Crediti di carbonio, un pessimo investimento

Crediti di carbonio, un pessimo investimento

di Pietro Licciardi

UN MERCATO ARTIFICIALE FONDATO SULLE TEORIE SBAGLIATE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO E L’AVIDITÀ COMMERCIALE

Che le questioni ambientali e climatiche siano ormai il pretesto per affari colossali da parte di oligarchi e multinazionali dovrebbe essere ormai chiaro a tutti. Si pensi ad esempio al proliferare di pannelli fotovoltaici, biciclette, monopattini, auto alimentate con accumulatori spuntati come funghi nelle nostre città e che rappresentano un giro di affari del valore di miliardi, per lo più a beneficio della Cina, che sulle ubbie ambientaliste, soprattutto europee, fonda buona parte del suo potere economico

Quello che i più probabilmente i più non sanno è che esiste anche un mercato “virtuale”, in cui però circolano soldi veri, costituito dai crediti di carbonio. Cosa sono? Come si apprende da CarbonCredits.com «i crediti di carbonio, noti anche come quote di carbonio, funzionano come permessi per le emissioni. Quando un’azienda acquista un credito di carbonio, di solito ottiene dal governo il permesso di generare una tonnellata di emissioni di CO2». Tradotto: le aziende che producono in quantità la famigerata anidride carbonica possono continuare a scaricare tutta la CO2 che vogliono nell’aria a patto che sborsino una corrispondente quantità di denaro: tot tonnellate, tot dollari.

Chi invece “risparmia” CO2 genera crediti, che può vendere. Questi crediti sono certificati dalla Climate Action Reserve, alla quale ad esempio si rivolgono associazioni che realizzano progetti ambientali – come la conservazione delle foreste o la loro gestione “sostenibile” evitando la loro conversione a fini agricoli – finanziati da chi con i soldi pensa di mettere a posto la propria coscienza ecologista. Ci sono anche organizzazioni come il Fondo per la Difesa dell’Ambiente (EDF) che spiegano come una famiglia americana emetta in un anno in media circa sette tonnellate di CO2 invitando a “compensare” con l’acquisto di un numero equivalente di crediti, il che tra l’altro solleva inquietanti interrogativi come: qualcuno si sta preparando a tassare l’aria che respiriamo? Probabilmente si dal momento che per non pochi fanatici “verdi” l’umanità è un ostacolo per il pianeta.

L’invito è quindi a entrare nel mercato del carbonio per salvare il mondo, rivolto specialmente alle aziende, alle quali viene proposto di investire in progetti certificati da “verificatori affermati”. Effettuato l’acquisto viene rilasciato un attestato; ma il percorso apparentemente virtuoso si ferma qui. Il Wall Street Journal in un articolo di qualche tempo fa ha raccontato la storia di Jorge Cantuarias, un uomo d’affari peruviano che ha investito molto in crediti di carbonio cercando di venderli. Senza successo.

Come ha scritto sempre il Wall Street Journal il mercato complessivo dei crediti di carbonio ha registrato un boom dal 2018 al 2021, passando da un totale di 285 milioni di dollari a 2,1 miliardi nel triennio. «Da allora» lamenta il Journal «un’ondata di studi e articoli giornalistici ha dimostrato che alcuni progetti avevano ampiamente sovrastimato il loro impatto sulle emissioni». Il mercato è sceso a 723 milioni di dollari nel 2023 e i crediti hanno perso tutti i loro guadagni del 2021. Ora il signor Cantuarias possiede circa tre milioni di crediti completamente privi di valore.

A quanto pare il mercato dei crediti di carbonio è totalmente artificiale e basato poco più che un misto di teorie sbagliate sul “cambiamento climatico antropogenico” e l’avidità commerciale, che nel mondo degli investimenti è una combinazione pericolosa. Un’altra dimostrazione che le ideologie – tutte le ideologie – rendono l’uomo idiota e ottengono il contrario di ciò che si prefiggono.

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