Dante e la lussuria nella Divina Commedia
di Francesco Bellanti
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IL MITO DI PASIFAE, DEDALO, IL TORO, IL MINOTAURO, LE CORNA DI MINOSSE, EUROPA E LA MIGRAZIONE DA ORIENTE A OCCIDENTE. E LA SALVEZZA DI CRISTO
La gente che non vien con noi, offese
di ciò per che già Cesar, trïunfando,
“Regina” contra sé chiamar s’intese:
però si parton “Soddoma” gridando,
rimproverando a sé com’ hai udito,
e aiutan l’arsura vergognando.
Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perché non servammo umana legge,
seguendo come bestie l’appetito,
in obbrobrio di noi, per noi si legge,
quando partinci, il nome di colei
che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge.
(Dante Alighieri, Divina Commedia,
Purgatorio, Canto XXVI, vv.76-87)
In tanti canti della Divina Commedia Dante parla della lussuria e della violazione dell’ordine naturale voluto da Dio. Famosissimo è l’episodio dei due cognati Paolo e Francesca narrato nel canto V dell’Inferno – e di fronte alla vicenda narrata da Francesca Dante prova smarrimento – e famoso è anche l’altro dell’incontro di Dante nel canto XV dell’Inferno con il suo maestro Brunetto Latini, nel cerchio dei sodomiti, coloro che peccarono “contro natura”, il vizio nefando per eccellenza. Siamo nel settimo cerchio, per esattezza, al terzo girone. Oltre le mura della Città di Dite. Prima di quel confine, il Sommo colloca gli incontinenti, coloro, cioè, che si lasciarono travolgere dai vizi e dalle passioni. Coloro, cioè, che non pensarono il male, ma ne furono, appunto, travolti. Ma andare contro natura, contro Dio e contro sé stessi, scegliere l’omosessualità, insomma, così come tradire, per il grande Fiorentino vuol dire scegliere il peccato.
Ma c’è un canto che, parlando della lussuria, supera tutti i precedenti, perché è il più denso di significati, che vanno oltre la narrazione stessa della lussuria, ed è il canto XXVI del Purgatorio. Qui, nella settima cornice, Dante e Virgilio incontrano due schiere di anime che camminano in senso inverso, si incontrano, si abbracciano e si baciano in fretta, senza interrompere il cammino, e, non appena si allontanano, cominciano a gridare esempi di lussuria punita. Una schiera – come abbiamo riportato nei versi sopra – grida “Sodoma e Gomorra”, ricordando l’episodio biblico in cui queste città sono distrutte da Dio per la loro empietà, e sono infatti le anime che espiano il peccato della sodomia. L’altra schiera grida invece l’esempio di Pasifae che soddisfece il suo bestiale amore per un toro nascosta in un simulacro di vacca: sono le anime che espiano la lussuria eterosessuale, praticata in vita seguendo eccessivamente l’istinto, appunto come le bestie. E parliamo, allora, di questo famoso mito di Pasifae, e per parlarne dobbiamo cominciare da Dedalo.
Dedalo, probabilmente originario di Atene, dove era un apprezzato scultore, in seguito all’omicidio del suo assistente e nipote Calo, che avrebbe ucciso perché geloso della sua maestria, fuggì in uno dei demi attici, quindi si rifugiò a Cnosso in Creta, presso il potente re Minosse, figlio di Zeus e di Europa, felice di accogliere un ingegno così grande e un artefice insuperabile. Dedalo visse molti anni a Creta, stimato e onorato. Per il re Minosse egli costruì, tra le altre cose mirabili, un’opera straordinaria, il labirinto, un palazzo sotterraneo così complicato e con passaggi a tal punto intrecciati che, una volta entrati, poi era impossibile uscirne. Qui Minosse rinchiuse il figliastro Minotauro, un mostro dal corpo umano e la testa di toro – al quale, per liberare dall’assedio Atene, che era responsabile della morte del figlio di Minosse, Androgeo, venivano dati ogni nove anni sette fanciulli e sette fanciulle ateniesi perché se ne cibasse, ma questa è un’altra storia – che sua moglie Pasifae aveva generato accoppiandosi col toro che Poseidone gli aveva donato perché lo sacrificasse in suo onore.
Minosse, infatti, per risolvere la questione su chi doveva essere il re di Creta, cioè per convincere i Cretesi che era lui il predestinato – visto che non era accettato da loro – aveva chiesto al dio del mare Poseidone di mandargli un segnale che servisse a questo scopo, e il dio gli mandò dal mare un toro unico e meraviglioso, a condizione però che poi lo sacrificasse in suo onore. Minosse prese il regno ma non seppe decidersi a uccidere il magnifico toro. Così il dio volle punire Minosse facendo nascere in Pasifae la passione per quel toro. Pasifae, poverina, era anche stanca delle scappatelle del marito, e si era già vendicata facendo bere a Minosse una pozione magica – facendogli credere che fosse del vino – che aveva questo potere, che a ogni tradimento del marito, anziché il seme della vita, uscivano piccoli rettili e insetti che divoravano lentamente il ventre della malcapitata. Ma torniamo a Pasifae.
Pasifae, dunque, s’invaghì del toro, ma, viste le naturali resistenze del toro che ovviamente non voleva accoppiarsi con lei, chiese a Dedalo di inventare qualcosa che le consentisse di soddisfare la sua insana voglia. Allora Dedalo costruì per lei una mucca artificiale, una struttura a forma di vacca di legno rivestita della pelle dell’esemplare di femmina da lui più amato che permise alla regina, nascosta all’interno, di unirsi al toro. Pasifae poté così soddisfarsi restando incinta. Saputo che Dedalo aveva aiutato Pasifae ad accoppiarsi con il toro, Minosse lo rinchiuse con il figlio Icaro, che egli aveva avuto da Naucrate, una delle sue schiave, nel labirinto. Perciò Pasifae – vittima di un dio, di un re e di un’intera società – passò alla storia ingiustamente come esempio di donna lussuriosa (Ne la vacca entra Pasife,/ perché il torello a sua lussuria corra, /Dante, Purgatorio, XXVI, 41/42).
Pasifae era una figlia del Sole e di Perseide, una ninfa, pertanto sorella di Eeta, il re della Colchide, e della maga Circe: essa stessa passava per maga. Da Minosse, re di Creta, ebbe otto figli, di cui Androgeo, Fedra e Arianna sono i più ricordati. Il mito di Pasifae si accentra sul suo accoppiamento con un toro, dal quale genera il Minotauro, probabile adombramento di un rito di nozze tra la regina e un toro sacro (sul tipo delle nozze che in India accoppiavano simbolicamente la sposa del rajah con un cavallo perché il rajah acquisisse una particolare potenza); ma può essere anche espressione di un eventuale rito di ierogamia. Nella coscienza greca, l’episodio invece era considerato in senso negativo (come del resto tutta la realtà cretese), compreso Minosse e il Minotauro; il toro era presentato come una punizione del dio Poseidone e i desideri innaturali di Pasifae come una maledizione della dea Afrodite.
Questa visione negativa del mito di Pasifae è stata ripresa, come stiamo dicendo, da Dante nella Divina Commedia. Qui Pasifae è ricordata come simbolo della lussuria eterosessuale, mentre Cesare (che con Nicomede IV re di Bitinia ebbe una famosa storia d’amore) di quella omosessuale. Il toro comunque è presente anche in un altro famoso mito, quello in cui Zeus per possedere Europa principessa fenicia si trasforma in un bellissimo e bianco toro, che si avvicina alla fanciulla per nulla intimorita e gli si stende ai piedi. Ammirandone la mansuetudine e non pensando minimamente che dietro potesse esserci un inganno, Europa gli salì sul dorso. Zeus la rapì attraversando il mare e trasportandola a Cnosso, sull’isola di Creta. La fanciulla generò tre figli, tra i quali Minosse, re di Creta, Radamanto, giudice degli inferi e Serpedonte. Il mito in generale rappresenta la migrazione tra Oriente e Occidente e il nome di Europa, che fu poi dato ai territori occidentali, riflette in generale questo spostamento.
E insomma, da Oriente giunse in Occidente la civiltà ma anche il male, la lussuria, il sovvertimento dell’ordine naturale voluto da Dio. Senza dimenticare che giunse anche – ed è questo che costantemente vuole dirci Dante – la salvezza operata da Cristo.