Il nostro Servizio sanitario non sta bene

Il nostro Servizio sanitario non sta bene

di Pietro Licciardi

IL PREOCCUPANTE QUADRO NEL RAPPORTO ANNUALE DELLA FONDAZIONE GIMBE

Nei giorni scorsi la Fondazione Gimbe ha pubblicato il suo rapporto annuale sullo stato di salute del sistema sanitario nazionale che mostra non pochi punti critici. Tra quelli messi in evidenza la carenza di personale, una frattura tra il Nord e il Sud dell’Italia, che si evince dalla migrazione degli assistiti in cerca di cure migliori, un boom della spesa a carico delle famiglie, aumentata del 10,3% mentre 4,5 milioni di persone hanno rinunciato alle cure, di queste 2,5 milioni perché non hanno potuto permettersi le spese mediche e probabilmente a questo è collegato anche il crollo della prevenzione (-18,6%) mentre lo Stato spende per la sanità 52,4 milioni di euro in meno rispetto alla media europea.

A tutto questo si aggiungono i quotidiani disagi di chi affronta il sovraffollamento dei Pronto soccorso e le lunghe liste di attesa per accedere alle prestazioni. Sono dati che mettono in forte dubbio quanto stabilito dall’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti (…)» ed evidenziano una crisi di sostenibilità per l’intero Servizio sanitaria nazionale, che ha subito da quindici anni continui tagli operati dai passati governi di sinistra.

Come ha sottolineato in conferenza stampa Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, «i princìpi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate».

Tanto più che dal 2010 al 2024 il fabbisogno sanitario è aumentato complessivamente di 28,4 miliardi, in media 2 miliardi di euro per anno. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Negli anni 2020-2022 il fabbisogno è aumentato di ben 11,6 miliardi, una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia COVID-19, che non ha permesso un rafforzamento strutturale del Servizio sanitario né consentito alle Regioni di mantenere in ordine i bilanci. 

Per gli anni 2023-2024 il fabbisogno sanitario nazionale è aumentato di 8.653 milioni di euro; tuttavia, nel 2023, 1.400 milioni di euro sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni sono destinati ai rinnovi contrattuali del personale

Sempre secondo il rapporto della Fondazione Gimbe rispetto al 2022, nel 2023 i dati Istat documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta o tramite fondi sanitari e assicurazioni, ovvero: le persone sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie, con pesanti ripercussioni sui bilanci familiari. Una situazione in continuo peggioramento, che rischia di lasciare l’universalismo del Servizio sanitario solo sulla carta, visto che l’accesso alle prestazioni è sempre più legato alla possibilità di sostenere personalmente le spese o di disporre di un fondo sanitario o una polizza assicurativa. 

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