di ruolo già da tanti anni. Sarò lieto di dare la mia testimonianza.

Devo dire innanzitutto che all’epoca, circa venti anni fa, avrei potuto fare il concorso per entrare nella graduatoria dei docenti, avendone le capacità, ma stando a contatto e lavorando a fianco con gli insegnanti, avendo fiutato questo lavoro, ho preferito restare ad un livello leggermente inferiore per tutelare la mia salute e la mia tranquillità.

Infatti posso affermare senza dubbio che, paragonando i vantaggi dei docenti rispetto al personale ATA, pur se questi hanno uno stipendio più alto rispetto alla nostra categoria, possono usufruire di più ferie e forse rivestono un ruolo un tantino più prestigioso, non tornerei assolutamente indietro e benedico il giorno in cui ho preso la decisione di restare assistente tecnico.

Di questi tempi, spesso e volentieri, il docente non è più rispettato, a causa dell’immaturità e molte volte della maleducazione degli alunni. L’ ho potuto verificare specialmente con gli studenti dal primo al terzo anno della scuola superiore.

Nell’arco di questi anni, nella mia scuola, ne ho viste di tutti i colori! Emerge come una sorta di vandalismo vero e proprio: vedo ragazzi che picchiano con violenza i banchi, distruggono sedie, tavoli, porte, scarabocchiano pareti. Chi non lavora nella scuola non potrebbe nemmeno immaginare ciò che succede!

Vedo la volgarità dei ragazzi, la demotivazione e la mancanza di rispetto tra di loro e nei riguardi degli insegnanti.

In realtà il comportamento degli alunni non è uguale per tutti: per fortuna alcuni docenti riescono a gestire le loro classi; altri non riescono affatto, con la conseguenza che subiscono tutte le angherie. Non c’è di peggio quando un docente si lascia calpestare dagli alunni, ne va a discapito la sua credibilità anche di fronte ai colleghi.

Sono fermamente convinto che i professori che riescono a “domare” i ragazzi, non è che siano più intelligenti o più capaci degli altri colleghi, è un qualcosa che non si può spiegare, né imparare.

Ho visto persino un’insegnante avvilita e distrutta, fino ad arrivare alla depressione, perché non solo non riusciva a far lezione in una classe di scalmanati, ed era pure bersagliata dagli stessi alunni, perché le lanciavano oggetti addosso.

Infine, questa docente ha dovuto cambiare scuola. È davvero inaudito!

Lettera firmata

TESTIMONIANZA DI UNA EX DOCENTE DI LETTERE (Gina)

Ho lavorato per lunghi anni come docente di lettere nella scuola media. Nell’ultimo periodo insegnavo in una città della Sicilia. Ho avuto una miriade di soddisfazioni.

Purtroppo verso gli ultimi anni ho incontrato nelle classi alunni molto difficile da gestire, a causa della loro condotta sfrenata che sconfinava in atteggiamenti delinquenziali, tanto da non sapere come trattarli. Ho escogitato mille modi per tentare di portarli a una condotta accettabile, ma senza alcun risultato. Ero davvero esasperata! I miei nervi non reggevano più.

Alla fine ho dovuto prendere una decisione: andare in pensione con sette anni in anticipo.

Sono trascorsi tredici anni da quando non lavoro più e riesco ad immaginare quanto possa essere difficile adesso il lavoro per un insegnante!

Posso affermare che tutti gli alunni extra-comunitari erano più educati rispetto a quelli del posto.

Successivamente seppi che quasi tutti gli alunni di cui ho parlato, seguirono la strada peggiore: la malavita, infatti ebbero alle spalle anni di galera.

Uno di questi alunni diventò persino omicida, compiendo un gesto estremo: uccise l’autista di un autobus, per tentata rapina, spaccandogli in testa una bottiglia vuota di birra.

Questo ragazzo aveva avuto un’infanzia molto difficile, perché, cresciuto tra maltrattamenti, era stato poi tolto alla madre brasiliana, prostituta e dato in adozione.

Lettera firmata

VOCAZIONE, PAZIENZA, AMORE NEL CAMPO EDUCATIVO

Dopo diciassette anni di insegnamento nel mio paese di Sant’Andrea Jonio (CZ), nell’anno 1968 mi sono trasferita con i miei tre figli a Napoli, ottenendo come sede una scuola di un quartiere periferico.

All’inizio dell’anno scolastico ho affrontato varie difficoltà e risolto problemi delicati in un ambiente quasi ostile.

La mia classe era composta da trenta alunni, di cui alcuni ripetenti per la seconda volta, però coloro che frequentavano erano appena venti ed io ho ritenuto fosse mio dovere cercare gli altri. Prima che il direttore, già da me informato, procedesse all’invio delle solite cartoline d’avviso, assieme ad una mia collega (che aveva lo stesso problema) mi sono recata, a fine lezione, a contattare e conoscere meglio le negligenti, disinteressate famiglie.

Erano in molte a non seguire i propri figli e ne abbiamo avuto conferma dalla presenza di numerosi “scugnizzi” in mezzo alla strada, per loro palestra di giochi, di schiamazzi e di divertimento, anche nelle giornate piovose quando, a piedi scalzi, saltellavano con gioia da una pozzanghera all’altra. Quando mi sono rivolta alla bidella per rintracciare facilmente un’ alunna di otto anni, lei, dopo averla definita “terribile e ribelle”, forse perché poliomielitica e senza madre, ha cercato in tutti i modi di dissuadermi. Secondo lei era meglio ignorarla, perché il primo anno di scuola era stata allontanata per il “cattivo comportamento” e l’anno successivo per aver “preso a calci le gambe della maestra”.

Si può punire in tal modo una creatura “poliomielitica”, a sei e a sette anni, senza risalire nemmeno alla causa del suo gesto? Può darsi che la bimba abbia alzato le mani verso qualche compagno che, forse, la derideva e che l’insegnante non l’abbia difesa ma, addirittura, picchiata (molti osavano!) e lei avrà reagito a modo suo. Ed io mi sarei dovuta accanire contro una creatura già priva dell’affetto materno, condannandola a rimanere analfabeta?

Invece, dopo averla inserita al primo posto nella lista dei “disertori”, mi sono avviata con la mia collega verso il rione delle case popolari, dove non mancavano i ragazzi che si divertivano nelle strade a rincorrersi strillando ed è stato uno di loro ad indicarci la nonna di “Gina” (nome da me scelto in sostituzione del vero…), che in quel momento ci osservava dal balcone.

Dopo la presentazione, ha sentito il bisogno di sfogarsi contro la nuora disamorata che, per seguire un altro uomo, aveva abbandonato il marito e tredici figli. Di questa assurda, triste e dolorosa situazione, la bambina era una vittima perché sacrificata a badare ai due fratellini più piccoli, mentre i più grandi cercavano sempre lavoro per contribuire, assieme al padre, al mantenimento della numerosa famiglia.

Ho suggerito alla donna di non tenere relegata in casa la nipotina, ma di mandarla a scuola per farla socializzare con i compagni e per farle apprendere a leggere e scrivere al fine di trovare poi, da adulta, più facilmente lavoro e non sentirsi inferiore alle sue coetanee. Le ho promesso che avrei instaurato con lei un rapporto amorevole, per non farla soffrire troppo per la mancanza della madre.

I miei consigli sono stati seguiti, perché l’indomani Gina ha fatto finalmente il suo ingresso a scuola e, mentre percorreva il corridoio per entrare in aula, la bidella mi dimostrava la sua disapprovazione con il ripetuto movimento della testa in alto e in basso, come se volesse compiangermi.

In classe alcuni alunni mi hanno fatto capire con il loro mormorio di non gradire la sua presenza e in quel momento, per riuscire ad affiatarli e per rasserenare gli animi, sono ricorsa ad un insolito espediente. Ho assegnato un compito da svolgere in classe ed ho informato gli alunni che sarei scesa in Direzione, che ero sicura di trovarli in silenzio al mio ritorno e che lasciavo sedere Gina al mio posto. Intendevo, così, dimostrarle fiducia per impedirle di intervenire se qualcuno l’avesse molestata. Dopo dieci minuti (trascorsi in corridoio!…), ho aperto la porta, trovando tutti i ragazzi in silenzio e mi sono rallegrata con loro elogiandoli per avermi dato prova, con la loro ubbidienza, di ricambiare il mio amore.

Da quel giorno Gina si è inserita bene, non ha infastidito nessuno, è stata rispettata dai compagni, ha studiato e frequentato assiduamente la scuola, meritandosi addirittura “dieci” in condotta, per l’intero triennio. La prima volta ho voluto mostrare la sua pagella alla “scettica” bidella, non solo per farla gioire con me, ma per farle capire che chi lavora nel campo educativo deve svolgere scrupolosamente la sua “missione”, avendo pazienza e perseveranza per conquistare il cuore di ogni singolo allievo, che si renderà conto di essere amato e saprà corrispondere, perché con l’amore tutto si ottiene, persino i “miracoli”……. (SS. Nome di Maria)

Castelfranco Veneto – 12 settembre 2013

Dora Samà

RACCONTO DI UNA DOCENTE DI RELIGIONE

Sono una docente di religione, ormai di ruolo da tempo. Non dimenticherò uno strano episodio vissuto alcuni anni fa in una scuola media di una frazione di Bergamo.

Avevo un alunno fissato col sesso e durante la lezione disturbava in continuazione facendo battute molto spinte, fino ad arrivare alla volgarità esplicita. Faceva di tutto per richiamare l’attenzione nei confronti delle sue compagne e di me stessa. A volte lo beccavo mentre faceva dei disegni osceni.

Ebbi un colloquio con la madre per metterla a conoscenza dello strano atteggiamento del figlio, oltre che per informarla dello scarso rendimento scolastico. L’alunno nonostante ciò non dava segni di miglioramenti (probabilmente i genitori non lo seguivano o non lo ammonivano). Adottai ogni strategia per cercare di mettere in riga l’alunno, ma senza alcun risultato.

Ne parlai col preside, il quale mi sembrò del tutto inerme, privo di determinazione e se ne uscì con una frase: “Io non posso farci niente! È lei che dovrebbe cercare di renderlo partecipe, magari rendendo la lezione più interessante!”

Un giorno successe l’impensabile: durante una verifica, mi accorsi che l’alunno (era all’ultimo banco) stava compiendo un atto osceno, davanti ad una sua compagna che addirittura fu coinvolta nel suo “esibizionismo”. Vidi i volti di alcune compagne stupite, scandalizzate, perché si accorgevano di ciò che stava succedendo. Al che lo richiamai in malo modo davanti alla classe!

Chiamandolo per nome gridai: “… Ma sei impazzito? Come ti permetti di compiere atti osceni in classe?” Lui rimase quasi indifferente, data la sua profonda sfacciataggine!

Feci chiamare la bidella e dopo qualche minuto lo portai dal preside, insieme alla compagna che aveva acconsentito.

Dopo avere raccontato al preside lo spiacevole episodio davanti ai due alunni, il dirigente li rimproverò dicendo: “Informerò i vostri genitori e ci sarà presto un consiglio dei docenti straordinario, per stabilire quali provvedimenti prendere!”

Ciò che mi sbalordì era l’espressione dei due alunni, quasi impassibili, come se nulla fosse successo!

Conclusione: i due alunni coinvolti furono sospesi per soli due giorni e il risultato: l’alunno “maniaco” continuò ad avere un atteggiamento provocatorio, di sfida nei confronti degli insegnanti.

Vorrei concludere inoltre con un breve commento.

Se è vero che la causa dello spiacevole episodio dipende dalla mancanza di educazione e soprattutto della mancanza di autocontrollo, è anche vero che se il preside avesse avuto la fermezza di punire l’alunno già alle prime avvisaglie, quando io lo avevo informato degli strani atteggiamenti, molto probabilmente il ragazzino non sarebbe arrivato a tanto!”

Lettera firmata

TESTOMONIANZA DI OLGA LUMIA

Olga Lumia nasce ad Agrigento, nel 1969.

Nel 1993, si laurea in filosofia nell’ Università degli studi di Palermo, con una tesi sul problema dell’ alterità nel secondo Jean Paul Sartre.

Ha collaborato con diverse testate giornalistiche ed emittenti televisive: “Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, “TGS”.

Ha curato l’ufficio Stampa e pubbliche relazioni di diverse aziende e teatri.

Dal 2003, vive stabilmente a Roma, dove collabora con Mediaset (prime serate con Massimo Ranieri, Katia Ricciarelli, Federica Panicucci) e con la RAI (“Unomattina”, “I soliti ignoti”, “I fatti vostri”).

Scrive poesie e racconti.

“Dopo la maturità classica, conseguita nel 1987, mi sono laureata in Filosofia, a pieni voti, nel 1993. L’indomani, con un mio scritto in tasca e una faccia tosta al punto giusto, bussavo alla porta della redazione di un quotidiano, per iniziare la mia esperienza nel mondo del giornalismo.

Scrivere, infatti, è stata sempre la mia grande passione. Da allora, varie collaborazioni: emittenti private, carta stampata, uffici stampa e organizzazione eventi. Intanto, qualcuno mi aveva detto che se, in attesa del concorso a cattedra, avessi voluto accumulare punteggio, sarebbe stato meglio iniziare ad insegnare in una scuola privata. Così, presentai il mio curriculum alla segreteria di un istituto parietario. Subito, iniziai a insegnare.

Dopo pochi giorni, però, me ne andai su due piedi. Il preside di quell’istituto, non pagava i docenti e, come se non bastasse, faceva firmare loro le buste paga, come se ricevessero soldi. Per non avere problemi legali. Tutti gli altri insegnanti, si prestavano a questo assurdo giochetto, perché avevano paura di perdere il posto e, quindi, il punteggio. Io non mi volli piegare.

Oggi, tutti quelli che insegnavano in quella scuola, sono tutti docenti di ruolo. Molti di loro, hanno accumulato punteggio in istituti privati dove il loro lavoro non veniva retribuito, per potere accedere ai corsi di abilitazione Sissis. Corsi a numero chiuso, ai quali potevi partecipare soltanto se facevi parte di una ristretta cerchia e se avevi acquisito un certo punteggio. Come, non aveva importanza. Incuriosita da questi corsi, provai a chiedere informazioni al Provveditorato, ma non servì a nulla. Nessuno sapeva niente.

I corsi, è chiaro, erano riservati soltanto a pochissime persone. Non mi preoccupai più di tanto. Ero certa che, da un momento all’altro, sarebbe stato bandito il concorso. Ed ero anche certa che lo avrei superato. Perché ero brava. Ed ero abituata a fare da sola, senza l’aiuto di nessuno.

Infatti, sei anni dopo la mia laurea, nel 1999, il concorso a cattedra, fu bandito. Superai brillantemente le tre prove scritte, anche se avevo 40 di febbre.

La prova orale, qualche settimana dopo fu, in assoluto, l’esame più difficile che abbia mai sostenuto. La commissione era costituita da insegnanti, freddi, granitici, antipatici. Mi trattennero per circa un’ora e mezza. Pretendevano il massimo. Ed era giusto così, dato che si trovavano di fronte una che, un giorno, avrebbe insegnato. Fu davvero dura. Ma andò molto bene. Nonostante per sostenere le prove del concorso, non mi fossi neppure fatta preparare da docenti più anziani, come avevano fatto molti miei colleghi. Studiai da sola. E trovai la forza anche se mio padre era venuto a mancare da pochissimo.

Superato il concorso, il mio nome, ormai, faceva capolino nella lunga lista degli abilitati. Non mi rimaneva che aspettare la convocazione. Quanto ci sarebbe voluto? Due, tre anni? Questo pensavo.

Intanto, continuavo la mia attività giornalistica. Attività che, ero certa, non avrei mai lasciato, neppure se avessi ottenuto la cattedra. Avrei conciliato le due cose.

Oltre alla carta stampata e alla televisione, dal 1998, al 2003, anno in cui mi trasferii definitivamente a Roma, collaborai con un’azienda che si occupava di preparazione universitaria. Lì, insegnavo individualmente e organizzavo eventi culturali.

Una volta nella Capitale, grazie all’esperienza decennale nel campo del giornalismo, iniziai la mia attività televisiva, nel settore dell’intrattenimento, collaborando con Mediaset e con la Rai. Ero presissima dal mio lavoro ma, ogni tanto, mi chiedevo che fine avesse fatto la mia cattedra di Filosofia. Mi aspettavo un telegramma, una telefonata da qualche scuola siciliana. Niente.

Qualche volta, quando andavo ad Agrigento, andavo in Provveditorato, per avere qualche aggiornamento sulla mia situazione, ma nessuno ha mai saputo dirmi nulla. La graduatoria degli abilitati, non saltava fuori. Nessuno sapeva come si facesse a consultarla.

Nell’estate del 2012, trascorsi un’intera mattinata al Provveditorato, insieme a mio marito, cercando di rintracciare un impiegato disponibile. La ricerca, non fu vana. Dopo un paio d’ore, riuscimmo a parlare con una gentilissima signora che, purtroppo, non riuscì a darci nessuna delucidazione sulla mia posizione in graduatoria. Potevo, però, provare a cercare nel sito.

Peccato che il sito, spesso, faccia le bizze e le graduatorie siano difficilissime da consultare. In quelle settimane, il Ministro Profumo annunciava “un concorso a cattedra, per dare, finalmente, un posto di lavoro a tutti i laureati che volevano insegnare. “Ma come?”-mi chiesi “il concorso, non lo avevamo fatto già?”. Insieme a me, la stessa domanda, se la fecero migliaia e migliaia di abilitati al concorsone del 2000.

Se avevo superato un concorso, era chiaro che ero in graduatoria e se ero in graduatoria, era altrettanto chiaro che, prima o poi, sarei arrivata a sedermi dietro ad una cattedra. Allora, perché questo ministro montiano, blaterava di concorsi per futuri docenti? C’erano ancora tantissimi insegnanti abilitanti (e anche un po’ attempati) che aspettavano il loro posto nelle scuole. Perché mai non considerare i sacrifici dei genitori che li avevano mandati all’università, le notti sui libri degli studenti, le loro conquiste agli esami?

Perché bandire un concorso per reclutare insegnanti quando le graduatorie del precedente concorso non erano ancora state esaurite? Senza contare, poi, che molti abilitati tramite concorso, si sono visti scavalcare in graduatoria da laureati molto più giovani (e, spesso, più incompetenti) che avevano accumulato punteggio con le scuole private e, di conseguenza, si erano abilitati con i corsi Sissis. Abilitazioni, cioè più a buon mercato.

Adesso, io continuo, per fortuna, la mia attività televisiva. Ma ammetto che, ancora, molte domande tornano a farsi strada nella mia mente. Soprattutto quando, in questi giorni di Settembre 2013 ho letto i titoli dei giornali: “Nuove assunzioni nelle scuole, 400mila docenti in cattedra entro il 2014”. Ma questi 400mila, sono i vincitori del concorso del 1999/2000 o quelli del concorso Profumo? E se dovessero essere i secondi, cosa ne farà lo Stato dei primi? Cosa ne farà di quei cinquantenni che hanno passato inverni in macchina, alle sei del mattino, persi nelle Madonie, per raggiungere un scuoletta semifatiscente dove farsi le ossa per avere, un giorno una cattedra meritata.

TESTIMONIANZA DI SILVIO SGAMMA

Grazie Olga, ho letto e concordo perfettamente con te. Tante colpe, sul mal funzionamento della scuola dipendono purtroppo dalla dirigenza locale della scuola. Anni fa quando i miei figli frequentavano il magistrale, un preside mortificò pubblicamente e minacciò un insegnante, la cui unica colpa era quella di non sapersi difendere.

Ricordo che gli inviai una lettera dove disapprovavo il suo operato. Non mi rispose, ma almeno lasciò in pace quel poveretto.

Ricordo però di avere annientato e fatto piangere anche un insegnante al tempo che “io frequentavo il magistrale”, anziché tenere le proprie lezioni, istigava la scolaresca a scendere in piazza durante le manifestazioni di protesta, promettendo alti voti a chi avrebbe partecipato. Le pecore nere, purtroppo si trovano in qualunque branco ovino.

Ciao Olga, buon lavoro.

Silvio Sgamma

COMMENTO DI PAOLA

Quando facevo supplenze vedevo già qualche anno fa la tendenza negativa verso cui si andava: in particolare la perdita di autorità che aveva l’insegnante (non solo io, ma ogni insegnante).

È proprio come scrivi tu; del resto nella società di oggi manca in generale l’autorità, ognuno fa ciò che vuole e nessuno viene punito. Spesso poi sono le forze dell’ordine a pagare al posto dei delinquenti, solo perché cercano di fare rispettare le leggi.

La scuola è lo specchio della società secondo me: di questi tempi manca l’autorità e spesso manca il rispetto per le regole in generale, non solo nella Scuola.

Buon lavoro.

Paola

COMMENTO DI UNA MAMMA

Capisco i problemi degli insegnanti, anche perché essendo rappresentante di classe, sono a stretto contatto con gli altri genitori.

Spesso mi arrabbio, perché prendono posizioni assurde e coprono i figli in un modo fino troppo chiaro e la cosa preoccupante è che lo fanno davanti ai bambini. Inoltre mi ricordo che i miei genitori mi insegnavano il rispetto per la figura dell’insegnante ed io stessa avevo un certo timore nei loro confronti, quello che oggi non c’è più.

Jenny

COMMENTO DI FRANCESCA

Condivido Olga: una cruda e attenta analisi che però non cambia molto la realtà. L’Italia è più indietro degli altri paesi riguardo al sistema scolastico e stipendi degli insegnanti … persino più indietro della Spagna.

Siamo in un paese alla deriva dove si respira paura, voglia di fare fessi gli altri, dove si trova il cavillo per passare subito dalla parte della ragione e dove si respira violenza (homo homini lupus).

Che dirti … manda i tuoi figli in un corso d’inglese avanzato e spediscili in un’altra società. La nostra è diventata con rispetto parlando .. uno schifo.

Un abbraccio, Francy

LETTERA DI PADRE EUGENIO

Cara Signora Olga Serina, ricevo con piacere il tuo messaggio per la pubblicazione del tuo nuovo libro. Ti ringrazio del gentile pensiero. È una opera molto interessante e utile nell’attuale clima scolastico, per il recupero di valori irrinunciabili per la nostra cara gioventù del terzo millennio. Perciò auguro allo stesso tanta fortuna, per il bene dei giovani e per la tua legittima soddisfazione. Oggi io di questi problemi mi posso interessare solo a livello diciamo amatoriale, essendo il mio tempo anche troppo speso nella pastorale di ben due parrocchie della mia città di Foggia.

Augurando al libro tanta fortuna e tanta soddisfazione da parte tua, ti saluto con affetto fraterno.

P. Eugenio

COMMENTO DI UN’ EX DIRETTRICE DIDATTICA

di Maria Rosa Lumia

Oggi spesso la scuola appare inadeguata e i docenti sono chiamati in causa come se fosse da addebitarsi a loro il poco impegno e l’indisciplina dei ragazzi. Non nego categoricamente che negli anni della contestazione non abbiano contribuito anche taluni docenti “sessantottini” a destabilizzare in qualche modo, e certo in buona fede, l’apparato della scuola. Ma non tutta la scuola ne aveva risentito in modo negativo e fino ad alcuni decenni fa non c’erano i problemi che oggi gli insegnanti devono affrontare in molte classi.

È col diffondersi di costumi più liberi, mediati dai mezzi di comunicazione non escluso il cinema, che fra l’altro ha introdotto un linguaggio contrario ad ogni forma di convenienza, nonché con diuturni fatti di cronaca legati alla droga, alla violenza, al bullismo, c

he oggi si approda ad una società giovanile sempre più trasgressiva. Per rientrare nell’ ambito della scuola, dirò che non è la totalità degli istituti scolastici a soffrire dei mali sopra menzionati. Nelle zone urbane e anche in molti piccoli centri dove l’ambiente sociale è sano e rispetta gli autentici valori morali, esistono scuole e classi che possiamo definire “privilegiate”, con alunni impegnati e responsabili: perché essi hanno alle spalle una famiglia attenta alla loro crescita morale e culturale, che sa dare il buon esempio, sa discutere e biasimare ciò che va discusso, conosce il valore e l’importanza dello studio e sa collaborare con l’istituzione scolastica.

Viceversa in ambienti carenti dal punto di vista socio – culturale, con genitori poco vicini ai figli per vari motivi o perché loro stessi indifferenti alla cultura e ai valori che la scuola trasmette, proliferano classi con ragazzi disadattati, demotivati, addirittura ribelli, che non sanno accettare le regole della scuola, alunni comunemente definiti “a rischio”, ed è in queste scuole che l’opera educativa diventa molto difficile dal punto di vista educativo e di conseguenza da quello dell’apprendimento.

Per questa categoria di alunni l’insegnante adotta misure e metodi nuovi, prova strategie, ma non può bastare la persuasione, l’incoraggiamento, il far leva sull’amor proprio a far nascere un autentico interesse per la Scuola e un comportamento adeguato. Certo la preparazione culturale e psicologica dell’insegnante, non disgiunta da una certa autorevolezza, è la condizione essenziale perché si attui l’insegnamento; ma gli educatori hanno anche bisogno di ricorrere oltre ai premi anche ai castighi. Un ottimo voto o una parola di lode sul quaderno dovrebbero essere per l’alunno lo stimolo a studiare e a comportarsi sempre meglio.

Riguardo ai castighi, la Scuola prevede dalle note di biasimo alla sospensione per un periodo più o meno breve di giorni e arriva alla non ammissione per “insufficiente” in condotta. Ma fino a qualche decina d’anni fa il procedimento risultava più snello, perché per la sospensione fino a tre giorni, che io ricordi, decideva solo l’insegnante di classe informandone, ovviamente, il preside.

Una condotta non accettabile veniva semplicemente definita “insubordinazione”; e bastava che l’insegnante facesse chiamare il bidello che era nel corridoio o il bidello più valido della scuola e gli affidasse l’alunno perché lo accompagnasse a casa. Gli altri ragazzi, specie quelli non troppo disciplinati, restavano ammutoliti e dimostravano di mettere giudizio e così si ristabiliva l’ordine nella classe. Naturalmente l’insegnante scriveva una comunicazione quasi sempre in questi termini: “Si allontana l’alunno per insubordinazione. Lo stesso dovrà essere riaccompagnato a scuola dopo tre giorni da uno dei genitori”.

Il dirigente scolastico veniva subito avvisato dato stesso bidello: egli passava dalla direzione, “mostrava” il ragazzo, che quasi sempre riceveva un breve rimprovero orale, che “allora” (nei tempi che ricordo) riusciva a impressionare il ragazzo, il quale sinceramente prometteva di impegnarsi ad essere più educato.

Copia della breve comunicazione veniva depositata in direzione, o in segreteria per fini legali, perché nei giorni di sospensione, la Scuola non era responsabile dell’ incolumità dell’alunno, nella eventualità di un incidente.

Da direttrice didattica, non ero sfavorevole a questo tipo di punizione, semplice e immediato, tramandatasi da sempre nella Scuola, e che si concludeva col metterne al corrente il portiere.

Maria Rosa Lumia

INTERVISTA ALLA GIORNALISTA RITA STUCCHI

Ho pensato di porre alcune domande alla giornalista signora Rita Stucchi, tramite Hélène Ehret, fondatrice dell’Associazione Onlus Missione Calcutta.

Rita ha avuto la fortuna, durante i suoi numerosi viaggi in India, di stare vicina a Madre Teresa per ben sette giorni, cosa assolutamente rara, perché M. Teresa non “amava molto” i giornalisti.

D: In che modo incide la povertà sulla conservazione dei valori e dei principi fondamentali?

R: Dove c’è povertà manca il cibo necessario alla crescita, manca l’istruzione che emancipa dai bisogni fondamentali, manca la possibilità di un lavoro in grado di sostentare la famiglia, manca il riconoscimento della dignità. In queste condizioni di disagio estremo, come possono i genitori trasmettere ai figli i valori fondanti della vita come il rispetto di sé stessi e degli altri, la pulizia che è componente necessaria della salute, l’autodifesa di fronte ai soprusi dei prepotenti e dei governi. E tuttavia, nelle comunità più disperate spesso si conserva un valore che nelle società ricche si è spento: il mutuo soccorso. I poveri si aiutano a sopravvivere e raramente abbandonano chi è in difficoltà ancora più gravi.

D: Che cosa dovrebbe imparare la società odierna per ristabilire il contatto tra generazioni, insegnanti ed adulti?

R: La società così com’è diventata oggi vive una drammatica povertà di senso, di sensibilità verso il prossimo. La competitività, parola odiosa, è la guida del mondo. Devi superare il collega, l’amico per arricchire e per mostrare quanto vali grazie al denaro. Abbiamo trovato il benessere e abbiamo perso la nostra umanità. Indietro non si torna, nessuno di noi abituato agli agi cambierebbe la sua esistenza con quella di un povero. Ma possiamo progredire educando i bambini fin dalla più tenera età a rivolgere lo sguardo al prossimo, mostrare loro il volto doloroso del mondo, raccontare che ogni essere vivente ha pari dignità: solo così si sconfigge l’indifferenza che è il peccato capitale. E dove si riceve quest’educazione al bene? In famiglia, oggi anello debole della società. Poi viene la scuola, luogo reputato a sviluppare idee e sensibilità alle vicende sociali: pur nelle sue manchevolezze, l’istruzione è spesso più attenta a ciò che cambia e accade nei paesi del sottosviluppo. Ristabilire la connessione tra generazioni è questione di linguaggio e di tenerezza: i bambini e i ragazzi sono capaci di capire il dolore del mondo assai meglio di noi adulti anestetizzati dal benessere che ha prodotto le malattie dell’anima.

PARTE TERZA

RIFLESSIONI

MENTALITA’ CONTORTA

La storia si ripete

Mi trovavo a fare la fila presso l’ufficio del lavoro, tra tantissimi insegnanti non ancora di ruolo. Incontro una docente che avevo visto nello stesso luogo un anno fa.

C’era una lunga attesa, ma in compenso il tempo è trascorso abbastanza in fretta, perché avevo incontrato un gruppetto di colleghe con cui avevo lavorato in alcune scuole negli anni passati. Affrontammo vari argomenti, ma quello che mi interessò maggiormente fu quello che riguardava l’ambiente scolastico.

Quando sentii raccontare un episodio in particolare, ne rimasi colpita.

Si trattava di un suo collega, insegnante di Ed. Fisica, che non poteva svolgere la sua lezione in una classe, a causa di un alunno sfrenato che si divertiva a disturbare i compagni, per cui il prof, dopo aver tentato tutti i possibili modi per metterlo in riga, ma senza alcun risultato, decide di informare il preside, con la speranza che la scuola prendesse qualche provvedimento, magari avvisando prima la famiglia.

Il dirigente minimizzò il problema, invitando l’insegnante a coinvolgere maggiormente l’alunno (come se il problema fosse quello!)

Il docente sempre più demoralizzato, per non essere stato sostenuto dal preside, né tanto meno dai colleghi, un giorno, dopo ripetuti atteggiamenti deleterei del ragazzo, perde la pazienza, allora chiama un bidello per sorvegliare la classe e forzatamente porta l’alunno in presidenza per accusarlo davanti al preside, perché una volta per tutte fosse intimorito e reso responsabile delle sue azioni. Il ragazzo recidivo non si piegò e con fare presuntuoso, non volle neanche ammettere le sue colpe.

Il paradosso fu che il dirigente prese le difese dell’alunno, colpevolizzando e umiliando il docente. Se ne uscì con questa frase: “Che cosa mi viene a raccontare? Se la sbrighi lei, se non riesce a farsi rispettare da questo ragazzo, significa che lei è un incapace!”

Conclusione: l’alunno vedendosi sostenuto nell’errore, non solo continuò a comportarsi in modo maleducato e distruttivo, ma recepì un messaggio contorto: secondo lui, il prof non era degno di rispetto, dato che era stato umiliato dal suo stesso dirigente! In pratica, la vittima (l’insegnante) ha dovuto tribolare con questo elemento per il resto dell’anno scolastico con gravi danni alla sua serenità e al profitto dell’intera classe.

RIFLESSIONI

Questi ragazzi che mancano di rispetto a taluni insegnanti, in particolare a quelli che non incutono loro molto timore, agiscono in funzione di un meccanismo che è identico a quello definito come bullismo. Quando i ragazzi, relazionandosi con i loro coetanei più indifesi si prendono certe libertà, prevaricandoli, umiliandoli e offendendoli, a tale fenomeno si dà la definizione di bullismo. Se lo stesso comportamento è tenuto nei riguardi di un docente che a tutti gli effetti non ha armi per contrastare il problema, essendo lasciato da solo da parte di colleghi e dirigente, la mancanza di rispetto da parte dell’alunno cambia definizione e viene chiamata “incapacità dell’insegnante”.

Secondo i termini di legge, un qualsiasi dipendente pubblico: ferroviere, postale, addetto alla sanità, vigile urbano, ecc. ecc. riveste nella società anche il ruolo di pubblico ufficiale, ne consegue che ogni minima mancanza di rispetto rivoltagli, prende la definizione di “oltraggio al pubblico ufficiale” ed è punita dalla legge. Anche un insegnante è un pubblico ufficiale, quindi in teoria anche lui dovrebbe rientrare nelle stesse regole e avere gli stessi diritti, invece la sua figura e la sua dignità sono spesso talmente surclassate da essere considerato ancor meno rispettabile della più infima figura di dipendente pubblico.

Stonerebbe moltissimo ad esempio se un vigile urbano, apostrofato e oltraggiato da un cittadino, subisse ulteriormente un rimprovero dal suo superiore in questi termini: “Guardi, non mi racconti certi fatti, è colpa sua, come mai ai suoi colleghi non succede la stessa cosa? E’ lei che non ci sa fare!”

Stranamente, quando un fatto increscioso si verifica a scuola, a nessuno fa impressione e sembra che sia un fatto normale dare la colpa alla vittima.

E vorrei concludere lanciando un appello accorato a quei dirigenti scolastici, la cui mentalità garantista di comodo non fa altro che danneggiare la scuola; dico ciò per ribadire tutto quello che ho scritto in questo libro.

Voi, cari dirigenti in questione, con un simile atteggiamento, non solo non diffondete messaggi educativi, ma soprattutto danneggiate la sensibilità e il diritto all’istruzione degli altri alunni che vorrebbero imparare! Col vostro comportamento, fingendo di credere che la colpa sia sempre da addossare all’insegnante, nascondete la verità che vi impedisce di comportarvi onestamente: vi manca il coraggio di affrontare i genitori degli alunni ineducati, per pigrizia o per paura! Non fate altro che disorientare i ragazzi o indurli ad una maggiore indisciplina.

Un atteggiamento simile è sicuramente da biasimare. Non mi resta che dirvi l’ultima cosa: se non avete attitudine verso questo lavoro, pensate piuttosto di dedicarvi ad altro!

Se questa società va male, è perché ogni persona che occupa un qualsiasi posto di lavoro, non sempre intende quel suo ufficio come servizio, ma come privilegio personale. A quel punto, quanto più è la carica elevata, tanto più è notevole il danno sociale che ne consegue.

SCUOLA E SOCIETA’

Siamo al corrente di un degrado generalizzato a vari livelli: a partire dall’ambiente di lavoro più ordinario fino a toccare l’apice nel ruolo più ambito: quello di chi ci governa, dove da tempo la corruzione regna su vasta scala.

In Italia la situazione è sempre più critica: i parlamentari guadagnano cifre astronomiche, hanno privilegi a mai finire, dicono e non fanno, ritardano le riforme, ecc.

Qualcosa pare stia per cambiare, tutti se lo augurano e chi sa … forse alle Calende greche.

Non esiste potere giusto, se nella storia, per dominare i popoli, si è dovuto uccidere e usare la forza militare! Non è una regola fissa che vincano i migliori, comunque sono sempre i vincitori a fare la storia e chi vince ha ragione perché scrive la storia… “La legge è uguale per tutti” spesso è una frase svuotata di senso e la corruzione prolifera laddove maggiore è il potere. Se l’applicazione della legge non porta sempre alla pratica della giustizia, è perché all’interno delle leggi esistono troppi cavilli, forse creati appositamente, affinché alla fine sia possibile tradirne lo spirito o per concedere attenuanti o sconti a chi delinque sistematicamente.

Ahimè, cosa ha fatto il dio denaro! Un grande idolo che combina disastri e continua a rovinare il mondo e gli esseri umani! La causa dello svilimento o addirittura del sovvertimento dei valori è proprio l’ avidità di questo potente mezzo che condiziona chi ne è corrotto e non guarda in faccia nessuno!

Questi soldi, benedetti quando creano lavoro e benessere, spesso diventano una forma di dipendenza assurda e disumana, infatti chi guadagna cifre esorbitanti, non sapendo poi nemmeno più come utilizzarle, fa investimenti continui, quasi provasse gusto se riesce a non far usare il denaro agli altri. È paragonabile ad una perversione.

Certe persone non hanno più scrupoli e per amore del dio denaro calpestano la propria e la dignità altrui! Crede di poter comprare tutto, ottenere tutto coi soldi, come se avessero venduto l’anima al diavolo!

Ho potuto verificare inoltre che, più si è ricchi, più si è avidi e attaccati al denaro. Tanto per fare un esempio, tra chi adotta bambini a distanza, molti sono semplici lavoratori. È pur vero che, rispetto alla media, quelli che godono di una posizione molto agiata sono una piccola minoranza, comunque tra di essi sono piuttosto rare le persone generose.

Personalmente non ho una particolare preferenza per un determinato colore politico, credo che in qualsiasi partito ci possano essere persone all’altezza di governare con accortezza mandando avanti la “cosa pubblica”.

Esiste la persona onesta o la disonesta, ovunque, in ogni angolo della terra, il prepotente o il succube, l’aguzzino o la vittima, la persona sincera e la persona ipocrita o sleale.

In ogni ambiente di lavoro esiste il viscido e l’onesto, l’arrogante e il timido. Tra i personaggi politici della storia, pochi sono stati davvero onesti, e di questi alcuni assassinati, perché scomodi! Giunti ad alte cariche non è semplice non accettare compromessi e agire al limite della illegalità, a qualunque fede religiosa o partito si appartenga.

Nel mondo della giustizia, ad esempio, quanti hanno seriamente combattuto la mafia, pagando il prezzo più alto, come il gen. Dalla Chiesa, il giudice Falcone, Borsellino, il giudice Livatino e tanti altri ancora , sono stati veri eroi!

Non esiste il religioso giusto o l’ateo cattivo, o viceversa, perché persone fanatiche, che si professano religiose e si sentono nel giusto, però nella vita pratica commettono errori e reati, mentre ho conosciuto persone che si definiscono atee o agnostiche e nonostante ciò vivono secondo saldi principi, e qui mi sovviene la famosa frase evangelica: “Non chi dice: Signore, Signore, sarà salvato, ma chi fa la volontà del Padre”. Ecco perché prima di giudicare bisogna andare al di là dei pregiudizi e degli schemi.

Siamo dentro una crisi che non è solo economica, ma soprattutto dovuta all’assenza di valori. Questo “vuoto” si percepisce presso i giovani, che oltre a riflettere l’insicurezza e la precarietà di questi tempi, spesso sono lo specchio triste di famiglie che non sanno più fare il loro mestiere, o che magari essi stessi non hanno più valori morali. Già nella scuola pubblica, ad iniziare dalle elementari si apre uno scenario, a dir poco squallido!

C’è stato un peggioramento graduale, dovuto allo scadere della buona educazione da parte degli utenti della scuola, fino ad arrivare al punto attuale, che va ovviamente a discapito dei più esposti, di quelli in prima linea, cioè gli insegnanti, che spesso non sono rispettati nel ruolo che rivestono, sia dagli alunni, a volte persino da parte dei colleghi stessi (tra i quali esiste pochissima solidarietà) e molte volte l’incomunicabilità si riflette nel rapporto coi dirigenti scolastici.

Cercherò di entrare nel merito. I motivi principali del degrado sono questi: col cambiamento dei modelli comportamentali è cambiato il modo di relazionarsi tra giovani e adulti, i giovani non riconoscono autorità negli adulti. Inoltre i recenti governi hanno disposto “tagli di spesa”, proprio negli Enti più importanti, tra cui la scuola pubblica. Ultimamente gli insegnanti si ritrovano a dover gestire classi-pollaio, molto numerose e male assortite, per cui devono controllare alunni che a volte presentano delle difficoltà e avrebbero bisogno di un docente di sostegno, ma questo non viene assegnato, sempre per lo stesso principio del risparmio.

Durante i consigli di classe, al momento di discutere i problemi causati dalla indisciplina, se qualcuno propone una bella sospensione prolungata, la maggioranza tende a scegliere la via più morbida: chiudere un occhio, lasciando correre! Forse perché sanno a priori che i dirigenti scolastici non scelgono mai questa strada, o perché temono di doversi scontrare coi genitori o di rendersi “impopolari”.

Insomma, in molti casi il dirigente scolastico non vuole rogne! E hanno anche le loro ragioni, perché il piano di “razionalizzazione delle spese” e l’accorpamento degli Istituti, ha assegnato a ognuno di loro un numero imprecisato di plessi scolastici da gestire, e visto che le persone non sono macchine, si spiega come moltissimi di loro si sentano giustificati a gettare un po’ la spugna, perché fisicamente non potrebbero reggere… C’è anche da considerare che dietro l’alleggerimento delle sanzioni disciplinari si cela un’altra verità: se i dirigenti scolastici o il consiglio di classe dovessero essere più severi, dando agli alunni recalcitranti e recidivi sospensioni o, quando serve, l’espulsione dall’Istituto, si potrebbe andare incontro al fenomeno della dispersione scolastica: ragazzi che si ritirano, meno iscritti, meno frequentanti e quindi in una certa misura sarebbero messi a rischio posti di lavoro.

Allora i presidi, per non doversi scontrare con le famiglie e per fare gli interessi numerici della Scuola, alla fine trovano più semplice individuare il capro espiatorio nel docente di turno, liquidando le sue lagnanze con l’accusa di non saper gestire le classi! Se ne lavano le mani.

Per restituire credibilità alla Scuola, basterebbe tornare come un tempo a prendere delle misure serie nei confronti degli elementi di disturbo e dare segnali forti ai ragazzi quando sbagliano! Immediatamente si creerebbero le condizioni per poter lavorare normalmente e sarebbe tutto diverso! I ragazzi imparerebbero a considerare dirigenti e docenti come rappresentanti dello Stato, non come inservienti, darebbero loro rispetto e stima e i genitori vedrebbero la scuola come una istituzione seria, veramente importante e formativa.

”Ho persino assistito parecchio tempo fa ad una scena che ha dell’incredibile! Un ragazzo di terza media, un tipo molto alto e robusto ha messo le mani addosso al preside di una scuola media, perché non sopportava che questo lo invitasse a rientrare in aula! La cosa più inconcepibile è che il dirigente scolastico non gli abbia dato nessuna punizione!” Queste parole mi sono state riferite da un docente.

Quello che emerge nella Scuola, a differenza dell’epoca passata, almeno fino a oltre 40 anni fa, è che si tollera troppo l’indisciplina, sottovalutando quale dovrebbe essere la vera integrazione.

Tanti ragazzi sono troppo viziati, di fronte a troppi “sì”, questi figli non hanno regole da rispettare, non sono controllati nelle compagnie che frequentano, pensano di poter essere liberi in tutto e non sopportano alcuna regola.

I “moderni” genitori, immaturi più degli stessi figli, spesso offrono agli adolescenti una vita ricca materialmente, spesso al di sopra delle loro stesse possibilità, li circondano di abiti firmati, cellulari costosissimi e tecnologie all’avanguardia, e non si dedicano a loro come dovrebbero, per farli sentire amati, guidati e protetti.

Restando sul tema del comportamento deleterio di certi ragazzi, ogni tanto veniamo a conoscenza di fatti incresciosi. Ad esempio in un posto di blocco stradale ragazzi anche incensurati, non prendendo sul serio l’intimazione di “alt”, scappano col loro mezzo e sfortunatamente magari vengono uccisi. Ci chiediamo perché possa accadere questo. Proviamo a immaginare quale ruolo possa giocare il panico in un simile frangente, ma alla fine ciò che emerge è l’immaturità e l’irresponsabilità dell’ individuo, che fermato a causa di un’infrazione o di un semplice controllo, non riconoscendo nessuna autorità intravede la fuga come un suo legittimo diritto. La sua mancanza di educazione lo tradisce. Ecco perciò il risultato!

Il sistema che oggi vige nella Scuola la rende sempre più ingestibile! Quando il lavoro non si può svolgere per colpa di alcune mele marce, cosa si aspetta ad allontanarle? Non si dovrebbe consentire ai ragazzi maleducati di impedire a una maggioranza di volenterosi e rispettosi di poter usufruire di un servizio sancito dalla costituzione: il diritto all’istruzione.

Se non freniamo questi atteggiamenti dell’età adolescenziale, non facciamo altro che alimentare la mentalità mafiosa, quella stessa di cui ci riempiamo la bocca e facciamo finta di disprezzare nei congressi. La mafia è innanzitutto un modo errato di essere! È la mentalità contorta basata sul dominio del più spietato e prepotente, di chi sostituisce alla società e quindi allo Stato, il proprio “status”.

Confesso che nella scuola mi snerva l’adempimento di mille formalità: le continue assemblee, le proposte di progetti, gli aggiornamenti e tutte le complicazioni burocratiche che ci impegnano: teoricamente tracciamo delle linee che poi non risultano percorribili perché paradossalmente si trascura la parte essenziale: creare le condizioni per poter lavorare serenamente, per restituire dignità alla nostra figura di docenti, per restituire agli alunni la cultura e la formazione.

Bisognerebbe ricominciare proponendo e insistendo su quei valori sociali etici o religiosi (oggi in gran parte scomparsi) che devono stare alla base della scuola e di qualunque comunità.

Tutta una serie di provvedimenti ministeriali che indeboliscono l’istruzione pubblica tende sicuramente a favorire la crescita delle scuole private. Il quadro che si profila non è per niente roseo, perché “privato” significa anche “a pagamento” e visto che non tutti potrebbero accedere ai costi, c’è il rischio che un diritto fondamentale per molti venga alienato. Verso la stessa direzione, purtroppo, va cambiando anche il sistema sanitario. Si va sempre di più verso un tipo di società dove chi ha soldi può accedere ai servizi.

La nostra società sta vivendo un momento difficile: insieme a una serie di profondi cambiamenti, crollano molte sicurezze, ma non si è pronti ad affrontare le rinunce e i sacrifici richiesti. Si respira la violenza e in molte manifestazioni comportamentali domina l’aggressività.

L’ambiente scolastico riflette e soffre dello stesso malessere di questa civiltà, che pare non sia più in grado di arginare e tanto meno gestire la sua profonda crisi.

Vita da prof: dopo 20 anni di lavoro record di disturbi psichiatrici

La professione di insegnante comporta “usura psicofisica”

lo studio: Le patologie dei docenti v. Lodolo D’Oria

Uno studio rivela cifre sconcertanti:

ansia e depressione nell’87% dei casi Flavia Amabile

Roma

I prof andranno in pensione più tardi come tutti in Italia ma sappiamo a che cosa andranno incontro i nostri figli? La risposta è nel primo studio condotto in Italia sui docenti inidonei e sulle loro malattie realizzato da Vittorio Lodolo D’Oria, medico specialista che dal 1998 si sta occupando del Disagio Mentale Professionale negli insegnanti, con pubblicazioni dalle cifre sempre più chiare.

Gli inidonei sono i professori che hanno un esonero dall’insegnamento per malattia e che fino all’anno scorso hanno lavorato in segreterie e biblioteche e che ora il governo ha deciso di trasferire in ruoli amministrativi e tecnici (nei laboratori). Quello che emerge dallo studio è l’alta incidenza di diagnosi psichiatriche (il 64%) a dispetto del fatto che quella dei prof è considerata una professione a mezzo servizio, come sottolinea Vittorio Lodolo D’Oria nello studio. Questo lavoro continuato per cinque giorni, nell’arco di nove mesi l’anno, comporta un’usura psicofisica: l’87% delle diagnosi si riferisce a problemi ansioso- depressivi, il 13% si divide tra disturbi di personalità e psicosi. Le diagnosi psichiatriche sono 5 volte più numerose delle disfonie che a loro volta sono considerate “causa di servizio”, contrariamente alle prime. Un altro dato interessante è l’anzianità di servizio media al momento della diagnosi, circa 20 anni di lavoro continuativi in cattedra.

Non ci sono differenze sostanziali tra le varie zone d’Italia a conferma del fatto che non si tratta di malattie inventate ma che colpiscono tutti, indistintamente: al Nord il 37%; al centro il 30%; Sud e Isole 33%.

Dati analoghi si ritrovano anche all’estero a conferma che l’usura si riferisce al lavoro e non è una delle solite anomalie italiane. I prof sono la categoria a maggior rischio suicidio in Francia mentre in Inghilterra il rischio di suicidi è al 40%. In Baviera uno studio mostra come la maggior parte dei pre-pensionamenti per malattia fra i prof sia dovuta a disturbi psichiatrici. “Questo studio – spiega Lodolo D’Oria – dimostra che le patologie psichiatriche accusate dai docenti inidonei debbono essere ritenute patologie professionali. Il problema, comune ad altre nazioni – dove viene però affrontato con risolutezza – vede un Governo italiano distratto, che non attua studi epidemiologici su base nazionale, non valuta la salute della categoria professionale prima di licenziare le riforme previdenziali, ma al contrario penalizza i docenti (l’82% di questi sono donne) che si ammalano (decreto Brunetta, abolizione della causa di servizio, spending review).

I provvedimenti fin qui adottati dal Governo sono stati quelli di: allungare l’età pensionabile dei docenti senza prima aver valutato lo stato di salute della categoria; trascurare ad ogni effetto la preponderante componente femminile tra i docenti e la diversa suscettibilità delle lavoratrici di fronte al rischio delle patologie psichiatriche professionali come prevede anche la legge; cancellare la possibilità di dispensa dal servizio per gli inidonei permanentemente all’insegnamento; abolire la Causa di Servizio per la Pubblica Amministrazione col D.L. 201/11; collocare d’ufficio gli inidonei per motivi di salute nel ruolo amministrativo demansionandoli e dequalificandoli. Una sorta di accanimento – ai limiti dell’incostituzionalità – sui “deboli”, resi tali da malattie tra l’altro sviluppate durante il lavoro, dopo aver tolto loro anche la possibilità di richiedere un indennizzo a titolo di risarcimento”.

(Questo articolo riporta dei dati pubblicati via internet)

COLLABORAZIONE ZERO

Per l’insegnante dover badare alla disciplina e contemporaneamente alla didattica, è talvolta un compito davvero complesso. È come per un carabiniere dover rilevare le infrazioni e contemporaneamente istruire sul codice della strada.

Un tempo a proposito del ragazzo poco interessato si diceva: “Viene solo per scaldare il banco”. Oggi non è così: infatti vengono per disturbare, per sfidare l’insegnante, per mettersi al centro dell’attenzione.

Farò un esempio pratico descrivendo ciò che quotidianamente accade in una tipica classe con elementi indisciplinati. Se l’insegnante è rivolto verso la lavagna per correggere un esercizio, o per assegnare un compito, non può essere per niente rilassato, sapendo che, durante quegli attimi, all’improvviso può succedere di tutto.

Rendo l’idea attraverso un’altra significativa testimonianza di una mia collega.

“Insegnavo in una scuola media di un piccolo centro. Non ero girata, stavo solo correggendo un disegno ad un alunno, tutto è successo quasi sotto ai miei occhi:

nella frazione di un secondo, un ragazzo, (considerato la peste della classe), tira con violenza un pugno contro il volto di un suo compagno. Subito me ne accorgo, lascio il mio posto e allontano l’alunno violento.

Immaginerete la palpitazione e l’agitazione di quei momenti! Ho scritto una nota sul registro e sul quadernino personale (il minimo che potessi fare, oltre che sgridare il responsabile).

Un particolare rendeva più grave l’accaduto: l’alunno che aveva subìto, mi disse che il pugno era stato molto violento, poiché dentro il palmo dell’aggressore c’era un cilindretto metallico ad appesantirlo. Rimasi di stucco!

Ovviamente, dopo la lezione, decisi di recarmi in presidenza per mettere al corrente il dirigente della gravità dell’accaduto, ma lui minimizzò.

Sapete qual è il paradosso? Mi fu riferito che il giorno successivo all’accaduto, si erano presentati dal preside, i genitori dell’alunno che aveva commesso la violenza, al posto dei genitori della vittima, come ci si sarebbe aspettato, lamentandosi e chiedendo conto e ragione a tutti i costi! A loro avviso, se ciò era potuto accadere, era stato per colpa “dell’insegnante che glielo aveva permesso!”

Non è da escludere che questa possa essere stata una versione dei fatti alterata da parte del preside, intenzionato a mettere in cattiva luce l’insegnante. Una versione dei fatti davvero poco credibile. Come se, per assurdo, il loro figlio, prima di commettere il gesto, mi avesse chiesto il permesso e io glielo avessi accordato! Roba da pazzi!

Sempre dando credito a quanto dichiarato dal dirigente, a mio avviso, questi genitori, adottando la strategia della difesa a oltranza, si fingono quasi vittime, aggredendo verbalmente il preside, proprio per evitare di essere messi in discussione. Sembra infatti che siano riusciti nel loro intento! Lui, dal carattere sicuramente molto debole, ha dato loro ragione e non solo, nello stesso tempo ha trovato nell’insegnante il capro espiatorio!

Tornando al discorso dell’alunno violento, non solo egli è stato nocivo al compagno, ma a tutta la classe per il suo cattivo esempio, e al docente, dato che i genitori dell’alunno hanno fatto di tutto per sminuirne la figura, accusandola di non saper svolgere il proprio lavoro”.

Riflessioni

E tanto per ribadire il mio concetto: ci sono dirigenti che spesso passano dalla parte del più prepotente, in questo caso dei genitori e si permettono di calpestare la dignità dei docenti, come dimostra ciò che sto per raccontare.

L’insegnante continua:

“Il giorno successivo, vengo richiamata dal preside che mi umilia, dicendomi che non sono adatta a fare l’insegnante, che dovrei cambiare lavoro perché non sono capace di gestire le classi!

Gli ho risposto che non ho sviluppato ancora la capacità di essere come “la mamma degli incredibili”, capace di allungare gli arti a dismisura e bloccare fulmineamente ogni azione indesiderata che si svolge a distanza. Nel nostro caso, il gesto dell’ alunno che stava per commettere il gesto violento!”

Riflessioni

Se la docente in questione avesse abbandonato la classe, oppure avesse fatto i cruciverba, o qualcosa di personale, allora sì che il preside avrebbe avuto tutte le ragioni per ammonirla, ma in questo caso, dato che stava svolgendo regolarmente il suo lavoro, è stata solo colpevolizzata ingiustamente!

In molti casi, quando un docente prova a riferire al dirigente i problemi disciplinari della propria classe o riguardanti qualche alunno in seno alla stessa, questo anziché avvalorare quanto dichiarato dal docente, intraprende una vera e propria inquisitoria, dove a tutti i costi devono risultare “perbene” gli alunni e dubitabile la versione dell’insegnante.

Come se in un ospedale la diagnosi effettuata da uno specialista, che mette in risalto le patologie di un paziente, venisse travisata dal primario che reputa irrilevante la patologia diagnosticata e quindi non necessarie le cure del caso.

È questo che accade spesso nelle scuole in cui non esiste fiducia tra dirigente e docente.

Inoltre capita che molti presidi deleghino gran parte delle loro funzioni ai loro collaboratori, (cosa indispensabile per il funzionamento di un’Istituzione) senonché questi il più delle volte finiscono per assumere brighe che a loro non dovrebbero competere, specie quando influenzano anche negativamente l’opinione che il dirigente dovrebbe autonomamente formarsi circa il personale.

L’insegnante racconta:

“Amareggiata, decido di consegnare al preside una lettera protocollata, in cui mettevo per iscritto ciò che era successo in quella classe, non solo con la finalità di esortarlo a dare un’adeguata punizione all’alunno violento, ma anche per metterlo dinanzi alle sue responsabilità e nello stesso tempo puntualizzare che era inutile tutta quella messa in scena, dove finiva per essere colpevolizzata la sottoscritta, accusata di essere incapace nel mio lavoro! Desideravo una sua risposta per iscritto, esigevo correttezza e trasparenza.

Il dirigente, invece, fece finta di niente e non rispose mai a quella lettera, ovviamente perché chi scrive, si espone e a lui non l’avrebbe mai fatto!

E come se non bastasse, dopo un po’ di tempo, si verificò un altro episodio spiacevole in un’altra classe.

Un alunno mi offende, per averlo esortato a seguire la lezione, mi sfida, con un atteggiamento da delinquente. Logicamente, ho agito con molta cautela, per non rischiare di passare dalla parte del torto, ma gli dissi che quel suo atteggiamento eccessivamente scorretto, gli sarebbe costato caro!

Pensavo infatti di informare il preside con una lettera, dato che le parole, con lui, erano sempre buttate al vento e nonostante avessi verificato che non usava rispondere per iscritto, decisi di insistere consegnandogli un’ulteriore lettera protocollata, con la speranza che questa volta mi rispondesse.

Non ebbi alcuna risposta; allora informai i miei colleghi, ma anch’essi fecero orecchie da mercante!

Vedendo che l’alunno non aveva avuto alcun richiamo e nessuna punizione da parte della scuola, continuò a fare lo spavaldo con la solita aria da prepotente.

I miei colleghi in sordina si lamentavano continuamente di questo alunno, atteggiandosi a povere vittime, ma poi non prendevano alcuna iniziativa per affrontare realmente il problema.

Forse commisi un solo errore, probabilmente perché ero ancora agli inizi della mia carriera lavorativa: quello di non aver denunciato il dirigente scolastico, per omissione di atti d’ufficio!”

L’ INEFFICACIA DEI PROGETTI EDUCATIVI

La cosa più assurda, a mio avviso paradossale, è l’ipocrisia, in quanto si promuovono progetti, megaprogetti e corsi mirati alla formazione degli alunni, nonché degli insegnanti, come l’educazione stradale, l’educazione alla sessualità, all’affettività, ecc…

In realtà si investono tanti soldi, destinati poi ai soliti quattro insegnanti di ruolo, spesso i più anziani e più delle volte ai vicepresidi, ai dirigenti e naturalmente agli esperti chiamati nella scuola dal mondo esterno. Molto spesso, l’utilità e il beneficio di questi progetti non è neanche percettibile da parte degli alunni e in molti casi l’operato non è quantificabile, lasciando la loro traccia solo in quanto atto burocratico.

Molte volte, quegli stessi “avvoltoi” che tutti gli anni si spartiscono la torta, quando parlano, si danno arie da benefattori.

Morale: si sacrifica l’interesse dell’utenza per via dell’inefficienza del personale, a cui viene “integrato” un compenso allo stipendio, rimasto bloccato dalla contingenza, per accontentare la “parvenza” della scuola, in modo che sembri tutto perfetto, senza che nulla migliori.

Credo, tanto per fare un esempio banale, che l’amministrazione potrebbe usare gli stessi introiti per assumere un docente in più, un semplice insegnante di sostegno a favore di qualche alunno disagiato, o per la minuta manutenzione dell’edificio.

La riforma scolastica in base alla quale si dovevano migliorare gli standard di competitività e produttività, nella realtà, quasi puntualmente, si sono ridotti nell’ennesimo spreco. Le sovvenzioni distribuite alle scuole per finanziare i progetti e quindi migliorare il servizio, si trasformano più delle volte in una specie di cuccagna alla quale tutti i più scaltri cercano di arrivare.

In pratica, quello che all’origine sarebbe stato destinato ad innalzare il livello dell’offerta formativa, si utilizza per gonfiare le buste paga dei soliti noti, senza badare alla formazione degli alunni.

Allo stesso modo, nell’amministrazione statale si è parlato tanto di un grande progetto, quello della costruzione del ponte tra Reggio e Messina, che richiederebbe costi elevatissimi, mentre i progetti più essenziali, come miglioramenti di strade, scuole, centri urbani ormai fatiscenti, ecc. e altre opere di primaria importanza sembra debbano passare in secondo ordine.

Ciò accade perché a livello ministeriale si vorrebbe pensare a una Scuola del tutto simile ad un’Azienda privata, in cui la competitività tra gli addetti, dovrebbe in teoria migliorare la qualità del servizio e snellire i costi, invece nella realtà avviene l’esatto contrario: il risultato che si ottiene è un capovolgimento degli scopi e anziché essere il servizio a beneficiare del miglior impiego delle risorse umane, sono queste ultime ad approfittare e tante volte a strumentalizzare queste sovvenzioni, messe a disposizione, poiché la quantificazione e la valutazione dei progetti svolti, viene gestita tramite criteri prettamente burocratici, che sfuggono ad ogni confronto concreto.

Oltre a questo enorme spreco di risorse, intorno a taluni progetti inutili, un effetto negativo che si è venuto a creare negli anni, è stato anche una crescente rivalità tra colleghi, in particolare, tra chi può avere accesso ai progetti e a chi ne è escluso.

Ne è nato un clima di scarsa collaborazione e conseguente scarsa disponibilità generalizzata, cosicché il servizio che avrebbe dovuto teoricamente guadagnarci, ne è risultato invece penalizzato.

OSTINAZIONE DIDATTICA

Uno dei motivi dell’indisciplina da taluni studenti deriva pure dall’assoluta mancanza di attitudine allo studio.

Subentra, da parte delle rispettive famiglie una sorta di ostinazione nel voler a tutti i costi far conseguire al proprio figlio il cosiddetto “foglio di carta”, indipendentemente dalle predisposizioni del ragazzo e dalle sue attitudini all’apprendimento. È come se si volesse trascinare a viva forza all’ abbeveratorio l’asino che non vuole bere.

Il risultato più ricorrente di questa specie di “accanimento didattico” è una delle cause delle demotivazioni e del fallimento scolastico di tanti studenti che nella classe assumono comportamenti destabilizzanti.

Probabilmente bisogna rivedere il significato di Scuola dell’obbligo, non fissare per legge una fascia obbligatoria a prescindere, ma offrire allo studente che non è “pronto” per lo studio, altre opportunità di recupero o integrazione della propria formazione.

Qualcosa del genere già da tempo esiste ed è con l’istituzione delle scuole serali, però purtroppo, ancora una volta la Scuola diurna svolge quell’ingrato compito di accanimento sui figli di genitori lavoratori, per i quali fino all’età avanzata (16-17 anni) necessita una struttura che in un certo senso si faccia carico della funzione del “baby sitter” e fino a quando non potrà essere riscattata dall’adempimento di questa incombenza, la Scuola dell’obbligo farà fatica a riscattare la propria dignità

PATTO EDUCATIVO DI CORRESPONSABILITA’ SCUOLA – FAMIGLIA

Gli alunni si impegnano a:

1) Conoscere il Piano dell’ Offerta Formativa ed impegnarsi nella realizzazione dello stesso.

2) Avere cura della propria persona e delle proprie cose.

3) Rispettare tutti gli adulti: dirigente, insegnante, operatori scolastici, esperti.

4) Rispettare tutti i compagni, ascoltandone e rispettandone le opinioni anche se divergenti, aiutandoli in caso di necessità, non disturbando durante l’attività didattica.

5) Rispettare l’ambiente, utilizzando correttamente le strutture, le attrezzature e i sussidi didattici e a comportarsi nella vita scolastica in modo tale da non arrecare danni al patrimonio della scuola.

6) Prestare attenzione a ciò che avviene in classe, partecipando in modo costruttivo allo svolgimento delle attività.

7) Svolgere regolarmente i compiti assegnati a casa, considerandoli come la giusta riflessione personale sul lavoro svolto a scuola.

8) Ascoltare e mettere in pratica le indicazioni degli insegnanti sul piano del comportamento e dell’apprendimento.

9) Questo foglio è stato redatto da una Preside.

Ho voluto mettere in risalto la distanza che spesso esiste tra le regole promulgate e quelle realmente applicate. Ciò evidenzia un formalismo dominante, secondo il quale i bei propositi sopravvivono spesso solo sulla carta.

QUALI STRATEGIE ADOTTARE

Dando per scontato che ogni docente deve impegnarsi al massimo, aggiornandosi continuamente e rivedendo il suo operato, poiché l’insegnante è un educatore, deve far conoscere le regole, il comportamento sociale e morale necessario in una comunità; prima di intraprendere lo svolgimento del programma didattico si deve raggiungere tale obiettivo.

Quali sono le strategie? In un primo luogo conquistarsi la stima, il rispetto e la fiducia. Questa capacità innata in alcuni docenti, può acquisirsi poco per volta attraverso lo studio psicologico dei singoli allievi, che non vanno mai messi in crisi con comportamenti incoerenti, troppo severi o troppo permissivi. In definitiva l’alunno deve vedere nel proprio insegnante il migliore degli insegnanti. Non è difficile se si instaura un rapporto affettivo: in tal caso l’alunno non volesse sfigurare agli occhi del docente e allo stesso modo il docente non voglia deludere le aspettative del discente, aspettative il più delle volte consistenti in una certa fermezza e in una certa dose di severità, purché imparziale, cioè uguale nei confronti di tutti i ragazzi.

L’alunno “normale” che si vede guidato da una mano decisa e autorevole e che sente che la scuola è una Istituzione predisposta per il suo miglioramento e la sua crescita, difficilmente si comporterà male. Se ciò si verifica, è segnale di richiesta di aiuto: in questo caso il docente accorto deve indagare e scoprire le cause del temporaneo disagio.

Quante volte l’assistente sociale ha scoperto tristi condizioni familiari, genitori che stanno per separarsi, cattive influenze ambientali, ecc.

L’équipe psico-socio-psicologica dovrebbe agire presso ogni Istituto scolastico, o per lo meno essere presente al momento della segnalazione per potere individuare un idoneo mezzo di intervento.

Da ricordare che i mass- midia, i films basati sulla violenza, sul turpiloquio o la comicità di bassa lega, fanno presa sul ragazzo in formazione e avido di nuove scoperte, dandogli una visione distorta della realtà, che è però fittizia, in cui vengono estromessi o non hanno posto valori etici o semplicemente del vivere civile.

Quello che di negativo l’alunno apprende per strada, si diceva un tempo, deve essere vagliato e criticato dalla scuola; oggi la situazione è anche peggiorata a causa di comportamenti veicolati dalla televisione, da internet e da films dozzinali.

I problemi restano insoluti quando i dirigenti scolastici, informati del disagio dell’alunno e conseguentemente del docente, ignorano o minimizzano il problema, lasciando l’insegnante da solo, non prendendo nessuna iniziativa. Se non insegniamo agli adolescenti e ai bambini che anche il professore meno severo è degno di rispetto, non facciamo altro che alimentare la legge del più forte, quindi del bullo, del mafioso!

Continuando di questo passo, un giorno si potrebbe arrivare a registrare fenomeni come quelli che si verificano già in America, dove scolari arrivano armati e consumano delitti all’interno della scuola.

Nei nostri tempi l’Istituzione scolastica è paragonabile ad una fortezza assediata dall’esterno, mentre all’interno non è avvertita abbastanza l’urgenza di solidarizzare e stabilire un piano comune per sostenere l’emergenza.

LA PROF. “CATTIVA”

In questo capitolo torno indietro di 37 anni fa e cercherò di descrivere il personaggio di cui parlerò: la professoressa di Applicazioni tecniche (tecnologia) della scuola media di Palermo che frequentavo.

Sinceramente non ricordo il suo nome e cognome (anche se in ogni caso non cambierebbe nulla, perché non lo citerei), ma credetemi, non dimenticherò mai il suo aspetto e la sua personalità davvero buffa e molto strana. Cercherò di descriverla il più fedelmente possibile in tutti i suoi dettagli.

Lei era il “terrore” di tutta la classe! Con lei non si poteva comunicare, non si poteva ridere per nessun motivo! Nonostante questo “rischio”, trattenersi risultava la cosa più difficile, perchè bastava un semplice suo sguardo che intendeva fulminarti, o bastava che entrasse in classe e immediatamente veniva spontaneo scoppiare a ridere. Questo “incidente” successe proprio a me, essendo di fronte a una scena troppo comica, un giorno non ce la feci proprio! Appena lei entrò in classe, mi scappò una risata e vedendo la sua reazione ancora più comica del solito, non riuscivo più a contenermi. Fu inevitabile il contagio ai miei compagni, ragion per cui la prof si imbestialì!

Prima di cominciare la lezione, passava per i banchi, o a volte rimaneva al suo posto e scrutava uno per uno tutti gli alunni, come se facesse la “radiografia”. Passavano almeno dieci minuti.

Era un donnone altissimo e robusto, direi mastodontico, sui quarantacinque anni, sembrava ancor più alta per via della montagna di capelli, color nero corvino, che incombevano sulla sua persona, anche il suo abbigliamento era sempre molto cupo, spesso vestiva di nero.

Una volta notai, insieme ai miei compagni, un enorme buco sui suoi collant, in corrispondenza del ginocchio, grazie all’accavallamento delle gambe che avevano un po’ alzato l’orlo della gonna.

Quando la prof. entrava in aula, atterriva persino le mosche! Se lei ne avesse visto qualcuna volare, il suo sguardo l’avrebbe fulminata e sarebbe caduta per terra, stecchita!

E prima che arrivasse lei, in classe, al suono del campanello per il cambio dell’ora, tutti noi compagni, eravamo eccitatissimi, forse veramente impauriti. Dicevamo: “Arriva, arriva! Silenzio! Silenzio!”

In effetti la sua fobia era il rumore; il minimo bisbiglìo la feceva andare in bestia e con lei non si scherzava!

Entrava, con incedere molto lento, come se ci fosse una moviola a rallentatore, il suo atteggiamento era quasi inquisitorio, perchè doveva verificare che tutti gli alunni rispettassero il massimo silenzio (era già tanto che respirassero). I suoi occhi neri e circospetti, con quelle sopracciglia folte e ravvicinate, le conferivano uno sguardo penetrante, anzi direi perforante, con un’ espressione mimica corrucciata, esageratamente seria e dura, di una severità mai vista, tale da suscitare sgomento. Era soprannominata: “la prof. cattiva”.

Tutto sommato, non era poi così cattiva come sembrava, ma la sua presenza metteva in noi ragazzi soggezione e addirittura paura, ancora più di un carabiniere. Non alzava mai la voce (tranne se qualcuno si metteva a ridere), perchè non ce n’era bisogno, bastava un suo sguardo o una parola. Da un punto di vista disciplinare, riusciva a mantenere una disciplina totale e di conseguenza il nostro rendimento era abbastanza buono. Nulla da eccepire!

Da un punto di vista teatrale, era l’ideale per ispirarmi a creare un personaggio comico da imitare, infatti spesso nei momenti di svago, mi divertivo facendo ridere gli altri, imitandola. All’epoca le imitazioni erano il mio forte.

Adesso torno al presente. Tiro le mie conclusioni, perchè solo adesso riesco a guardarla con gli occhi di un’adulta, anzi di una docente. Lei aveva scelto questo “personaggio”, probabilmente perchè non possedeva le qualità della simpatia o della comunicatività (ognuno ha un suo carattere), o magari perchè era insicura e il suo atteggiamento scaturiva da un’eccessiva difesa. L’importante era però raggiungere l’ obiettivo: tenere sotto controllo la classe, e in questo riusciva abbastanza bene. Non è da ritenere che la sua indole fosse antipatica e acida, come appariva. Il lato positivo era che come docente non si stressava più di tanto, anche se non appariva rilassata.

Solo alcuni anni fa decisi di pubblicare un breve video su youtube (tra i tanti) in cui mi sbizzarrivo a impersonare la prof .”cattiva”, ma devo precisare una cosa: ho dovuto esagerare, ne ho fatto la caricatura a tal punto da sconfinare nel paradosso, per essere più teatrale.

In conclusione, tornando al suo personaggio reale, dato che i tipi si ripetono, esistono sicuramente alcuni docenti che assomigliano a lei, che non riescono a suscitare quella particolare simpatia e affabilità.

L’insegnante che ho descritto però è stata unica! Resterà indelebile nella mia memoria.

RICORDI DI UN’ INSEGNANTE

Non potrò mai dimenticare l’esperienza vissuta il terzo anno d’insegnamento nella scuola media. Era il primo anno che insegnavo la mia materia, avevo nove classi. L’entusiasmo era tale che trasmettevo agli alunni la mia gioia nel dare. Mi sentivo come la mamma di tutti perché sono anche abbastanza protettiva.

Conservavo una bellissima idea del lavoro di insegnante, forse perché questo lavoro si tramandava nella mia famiglia.

Ricordo quando all’età di cinque anni, un giorno, accompagnata da mia madre, mi recai nella scuola elementare dove insegnava mia nonna ad Agrigento. Era l’ultimo anno della sua carriera lavorativa. Entrai in classe, i suoi alunni erano tutti seduti, composti, attenti.

Mia nonna spiegava la lezione e se qualcuno si distraeva, bastava un suo sguardo per richiamarlo all’attenzione.

Lo stesso anno già frequentavo la prima elementare. La mia maestra si chiamava Clara Masi. Riusciva a tenere tutte le alunne concentrate e attente; mi stimava tantissimo e anch’io nutrivo per lei molta stima. Amavo la Scuola in quegli anni.

Quando mia madre, dopo diversi anni di insegnamento, vinse il concorso come direttrice didattica, lasciammo Palermo per raggiungere un piccolo paese della Sardegna: Laconi.

Lì frequentai la seconda e la terza elementare, proprio nell’ Istituto dove mia madre occupava il posto di direttrice. Erano tempi meravigliosi, quasi come in un sogno. La Scuola rifletteva la società in cui si viveva all’epoca.

Mia madre era tanto stimata dagli insegnanti e dai bambini. Non potrò dimenticare la mia classe. Avevo un rapporto molto sereno con i miei compagni. Non scorderò il mio maestro: Annibale Virgilio. Che splendida persona! Un uomo di mezza età, molto giovanile e soprattutto sui generis. Si faceva volere bene perché molto paziente, sensibile e premuroso. Aveva dei metodi di insegnamento tutti suoi. Ad esempio quando ci interrogava sulle tabelline, formava due file ai lati della cattedra. Chi rispondeva prima, restava lì, al primo posto, mentre chi rispondeva dopo, restava in coda. Ci assegnava un punteggio. Mi divertivo da matti, forse perché ero la più veloce a dare le risposte.

Il maestro a volte ci faceva uscire, ci portava a fare lunghe passeggiate nel boschetto, situato non lontano dall’ edificio scolastico. Ci parlava degli alberi, delle piante, della natura.

Mi ero molto legata a lui, gli volevo bene, tanto che quando dovemmo lasciare Laconi, per ritornare a Palermo, dove mia madre ottenne il trasferimento, piansi, perché dovevo separarmi dalle amichette, dai miei compagni e dal mio maestro.

Poi frequentai la quarta e la quinta nella bella scuola e sede centrale “Luigi Capuana” della mia città natia, dove lei prese servizio sempre come dirigente. Anche di questo periodo ho bei ricordi.

Avevo un’idea molto idealizzata dell’insegnante, quasi poetica.

Durante gli anni della scuola media, nella mia classe si alternarono diverse professoresse, logicamente c’era quella simpatica, o quella per niente simpatica; la prof che sapeva comunicare agli alunni, o quella più chiusa, che di capacità non ne aveva granché.

In prima media, avevo dieci anni, avendo iniziato con un anno di anticipo. Il comportamento della prof di Ed. Artistica fu per me deludente perché un giorno usò con me un atteggiamento strano e poco ortodosso: avendole mostrato un disegno che avevo eseguito a casa (un ritratto a figura intera di una mia compagna, copiato dal vero, direttamente a penna) molto verosimile, sia per l’espressione del volto, che per la proporzioni rispettate, dopo averlo osservato mi chiese: “Me lo regali?” Le dissi: “No, non posso”. Mi rispose: “Se non me lo dai, ti boccio!”

Terrorizzata dalla minaccia, a malincuore glielo diedi. Credo che la prof non sarebbe arrivata a tale meschinità, se mi fossi opposta, ma per paura, presi alla lettera le sue parole.

Proiettiamoci adesso nel futuro, torniamo al presente, mentre rivesto la figura di insegnante.

Che strana sensazione è stata quella del primo giorno di scuola! E quanti pensieri mi balenavano per la mente. “Chissà che impressione darò agli alunni! Come mi vedono? Mettendomi nei loro panni e immaginando le loro aspettative, cercherò di risultare perlomeno simpatica, soprattutto perché vorrei fare amare la mia materia e se ci riuscirò il lavoro sarà più semplice”. Pensavo: “Devo fare molta attenzione, perché se mi mostrassi troppo tenera, loro se ne approfitterebbero e non mi rispetterebbero!”

In conclusione sono riuscita ad accattivarmi la simpatia di tutti gli alunni.

Un episodio davvero comico è che ad ogni cambio dell’ora un gruppo di ragazzini (maschi e femmine) quasi litigavano per accompagnarmi nell’altra classe, per l’ora successiva, perché avevano il piacere di portarmi l’occorrente: la borsa, la cartelletta, i registri e siccome non sapevano più cosa portare, qualcuno mi prendeva persino la giacca o il foulard!

Una volta, una ragazzina di prima mi disse: “Prof. e io cosa le porto?” Risposi: “Niente, ti ringrazio, vai al tuo posto”. Lei non si arrese e disse: “La prego, mi faccia portare qualcosa!” Per accontentarla subito mi venne un’idea, così le dissi: “Ok. Porta la mia mano!”

La scena fu davvero comica, ci incamminammo tenendoci per mano, mentre gli altri compagni ci seguivano portando il materiale.

Notavo l’espressione dei miei colleghi che ci guardavano stupefatti, quando capitava di incrociarli nei corridoi. Un giorno un mio collega mi fece un’ osservazione: “Sai che non è possibile che gli alunni accompagnino l’insegnante?” Con disinvoltura risposi: “Sì, lo so, ma vedi se riesci tu a fermarli!”

Da quel giorno non provò più a dirmi niente.

L’ultimo giorno di scuola, tutti gli alunni mi hanno consegnato affettuosamente un grande foglio con i propri disegni piena di frasi e dediche molto emozionanti, era la loro lettera di addio, alcune ragazzine avevano le lacrime agli occhi.

ALTRI RICORDI

In un’altra scuola, in un altro periodo, ricorderò con affetto un’alunna di terza: Paola. Penso che sia un genio, perché aveva 10 e lode nella mia materia e il massimo dei voti in tutte le altre discipline! Che meraviglia! Oltre alle sue qualità intellettive e artistiche, è anche molto docile ed educata. Ricordo con simpatia alunni e alunne con uno spiccato senso artistico e tanta volontà.

Una volta, in un’altra scuola, successe un fatto particolare.

Un’alunna mi aveva consegnato un disegno da valutare: era un compito assegnato da svolgere a casa. Mi colpì la precisione, il contrasto tra ombra e luce e la bellezza dei colori. In un primo momento mi complimentai con lei, però dopo un po’ mi accorsi di qualcosa che non quadrava: il suo disagio, ma soprattutto la media dei suoi precedenti voti, vicini alla sufficienza. Per maggiore sicurezza volli accertarmi, così confrontai il nuovo disegno con gli altri e notai che questo apparteneva ad un’altra mano.

Non mi alterai minimamente, una mia caratteristica è che rimango imperturbabile dinanzi a simili episodi, sono una persona calma e molto paziente.

Presi il disegno, misi il voto sul retro e dissi all’alunna: “Merita 10! È bellissimo.”

Poi ripresi: “Sappi però che non trascriverò il voto sul registro, dato che questo non sarà considerato tuo”.

La ragazzina, stupita, mi disse: “ Perché prof.?”

La guardai negli occhi, con benevolenza, e le dissi: “ Perché non l’ hai fatto tu! Di chi è?”

Rispose: “ Prof, ma come ha fatto ad accorgersene? L’ ha fatto mia madre.”

Per minimizzare e per “colorire” un po’ la situazione imbarazzante, ripresi: “Fai i complimenti a tua madre da parte mia!” Presi il disegno e vicino al voto scrissi: “Congratulazioni, signora!”

Le dissi: “ Mi raccomando, non si ripeta mai più!”

Ovviamente ho avuto tante altre soddisfazioni nel mio lavoro dell’insegnamento: la stima e la fiducia da parte degli alunni e la conoscenza con alcune colleghe: valide persone, che si possono incontrare in ogni ambiente di lavoro.

LETTERA DI DUE GENITORI

Ciao carissima,

non c’è alcun bisogno di chiedere consensi per scrivere e raccontare cose derivanti da storie vere, che rappresentano capitoli di vita vissuta con la tua altissima professionalità episodi che hanno costruito come tasselli, la vita non solo lavorativa, ma anche emotiva, di una persona dolcissima quale tu sei, non ti ringrazieremo mai abbastanza per quello che hai fatto e per quello che hai rappresentato per nostro figlio.

In qualsiasi chiave tu l’abbia descritto, non può essere che quella di vita vissuta in situazioni reali, che sicuramente hanno segnato la tua vita e la tua esperienza, voglio solo leggerti, per condividere con te tutte le emozioni che la scuola ti ha dato, a Presto, carissima Olga. Un bacio a tutti ….

Lettera firmata

LETTERA AL PAPA

Sua Santità Papa Francesco,

la ringrazio sentitamente per la sua bella lettera che ho ricevuto, tramite il suo segretario.

La rendo partecipe della prossima mia pubblicazione che riguarda un argomento molto delicato e attuale: il degrado della scuola.

Il mio obiettivo è abbastanza alto, anche se non mi illudo che la situazione della scuola, essendo il riflesso nella nostra società, possa cambiare così facilmente.

Con l’aiuto di Dio e con un po’ di ottimismo, però mi sento in dovere di dare un mio contributo, per sensibilizzare gli altri, in modo che ognuno di noi possa assumersi le proprie responsabilità nel ruolo che gli compete.

Soltanto in questo caso possiamo diventare strumenti di pace e portatori di amore: infatti soltanto la preghiera non servirà a cambiare il mondo se non si mettono in pratica rispetto, carità e amore per gli altri, cominciando nell’ambiente di lavoro della nostra quotidianità.

La scuola pubblica è una cellula della società, e come tale le vanno attribuiti importanza e rispetto, poiché la scuola è anche una scuola di vita.

Nell’ambiente di lavoro si vivono disagi che compromettono la salute di tanti dipendenti scolastici, ciò va a discapito del rendimento degli studenti.

Le chiedo una sua benedizione.

La ringrazio di cuore, porgendole distinti saluti. Dio benedica e renda proficuo il suo lavoro nel mondo oltre che nella Chiesa.

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