Dante e i traditori della Patria

Dante e i traditori della Patria

di Francesco Bellanti 

IL DELIRIO DELL’INFERNO

La bocca sollevò dal fiero pasto

quel peccator, forbendola a’ capelli

del capo ch’elli avea di retro guasto. 

Poi cominciò: “Tu vuo’ ch’io rinovelli

disperato dolor che ’l cor mi preme

già pur pensando, pria ch’io ne favelli. 

Ma se le mie parole esser dien seme

che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,

parlare e lagrimar vedrai insieme. 

Io non so chi tu se’ né per che modo

venuto se’ qua giù; ma fiorentino

mi sembri veramente quand’io t’odo. 

Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,

e questi è l’arcivescovo Ruggieri:

or ti dirò perché i son tal vicino. 

(Dante, Divina Commedia, Inferno, XXXIII, 1-15)

Diciamo subito come stanno le cose: il conte Ugolino della Gherardesca e l’arcivescovo Ruggieri sono due traditori, anche se forse più grave è il tradimento di quest’ultimo, e Dante lo punisce di più non facendolo parlare. Ugolino ha tradito il partito ghibellino e l’arcivescovo Ruggieri il partito guelfo, nessuna pietà dovrebbero suscitare in noi i due. Insomma, due farabutti. E d’altra parte, Ugolino non vuole certo giustificare le sue malefatte, egli vuole solo narrare a Dante la parte della storia sconosciuta ai più, cioè la crudeltà di una morte che i figli Gaddo e Uguccione e i nipoti Anselmuccio e Nino non meritavano, esser lasciati morire per fame in una torre. Egli intende dare infamia all’uomo che ha decretato una morte così atroce e del cui cranio farà pasto bestiale per l’eternità. 

Il conte era quasi ottuagenario all’epoca della sua morte, i figli dovevano avere tra i quaranta e i cinquant’anni, e anche Nino era grandetto, non era un ragazzino di primo pelo, anzi, era un delinquente pure lui, dedito ad omicidi ed atti criminali. Solo Anselmuccio era minorenne, doveva avere poco più di quindici anni. I figli e i nipoti di Ugolino erano innocenti non perché erano piccoli, dunque, ma perché estranei alle accuse mosse contro di lui, e Dante ce li presenta più piccoli per esigenze poetiche. Ma non scendiamo nei particolari, sennò ci perdiamo di casa. Era un tempo tragico, in cui le lotte politiche di quel Medioevo che sembrava profondo e senza via d’uscita dilaniavano famiglie, partiti, città. 

Il nostro Poeta scatena tutte le forze infernali contro la Toscana e l’Italia, la Divina Commedia è una continua, tremenda invettiva contro i toschi e le città toscane, non se ne salva nessuna, ma Pisa che uccide in quel modo degli innocenti è la più crudele se il Poeta la vuole annegata nell’Arno ostruito dalle due isole, la Capraia e la Gorgona. Siamo nel profondo dell’Inferno, nel nono cerchio, nella seconda delle quattro zone, quella chiamata Antenora, dove ci sono i traditori della patria o del partito. La prima zona, la Caina, è quella dei traditori dei parenti, dove si trova Gianciotto Malatesta, l’assassino di Paolo e Francesca, seguono la Tolomea dei traditori degli ospiti e la Giudecca dei traditori dei benefattori dell’umanità, quindi di Cristo. 

I traditori sono la categoria morale più abietta, i traditori sono i peccatori più gravi, sono il degrado assoluto, la trasformazione in bestia e Dante li mette nel profondo dell’Inferno. Tutto l’Inferno dantesco è fondato sul tradimento, e più si scende verso il basso, il centro della Terra, più aumenta il peso della colpa. Il IX cerchio è quello dei traditori più efferati, ed è diviso in quattro zone: Caina, Antenora, Tolomea e Giudecca. Tutti i traditori sono conficcati nel ghiaccio del lago Cocito. Il gelo è allegoria del non umano, di cui il tradimento è manifestazione suprema: esso, come privazione di umanità, è raggelamento spirituale e carnale. I traditori sono degradati ai limiti del bestiale e Dante non mostra per loro alcuna pietà.

 

Qui siamo nel lago ghiacciato di Cocito, dove i dannati sono conficcati nel ghiaccio in varie posizioni in base al peccato commesso, al centro del quale è il primo traditore, il più grande, Lucifero. Ma non ci dilunghiamo su questo, diciamo solo che nell’Antenora i dannati sono immersi nel ghiaccio fino alla testa, ma con il viso in alto, e che il contrappasso è fin troppo evidente, ed è per analogia, i dannati sono ghiacciati e immobili come fredda e immobile fu la loro vita terrena anche nel tradire le persone più care. La tragedia di Ugolino è di assistere impotente alla morte dei suoi figli, annunciata da un sogno funesto in cui i suoi nemici ghibellini, le cagne magre, lo inseguono e poi lo sbranano insieme con i suoi figli. 

E poi c’è quel terribile verso, il più drammatico ed enigmatico di tutto il poema, “Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno”. Che ha voluto dire Dante? Che il conte Ugolino ha mangiato i suoi figli e i suoi nipoti morti per la fame? J. Luis Borges, il grande scrittore argentino, in un suo saggio, disse che il genio di Dante ha voluto non che lo pensassimo ma che lo sospettassimo, e forse ha ragione, anche se i riferimenti alla antropofagia o tecnofagia di Ugolino sono molti ed evidenti nel canto, come il rodere bestiale del cranio dell’arcivescovo, “come ‘l pan per fame si manduca”, e lui che si morde le mani per la rabbia e i figli che gli offrono le loro misere carni credendo che lui facesse quel gesto per fame. 

È un’ambiguità che ha attraversato i secoli e i più grandi interpreti dell’opera di Dante, e nemmeno il ritrovamento nel 1928, in una cappella della chiesa di San Francesco a Pisa, delle ossa di cinque individui morti per denutrizione nella Torre della Muda ha risolto la questione del cannibalismo di Ugolino, cannibalismo che era comunque presente nella cultura classica (pensiamo solo al Tieste di Seneca in cui Atreo uccide i figli del fratello e gliene imbandisce le carni). È che tutto qui, peccato, ambiguità, crudeltà, s’innalza alle vette estreme e alla vertigine della poesia, che sola può calarsi nell’infimo, e giunge infine nel male senza confini, nell’abisso, nel profondo della terra e dell’universo, nel delirio dell’inferno.

I traditori sono la categoria morale più abietta, i traditori sono i peccatori più gravi, sono il degrado assoluto, la trasformazione in bestia e Dante li mette nel profondo dell’Inferno. Tutto l’Inferno dantesco è fondato sul tradimento, e più si scende verso il basso, il centro della Terra, più aumenta il peso della colpa. Il IX cerchio è quello dei traditori più efferati, ed è diviso in quattro zone: Caina, Antenora, Tolomea e Giudecca. Tutti i traditori sono conficcati nel ghiaccio del lago Cocito. Il gelo è allegoria del non umano, di cui il tradimento è manifestazione suprema: esso, come privazione di umanità, è raggelamento spirituale e carnale. I traditori sono degradati ai limiti del bestiale e Dante non mostra per loro alcuna pietà. Nella Caina si trovano i traditori dei parenti, nell’Antenora quelli della patria o del partito, nella Tolomea i traditori degli ospiti e nella Giudecca quella dei benefattori. I traditori politici sono traditori del partito o della parte che devono rappresentare. Uomini trasformati in bestie. Come il Conte Ugolino della Gherardesca che rode per l’eternità il cervello dell’Arcivescovo Ruggieri. Questo meritano i traditori, avere il cervello roso per l’eternità.

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