Contro ogni guerra: una storia vera

Contro ogni guerra: una storia vera

di Francesco Bellanti

UNA TRAGEDIA INUMANA

Il 4 Novembre è la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. Si celebra l’Armistizio di Villa Giusti in vigore dal 4 novembre 1918 e la vittoria dell’Italia nella Prima guerra mondiale. L’unica festa nazionale celebrata da tutti, dall’età liberale al ventennio fascista, all’Italia repubblicana.

Racconto una storia vera, tragica, scritta tempo fa. 

Il quartiere di piazza Sant’Angelo, a Palma di Montechiaro, il paese del Gattopardo, dove sono nato e ho vissuto per gran parte della mia vita, un tempo era uno dei più popolosi e pieni di vita del centro storico e con personaggi straordinari, e u pinu Saro Lauricella u picuraro era uno di questi.

Il quartiere era praticamente racchiuso in una piazza, ed era fino agli anni ‘70 una piazza arcadica, pastorale, sembrava sempre il sabato del villaggio, c’era un po’ di tutto, negozianti, calzolai, falegnami, contadini, anche due caprai, un fornaio, insomma, era un quartiere autonomo. 

Io, giovane liceale, nel tardo pomeriggio, dopo avere terminato gli studi, appena vedevo u pinu Saro (che in italiano forbito ma senz’anima sarebbe “il signor Rosario”), di fronte casa mia, dall’altra parte della piazza, andavo da lui a sentire le sue storie della Prima guerra mondiale, che egli aveva combattuto da eroe. Di queste storie, u pinu Saro era un grande narratore, e le trasformava in racconti epici, e si immedesimava in esse a tal punto che credeva che fossero realmente accadute, e così trasformava la sua vita in qualcosa di epico e leggendario. 

Queste storie io me le facevo raccontare da lui quando non c’era mio nonno Ciccio con noi, che lo distraeva perché gli faceva sempre domande per appropriarsi di queste storie e farle passare per proprie, perché lui non aveva partecipato a quella guerra. Ne raccontava così tante sulla Prima guerra mondiale, che potrei scrivere un romanzo sulle sue avventure o disavventure. Forse nacque lì la mia vocazione a scrivere storie. Mi raccontava di quando andava con i suoi commilitoni a rubare galline per la fame, o di quando andavano a prostitute, e così via. 

Ma la storia che mi faceva ridere di più era quella in cui, mentre in un fossato vicino alla sua trincea stava per fare i suoi bisogni corporali, insomma, doveva “diporre il superfluo peso del ventre”, diciamo alla Boccaccio, una bomba gli passò sotto i testicoli e lo fece balzare in aria di un metro per poi cadere nella stessa posizione in cui era senza toccare nemmeno la cacca. Un metro? Che dico, due metri. E a ogni ripetizione diventavano tre, quattro metri, fino a quando non fece un triplo salto mortale e allora capì che stava esagerando e non poteva più andare oltre e si fermò. 

Un giorno, dopo tante esilaranti avventure, lo vidi con le lacrime agli occhi, era la prima volta. Pensai che fosse perché non aveva storie da raccontare, ma non fu così. “Sai – mi disse, naturalmente in nobile siciliano, che io traduco nel volgare italo idioma – c’è una cosa che non ho mai raccontato a nessuno, e che mi porto dentro da sempre, è un peso enorme. Tu sei il primo, e spero che ne farai tesoro. Una volta, mentre mi ero allontanato dalla trincea, non ricordo adesso per quale motivo, mi imbattei in un austriaco che in un fosso stava facendo i suoi bisogni. Gli dissi ‘mani in alto’ col moschetto e lui si alzò, e praticamente nudo obbedì.

Potevo farlo prigioniero, la trincea era a cento metri, avevo il moschetto puntato contro di lui e il suo era ai miei piedi. Lui farfugliò qualcosa, forse era per dirmi di non perdere la testa e di stare calmo. Era un austriaco bellissimo, alto, biondo, con gli occhi azzurri, un angelo. Forse aveva 22 anni, 23. Io rimasi qualche minuto a puntarlo, poi mi innervosii perché lui continuava a gridare, forse voleva dirmi di stare tranquillo, io mi agitai e sparai.

Ecco, quel giovane bellissimo austriaco ucciso da me per paura non mi ha mai dato pace, non l’ho mai dimenticato. È stato il tormento della mia vita. Era così giovane, poteva sposarsi, o forse lo era sposato, e aveva dei figli, una famiglia. Perché l’’ho ucciso? Come è brutta (ma lui disse ‘mpistata) la guerra!”. 

Fu la prima volta che glielo sentii dire, cercai di confortarlo ma non ci fu verso. Così, anche i suoi racconti si diradarono. Qualche anno dopo, forse due o tre, vidi un po’ di movimento nella sua casa, gente che entrava e usciva. Scesi e andai a vedere.

Vidi u pinu Saro tremante e morente su un lettino col prete che, è la verità, in punto di morte gli stava dando l’estrema unzione. Mi avvicinai a lui, subito dopo che il prete andò via, mi vide, mi riconobbe, sicuro, perché prima di spirare disse con flebile voce “…striacu”. Che poteva essere tutto, ma forse fu solo, terribilmente, “austriaco”.

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