Ermanno, il disabile che ci ha donato il Salve Regina
a cura di Pietro Licciardi
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OGGI SAREBBE STATO ABORTITO, MA QUESTO SANTO FRATICELLO INSEGNA CHE ESSERE DEFORMI NON VUOL DIRE NECESSARIAMENTE ESSERE INFELICI
Nel nostro mondo ormai nuovamente pagano e luciferino appena si ha il solo sospetto che un bambino possa venire al mondo non perfettamente sano si elimina con l’aborto, ipocritamente rinominato interruzione volontaria della gravidanza (Ivg). Una volta, nel molto più civile e cristiano Medioevo – ad onta degli ingnorantoni che ancora lo descrivono come epoca buia – non era così.
Il 18 Luglio dell’anno 1013 Eltrude, sposa di Goffredo, conte di Altshausen di Svevia, entrambi di nobilissima famiglia, partorì un figlio maschio. Di loro a dispetto dell’alto lignaggio nessuno si ricorda più, mentre invece si è serbata durevole memoria del piccolo essere venuto al mondo. Herman, questo il suo nome, era orribilmente deforme. Tanto deforme che fu soprannominato il “Rattrappito” essendo così storto e contratto, da non poter stare né seduto, né sdraiato e tantomeno ritto – e questo per tutta la sua vita – senza soffrire. Inoltre le sue dita erano troppo deboli e contorte per scrivere, le labbra e il palato erano deformati al punto che poteva parlare a stendo e difficilmente poteva essere inteso. Per questo, come se non bastasse, fu dichiarato pure “deficiente”.
Gli augusti genitori a un certo punto non poterono fare altro che mandarlo in un convento e pregare per lui. Allora in Germania, come nel resto dell’Europa i monasteri erano luoghi di preghiera ma anche di fine e squisita cultura e proprio in uno di questi fu mandato il mostriciattolo deficiente, il quale crebbe e dove, chissà in virtù di quale psicoterapia religiosa, la sua mente cominciò ad aprirsi. Non solo, ma a dispetto della onnipresente sofferenza fisica che gli impediva anche per un solo istante di trovare una posizione in cui non provare almeno per un po’ dolore, egli divenne – come si legge nelle cronache dell’epoca – «piacevole, amichevole, conversevole; sempre ridente; tollerante; gaio; sforzandosi in ogni occasione».
Intanto il coraggioso, ormai giovinetto, imparò la matematica, il greco, il latino, l’arabo, l’astronomia e la musica. Scrisse un intero trattato sugli astrolabi e nella prefazione scrisse: «Ermanno, l’infimo dei poveretti di Cristo e dei filosofi dilettanti, il seguace più lento di un ciuco, anzi, di una lumaca» … «è stato indotto dalle preghiere di “molti amici”», eh, già; tutti gli volevano bene! «a scrivere questo trattato scientifico». E come se non bastasse, lo credereste?, con quelle sue dita deformi l’indomabile giovane riuscì a costruire astrolabi, orologi e strumenti musicali.
Ma Ermanno il “rattrappito” è ricordato soprattutto perché quasi certamente fu lui a comporre quella stupenda preghiera e inno che è il Salve Regina, seguito dell’Alma Redemptoris, e da alcuni altri.
Tuttavia Ermanno, il “deficiente”, essendo dotato di un cervello straordinariamente attivo e vigoroso, a conoscenza di tutte le tradizioni delle più importanti famiglie del suo tempo, avendo accesso a molti libri antichi che noi purtroppo non conosciamo a causa delle distruzioni che in anni successivi dispersero e rovinarono le biblioteche degli antichi monasteri, scrisse un Chronicon di storia del mondo, dalla nascita di Cristo al tempo suo. Un’opera che sappiamo si meritò le lodi dei competenti del tempo, che la giudicarono straordinariamente accurata, fondata naturalmente sulle tradizioni, ma tuttavia obbiettiva e originale.
Eccovi dunque cosa fu capace di fare quel monacello storpio, chiuso nella sua cella, ma desto, vivo, con gli occhi spalancati a seguire la scena del mondo esterno eppure non mai cinico, non mai crudele – pensiamo a quanto la sofferenza trasformi le persone in esseri egocentrici e crudeli – e benvoluto e amato da chiunque aveva la fortuna di frequentarlo.
Purtroppo venne anche per lui il momento di morire. Come affrontò quel momento ce lo racconta il suo amico e biografo Bertoldo. «Quando alfine l’amorevole benignità del Signore si degnò di liberare la sua santa anima dalla tediosa prigione del mondo, egli fu assalito dalla pleurite e trascorse quasi dieci giorni in continue e forti tribolazioni. Alfine, un giorno, nelle prime ore del mattino, subito dopo la Santa Messa, io, che egli considerava il suo più intimo amico, mi recai da lui e gli chiesi se si sentisse un poco meglio: Non domandarmi questo, egli rispose, non questo!… Ascoltami bene. Io morirò certamente tra breve. Non vivrò, non guarirò più». All’udire queste parole di Ermanno, Bertoldo non seppe più trattenersi e, dice: «Ruppi in grida scomposte e pianti! Ma Ermanno dopo un poco tutto indignato mi rimproverò tremando un poco per l’ira e guardandomi di sottecchi con aria di meraviglia: Amico del mio cuore» diss’egli «non piangere, non piangere per me!» Dopo di che chiese a Bertoldo di prender le tavolette per scrivere onde annotare alcune ultime cose. Poi il morente aggiunse: «Ricordando ogni giorno che anche tu dovrai morire, preparati con ogni energia per intraprendere lo stesso viaggio, poiché, in un giorno e in un’ora che tu non sai, verrai con me, con me, il tuo caro, caro amico». E furono queste le sue ultime parole.
In questo povero, contorto ometto del Medioevo, brilla il trionfo della Fede che ispirò l’amore e il trionfo dell’amore. Ermanno ci dà la prova che il dolore non significa infelicità, né il piacere la felicità. Soprattutto egli ci fa riflettere sull’ immenso spreco di scienza, sapienza e umanità di cui si è resa responsabile la nostra epoca che ha distrutto milioni e milioni di vite con l’aborto legale: un trionfo dell’odio di Satana per il genere umano.