Gli ultimi Crociati: gli Zuavi Pontifici

Gli ultimi Crociati: gli Zuavi Pontifici

di Paolo Gulisano 

FRANCESCO MAURIZIO DI GIOVINE, GLI ZUAVI PONTIFICI E I LORO NEMICI (EDITRICE SOLFANELLI)

Nel 1860 accorsero a Roma giovani cattolici da ogni angolo dell’Europa per difendere con le armi la libertà della Chiesa e del Papa Re. Essi costituirono il Battaglione dei Tiragliatori Pontifici, divenuto battaglione degli Zuavi Pontifici nel gennaio 1861, che più tardi fu trasformato in Reggimento.

La loro storia durò poco più di dieci anni che vengono riassunti in questo libro attraverso le testimonianze più significative. Dal tributo di sangue pagato dai suoi volontari durante tutto il periodo (furono vittime di malattie, incidenti, agguati, atti terroristici) alla vita di guarnigione, con i suoi spaccati camerateschi, sempre all’insegna di una testimonianza cristiana; dalla lotta al brigantaggio delinquenziale alle opere caritatevoli ed umanitarie compiute dagli zuavi durante la terribile epidemia del colera, alla guerra rivoluzionaria del 1867; per finire con la eroica difesa di Roma nel corso dell’invasione del settembre 1870.

Lo Stato Pontificio venne invaso nel 1860, trovandosi ad essere non più protetto dall’Austria, sconfitta dalle truppe franco-italiane nella Val Padana, e dovendo far affidamento solo sulle proprie forze. Così nell’aprile del 1860, davanti al pericolo incombente, Pio IX mise a capo dell’esercito Francois Xavier de Merode. Nato a Bruxelles da una nobile famiglia, aveva intrapreso la carriera militare distinguendosi per abilità e valore, venendo più volte decorato. A ventisette anni avvertì la vocazione religiosa, e si recò a Roma per studiare e prendere gli ordini minori nel 1848. Per la sua fedeltà al papa venne arrestato e malmenato durante la repubblica. Nel 1849 venne ordinato sacerdote, e Pio IX si avvalse come stretto collaboratore di questo brillante personaggio dalla fede ardente e dalle grandi capacità: fu infatti diplomatico, amministratore, organizzatore e perfino un grande urbanista. Pio IX di fronte all’aggressione italiana decise di avvalersi delle sue precedenti esperienze militari, e il belga riorganizzò immediatamente le truppe pontificie: creò il battaglione dei Tiragliatori franco-belgi, che in seguito si sarebbe trasformato nel corpo degli Zuavi pontifici. Il Capo di Stato Maggiore, nel 1860, era un altro valoroso soldato, il francese marchese Georges de Pimodan, autentica bestia nera dei garibaldini che riuscì a sconfiggere in più occasioni. L’invasione di Umbria e Marche, regioni pontificie, aveva spinto Pio IX a lanciare un accorato appello a tutti i cattolici perché prendessero le difese del papato minacciato, rimpolpando le scarse fila dell’esercito regolare.  La risposta fu pronta ed entusiasta: cominciarono ad affluire a Roma i volontari internazionali che aderivano a quella che si presentava come una nuova crociata. Arrivarono austriaci e tedeschi reclutati a Vienna, belgi e francesi, quasi tutti dell’Ovest, ovvero vandeani e bretoni. Arrivarono addirittura, e numerosi gli irlandesi, forse la presenza più commovente: l’isola aveva conosciuto negli anni precedenti una spaventosa carestia che aveva fatto oltre un milione di morti su una popolazione di cinque milioni, e la repressione politica inglese nei confronti delle richieste di libertà e di autogoverno era più che mai pesante. Un numeroso gruppo di volontari riuscì in qualche modo a procurarsi i mezzi per la traversata in nave e giunse a Roma alla fine di maggio dove fu inquadrato nel Battaglione di San Patrizio. All’inizio di agosto la Santa Sede disponeva oltre ai suoi 15.000 effettivi di ben 7.000 volontari perfettamente inquadrati. La storiografia ufficiale italiana ha sempre definito questi uomini come mercenari, francesi prezzolati dal Vaticano per opporsi ai bersaglieri liberatori. In realtà a Roma era accorsa l’Europa cattolica profonda: non era il denaro che aveva attirato i polacchi oppressi dall’Impero russo, gli svizzeri reduci del Sonderbund, gli ungheresi, i boemi, persino gli scozzesi. A Glasgow vennero reclutati volontari sia tra gli scoto-irish, i figli degli immigrati sfuggiti al genocidio del 1845-48, sia tra gli highlanders sopravvissuti alla pulizia etnica della loro terra nota come clearances, che aveva deportato oltre oceano migliaia di abitanti delle gaeliche e cattoliche Highlands.

Non erano mercenari tutti coloro che provenivano da terre che avevano già sperimentato il martirio per la fede.. 

Roma rappresentava per questi volontari accorsi da ogni parte del mondo, compresi addirittura degli australiani di origine irlandese e scozzese, una causa santa, il patrimonio della Chiesa da salvaguardare, il luogo ove si custodivano le tombe dei martiri e degli apostoli, la culla della Fede. Sollecitati dai comitati di arruolamento e soprattutto dall’opera capillare dei vescovi e dei parroci, giorno per giorno affluivano a Roma schiere di volontari provenienti da ogni paese; come gli antichi crociati alcuni portavano l’insegna della croce sui loro abiti.

Numerosi erano anche i volontari provenienti dalle regioni da poco “redente”: emiliani soprattutto, ma anche toscani e veneti ancora sudditi dell’Impero austro-ungarico. Il papa si commosse profondamente alla vista di quei volontari, di quei crociati che avevano lasciato case e famiglie per venire a battersi per la causa della libertà della Chiesa.

Per dieci anni gli Zuavi Pontifici difesero coraggiosamente i confini della Chiesa, fino al fatidico 20 settembre 1870, quando l’esercito italiano entrò con le armi in pugno nella città santa della Cristianità. 

Come scrisse un volontario irlandese, Patrick O’Clery, che lasciò delle interessanti memorie sugli avvenimenti del 1870, l’invasione fu un atto di brigantaggio regio.

Il papa aveva deciso di rinunciare alla lotta ad oltranza, al suo buon diritto a resistere, per salvare ancora una volta delle vite umane. 

Le colonne dei bersaglieri irruppero nella città nel silenzio degli zuavi pontifici. Nonostante che i volontari del papa rimanessero immobili, con le armi al piede, gli ufficiali italiani fecero aprire su di loro il fuoco. Nonostante la bandiera bianca sventolasse da diversi minuti, gli zuavi furono costretti a battersi per difendersi. Nel frattempo Bixio continuò a far tirare colpi sui quartieri adiacenti a San Pietro. Inutilmente gli ufficiali pontifici protestarono energicamente contro tali violazioni delle norme militari e civili: continuarono gli scontri, le uccisioni e le violenze sui prigionieri.

Dopo la resa iniziò per le vie di Roma la caccia al soldato pontificio da parte di 4.000 camicie rosse entrate in città a seguito delle truppe. Per diversi giorni, oltre agli zuavi, anche semplici civili e sacerdoti vennero barbaramente assassinati. Non si conobbe mai il numero ufficiale delle vittime della “vittoria” né i danni materiali provocati dai saccheggi. “Lasciate che il popolo si sfoghi” aveva detto Cadorna davanti alle proteste. I 4.800 prigionieri considerati di cittadinanza italiana (emiliani, marchigiani, veneti, lombardi eccetera), e quindi accusati di tradimento per aver imbracciato le armi contro il tricolore, vennero deportati nelle fortezze di Alessandria, Mantova, Peschiera e Verona, dopo un viaggio di tre giorni con una sola razione di pane e tra insulti, sputi, sevizie e la detenzione in condizioni volutamente durissime nelle carceri del “Re Galantuomo”. 

I 4.500 volontari stranieri furono espulsi: i francesi imbarcati a Civitavecchia per Marsiglia; canadesi, inglesi, scozzesi e irlandesi spediti in Inghilterra. I belgi e gli olandesi furono tradotti alla frontiera svizzera e lasciati liberi di proseguire a piedi per i loro paesi. 

Tornarono con la coscienza di aver perso una battaglia, ma di dover continuare una guerra iniziata agli albori del tempo, quella fra la luce e le tenebre, che non era affatto finita. 

Subscribe
Notificami
0 Commenti
Oldest
Newest
Inline Feedbacks
View all comments