Un autentico sacerdote, dotto e umile, provato nel corpo e nello spirito
A cura di Patrizia Stella
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RICORDANDO DON FERDINANDO RANCAN
Venerdì 11 gennaio 2019, il Vescovo di Verona, S.E. Mons. Giuseppe Zenti, nel bellissimo salone della Curia gremito di gente, chiamato “Sala dei Vescovi” perché sono affrescate le figure degli oltre 300 Vescovi di Verona, al momento di iniziare la presentazione del libro autobiografico di don Ferdinando Rancan “Un somarello e la sua storia”, ha esordito dicendo: “Questo salone prestigioso affrescato prima del 1500 viene di solito riservato per eventi straordinari, e in effetti la vita di don Ferdinando Rancan è stata un evento straordinario per tutta la diocesi”.
Con questa premessa del Vescovo e con le testimonianze di Mons. Ezio Falavegna, Vicario episcopale, e di don Ermanno Tubini, guida spirituale di don Ferdinando nei suoi ultimi anni di vita, è stato tracciato un breve profilo della sua vita umile ma straordinaria: don Ferdinando non si è distinto per missioni o locuzioni straordinarie, ma per essere stato un autentico sacerdote, saggio, dotto, umile, provato nel corpo e nell’anima, di grandi virtù e disponibilità verso tutti, frutti di una intensa vita spirituale che ha saputo cogliere “i segni dei tempi” rimanendo sempre ancorato alle verità della Fede che non mutano con le stagioni. Qualche anno dopo, esattamente il 9 giugno 2022, lo stesso don Ermanno Tubini presentò la sua biografia completa con il libro intitolato “don Ferdinando Rancan” I luoghi, i volti, le stagioni, ed Ares, 240 pagine, euro 18.
Nato a Tregnago di Verona il 14 giugno 1926, entrò giovanissimo in seminario ma, proprio alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale, 1949, dopo anni di stenti e di guerre, dovette superare una grande prova che lo vide inspiegabilmente espulso dal seminario e “catapultato” a Roma dove proseguì gli studi presso l’università “La Sapienza” laureandosi in Scienze Naturali. Nonostante questi quattro anni di forzato esilio, da solo in una città sconosciuta, mai gli sfiorò l’idea di tradire il suo ideale sacerdotale perché era certo che prima o poi lo avrebbe raggiunto. Era infatti un segno della volontà di Dio questa inspiegabile estromissione perché proprio a Roma ebbe l’occasione di conoscere il Fondatore dell’Opus Dei, Josemaria Escrivà, arrivato in Italia da pochi anni, e di chiederne l’ammissione come primo sacerdote diocesano d’Italia, diffondendo poi la spiritualità dell’Opus Dei a Verona e nel Nordest, non senza tribolazioni. Risolto nel frattempo il “malinteso” col Vescovo e completati gli studi teologici, ricevette l’Ordinazione Sacerdotale a Verona il 29 giugno 1953, dedicandosi all’insegnamento nel Seminario diocesano e nei Licei della città, prima di essere chiamato a svolgere il suo ministero sacerdotale nella parrocchia di S. Nazaro, poi nella Pieve dei Santi Apostoli e infine nella chiesa di Sant’Eufemia. Era noto in particolare come confessore e direttore spirituale, a disposizione delle persone che uscivano da colloqui o confessioni con lui sentendosi risollevati nell’anima e nel corpo.
La sua profonda umiltà, non quella falsa che cede ai venti di tempesta, ma quella ben solida perché ancorata alla Parola di Dio e ai Sacramenti, è manifestata perfino dal titolo che lui stesso ha voluto dare al suo libro autobiografico “Un somarello e la sua storia”, perché, sull’esempio di San Escrivà, Fondatore dell’Opus Dei, tale si riteneva davanti a Dio, mentre la sua vasta cultura si manifestava anche attraverso quel dono soprannaturale della “Sapienza” che Dio concede ai suoi servi fedeli, a coloro che intuiscono e vivono il valore profondo del dolore, dell’umiliazione e della sofferenza per la salvezza delle anime in unione con Dio.
A conferma di questo, riportiamo un brano del libro citato, a pag. 226 che narra un episodio particolare accadutogli da giovane, in Seminario, all’età di 20 anni circa: “Quando a sera i miei compagni si mettevano a letto, io, approfittando della difficoltà a coricarmi secondo l’orario per problemi allo stomaco, mi recavo in cappella fermandomi in ginocchio fino a tardi davanti al Tabernacolo (…) Una sera, mentre mi recavo in cappella, entrando nel corridoio completamente al buio, fui attratto da un tenue chiarore che illuminava un’immagine collocata sopra la porta. Era l’immagine di Gesù che teneva in mano, nell’atteggiamento di offrirlo, il suo cuore ferito e sanguinante, circondato da spine, avvolto dalle fiamme e sormontato da una croce. Il suo sguardo intenso e dolcissimo si incontrò col mio e subito mi ricordai delle sue parole: “Ecco il cuore che ha tanto amato gli uomini e da essi non riceve che ingiurie e indifferenza”. Quel tenue chiarore sul volto luminoso di Gesù che accennava a un sorriso delicato e insieme severo mi lasciò profondamente turbato e mi parve di intuire che senza dolore è difficile capire l’amore. Così mi sentii spinto a chiedere con insistenza al Signore di soffrire molto per poter vivere più profondamente l’intimità con lui. Forse fu presunzione, forse superficialità o incoscienza, ma credo che il Signore abbia accolto, almeno in parte, la mia preghiera, perché nella mia vita non ho mai saputo cosa fosse il benessere fisico”.
Ma don Ferdinando dovette affrontare problemi di salute anche gravi sin dalla nascita, legati soprattutto a difficoltà respiratorie eppure mai lo si vide lamentarsi. In particolare si aggravarono le sue condizioni fisiche verso i 52 anni, quando gli dovettero asportare il polmone sinistro infetto da bronco-ectasie purulente, tanto da costringerlo negli ultimi dieci anni, dagli 80 ai 90, a usare il ventilatore polmonare di notte e la bombola dell’ossigeno tutti i giorni. Tuttavia, questa precarietà della sua salute causata da persistenti infezioni che minacciavano anche l’unico polmone rimasto, procurandogli febbre alta e fibrillazione atriale che debilitavano tutto l’organismo e che i medici curavano con dosi massicce di antibiotico o con ricoveri in rianimazione nei momenti peggiori, mai gli impedì di svolgere il suo ministero sacerdotale a pieno ritmo, seguendo la catechesi per ragazzi e adulti, organizzando pellegrinaggi mariani, incontri di formazione per famiglie, occupandosi dei poveri e malati della parrocchia, della formazione dei sacerdoti, oltre che della ristrutturazione del complesso parrocchiale dei Santi Apostoli, e trovando anche il tempo per scrivere libri di formazione cristiana, dei quali il più bello sembra essere “IN QUELLA CASA C’ERO ANCH’IO” – Storia di Gesù narrata da un “bambino speciale”. Il tutto con un ottimismo di fondo che si manifestava anche con battute umoristiche e perfino ironiche. Era un sacerdote che, sia pur malato, amava la vita e il mondo “appassionatamente” come è nella spiritualità di San Josemaria Escrivà. Negli ultimi anni della sua vita, ci esortava a pregare molto per l’Italia e le nostre famiglie, fortemente bersagliate dal diavolo, attraverso una preghiera dedicata a S. Giuseppe, Patrono della Chiesa e perciò anche dell’Italia come sede del papato.
Vero “Alter Christus”, trovò nel Sacrificio Eucaristico quella forza soprannaturale che sempre lo accompagnò anche nei momenti più difficili, tanto che era inconcepibile per lui passare un giorno senza celebrare la Messa. Negli ultimi anni, non potendo più andare in parrocchia, anche a motivo di una progressiva cecità, celebrava la Messa in casa, sulla mensola di una libreria allestita a tale scopo, ma quando veniva ricoverato, la celebrava perfino sul tavolino della stanza da letto dell’ospedale, avendo sempre a disposizione una valigetta con tutto l’occorrente. Perfino certe sere quando tornava a casa dopo una giornata di analisi e visite mediche estenuanti, non si metteva a cena se non dopo aver celebrato la Messa del giorno. Era edificante vedere con quanta fede si inginocchiava fino a terra, durante la Consacrazione nella Messa, sostando in adorazione del divino Mistero Eucaristico. Sosteneva che la Messa doveva essere, in un certo senso, un tutt’uno col sacerdote, perché sua prerogativa esclusiva, un privilegio così grande da far tremare Angeli e Santi dalla gioia pensando che solo ai Sacerdoti cattolici in virtù del Sacramento dell’Ordine Sacro, è stato concesso da Dio stesso “Il privilegio di portare Gesù vivo e vero dal Cielo alla terra”
Valori da coma. L’ultimo giorno della sua vita, tra il 9 e il 10 gennaio 2017, quando lo abbiamo accompagnato d’urgenza al Pronto Soccorso per l’aggravarsi della situazione respiratoria, rimanemmo sbalorditi davanti a una frase pronunciata dal medico anestesista che veniva a controllare la situazione. Egli uscì con queste testuali parole: “Noi medici (del reparto di pneumologia di Borgo Trento dove veniva spesso ricoverato e che ringraziamo per le cure prestate), noi medici ci siamo chiesti più volte come abbia fatto quest’uomo a vivere con valori da coma! (Si riferiva ai controlli periodici effettuati tramite test digitale sui rapporti ossigeno, anidride, Ph ecc.). E davanti al nostro sguardo allibito che chiedeva ulteriori spiegazioni, questi rimarcò con maggiore sicurezza: “Si! È vissuto con valori che per un uomo normale significano coma”. Vedendo l’aggravarsi della situazione, chiamammo don Ermanno che venne a somministrargli il Sacramento dell’Unzione dei malati benedicendolo con affetto prima di andarsene. Poco dopo, don Ferdinando ebbe come un improvviso risveglio, che di solito viene chiamato risveglio “ante mortem”, si mise a sedere sul letto, si guardò intorno e la prima cosa che chiese fu questa: “Portatemi a casa perché voglio dire la Messa!” Furono le sue ultime parole, il suo pensiero costante e dominante “celebrare la Messa”.
Più tardi, venne il medico ad avvisarci che dai controlli fatti gli restavano poche ore di vita e che potevamo rimanere accanto a lui fino al grande passaggio. Subito guardammo l’orologio che segnava le ore 17 circa del 9 gennaio e pensammo che forse il Signore lo avrebbe chiamato al cielo lo stesso giorno della data di nascita del fondatore dell’Opus Dei, che era proprio il 9 gennaio. Guardavamo con attenzione il passare delle ore: 19, 20, 21… e il suo respiro che continuava con fatica ma ancora ben deciso, mentre gli tenevamo la mano pregando sottovoce San Giuseppe, patrono della buona morte. Finché arrivarono le ore 23 e poi le 24, cioè la fine del giorno 9 gennaio. Appena passate le ore 24, Silvia e io notammo che il suo respiro ebbe come un collasso improvviso, divenne sempre più debole, fino a cessare del tutto un’ora dopo, vale a dire all’UNA del 10 GENNAIO 2017. Capimmo senza bisogno di parole che don Ferdinando, nella sua umiltà e delicatezza di vita, già in contatto col cielo, non voleva far coincidere la data della sua morte di semplice sacerdote, con quella della nascita del suo Santo Fondatore, autorità ben più grande per la Chiesa e Maestro di vita spirituale. La data del 9 gennaio doveva rimanere tutta e solo per San Josemaria Escrivà.
Che don Ferdinando aiuti tutti i cristiani, in particolare i sacerdoti, ad essere fedeli alla propria vocazione, nonostante lotte e persecuzioni, perché se Gesù stesso ha voluto conferire a questa speciale vocazione sacerdotale che è il Sacramento “dell’Ordine Sacro”, un “carattere indelebile”, cioè permanente, significa che il sacerdote cattolico, nonostante le sue miserie, è l’unico uomo al mondo che ha il potere, per volontà divina, di mettere in comunicazione la terra col Cielo, l’uomo con Dio, a tal punto da rendere possibili quelle parole di Gesù: “IO SARO’ CON VOI TUTTI I GIORNI FINO ALLA FINE DEL MONDO.”
Il libro “Un somarello e la sua storia” euro 14,00= pag. 290, e altri libri di don Ferdinando possono essere richiesti alla casa editrice Fede & Cultura, Via Marconi 60. VR Tel. 045/941851 che li invia direttamente a domicilio. https://fedecultura.com.