Occorre servire Dio, non le nostre idee!

Occorre servire Dio, non le nostre idee!

di don Ruggero Gorletti

VENTINOVESIMA DOMENICA PER ANNUM – ANNO  B

Dal vangelo secondo Marco 10,35-45

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi cori Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

COMMENTO

«Vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Queste parole di Giacomo e Giovanni sono parole che potrebbero essere messe nella bocca della stragrande maggioranza di noi cristiani. Quello che vogliamo dal Signore, spesso se non sempre, è che faccia quello che gli chiediamo. Ma non sempre quello che vogliamo, che riteniamo giusto chiedere è la cosa giusta, è quello che davvero ci fa bene.

Ma andiamo con ordine. Giacomo e Giovanni, come tutti gli altri apostoli, hanno ormai capito, dal modo autorevole con cui Gesù parla, dai miracoli, dal numero sempre crescente di persone che lo segue, che Gesù è il Messia (o il Cristo, è la stessa cosa). Credono che sia il Messia come lo intendono loro: cioè un capo militare e politico, inviato da Dio, in grado di allontanare l’occupante romano da Israele per ricostruire, nella sua grandezza e splendore, l’antico regno di Davide e di Salomone. Per cui – questo era il loro pensiero – accaparriamoci un posto prestigioso nel futuro governo.

Ma la loro è una richiesta senza senso: Gesù è sì il Messia, l’inviato di Dio – anzi, è di più, è Dio stesso che ha assunto la natura di uomo rimanendo Dio – ma non è il Messia che si aspettavano gli Ebrei, che si aspettavano i discepoli. Non è venuto a cambiare le sorti politiche di un piccolo Paese, non è venuto a sostituire un governo con un altro. È venuto a rifare la pace tra Dio e l’uomo, quella pace che il peccato dei progenitori e i peccati di ciascuno di noi hanno rovinato.

Per questo la domanda dei discepoli è fuori luogo, e anche la reazione adirata, comprensibile da un punto di vista umano, degli altri discepoli non ha senso. E Gesù spiega il perché: non ragionate secondo una logica puramente umana, di potere e di dominio. Sareste fuori strada. La logica è quella del servizio: il più grande è colui che serve, il primo, agli occhi di Dio, è quello che si fa schiavo di tutti.

Ma, ci verrebbe da dire, cosa c’entriamo noi con tutta questa storia? Con il Regno di Israele e con l’Impero Romano? È un brano che non riguarda la nostra vita. In realtà non è così. Il brano sottolinea il tema del servizio ai fratelli, che è uno dei due modo concreti con cui noi possiamo amare Dio: si ama Dio osservando i suoi comandamenti (come dice il Vangelo di Giovanni – Gv 14,21) e amando i fratelli («chi non ama il prossimo che vede, come può amare Dio che non vede», ci dice la prima lettera di San Giovanni – 1Gv 4,20). Il servizio ai fratelli è dunque uno dei modi con cui possiamo amare Dio. Ma spesso questo servizio è fatto con lo stile dei due fratelli Giacomo e Giovanni: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Vogliamo servire sì, ma se possiamo fare quello che vogliamo noi.

Non è questo il modo di servire la Chiesa (che poi, come dicevo prima, è il modo concreto con cui possiamo servire Dio). Il Signore direbbe anche a noi, come agli apostoli, che non sappiamo quello che stiamo chiedendo.

Quando ci si accinge a offrire un servizio alla Chiesa non possiamo pretendere di fare quello che vogliamo. Né il Papa, né i vescovi, né i sacerdoti né i laici. Se siamo disposti a prestare un servizio alla Chiesa solamente se possiamo fare quello che abbiamo in mente, è meglio che lasciamo perdere, perché non stiamo servendo né Dio né la Chiesa, ma solo il nostro amor proprio.

Servire Dio e non servire noi stessi, il nostro amor proprio e le nostre idee: è questo che il Signore sembra suggerirci nel vangelo di oggi. Le nostre idee sono povere, limitate, talvolta sbagliate. Le idee di Dio sono tutte vere, perfette, giuste. Talvolta non ne capiamo fino in fondo il senso, ma se sappiamo accoglierle con umiltà e docilità, ci porteranno al vero bene e alla felicità.

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