The Passion, un capolavoro ancora incompreso

The Passion, un capolavoro ancora incompreso

di Matteo Orlando

ANALISI CINEMATOGRAFICO-SPIRITUALE DELLA PELLICOLA DI MEL GIBSONLA PASSIONE DI CRISTO” (“THE PASSION OF THE CHRIST”) A 20 ANNI DALL’USCITA NEI CINEMA ITALIANI (7 APRILE 2004)

Nei giorni scorsi Il Corriere della Sera si è prestato, ancora una volta, ad una pagina di pessimo giornalismo, questa volta legato alla critica cinematografica. Filippo Mazzarella, infatti, ha fatto una critica, a nostro giudizio infondata, su uno dei più grandi film a tema religioso della storia del cinema, che ha segnato profondamente la cinematografia cattolica.

Stiamo parlando della pellicola “La passione di Cristo”, un film del 2004 prodotto, diretto e co-scritto da Mel Gibson ed arrivato nelle sale cinematografiche italiane nel mese di aprile di 20 anni fa (il film è la pellicola cristiana con il maggior incasso di tutti i tempi ed è anche il lungometraggio indipendente con il maggior incasso di tutti i tempi).

Il film, che copre principalmente le ultime 12 ore prima della morte di Gesù Cristo (con alcuni flashback e una scena sulla resurrezione) ha come protagonisti principali Jim Caviezel nel ruolo di Gesù di Nazareth, Maia Morgenstern nel ruolo di Maria, madre di Gesù, Monica Bellucci nel ruolo di Maria Maddalena e Rosalinda Celentano nel ruolo di Satana. Descrive la passione di Gesù in gran parte secondo i Vangeli (il Vangelo di Matteo per una buona parte, quelli di Luca e Giovanni abbastanza, poco quello di Marco), i Salmi di lamentazione o supplica (sia in bocca a Gesù, sia in bocca alla madre) e alcuni testi profetici, come quello iniziale di Isaia. Alcuni particolari sono stati desunti dalla tradizione cristiana, dalla devozione popolare, dai vangeli Apocrifi, dagli scritti della mistica tedesca la beata Anna Katharina Emmerick.

Il film, girato in latino e aramaico, fu finanziato quasi personalmente dal regista e, scrive di Filippo Mazzarella, “sollevò pesanti critiche per la brutalità della rappresentazione del calvario” e subì accuse di “violenza estrema” e “antisemitismo”. Mazzarella scrive di “virulente preoccupazioni etiche per ciò che concerneva la rappresentazione degli ebrei, per la quale Gibson fu tacciato di antisemitismo. Se alcuni gruppi cristiani ultraconservatori avevano accolto l’opera come una potente manifestazione di fede (seppur cruda e furiosa fino al confine col kitsch), molti intellettuali e leader religiosi israeliti l’avevano invece condannata per la sua personificazione negativa degli ebrei e per il timore che potesse alimentare recrudescenze discriminanti”.

L’autore dell’articolo, inoltre, parla di “caratterizzazione stereotipata e negativa di alcuni personaggi (e nella fattispecie del sommo sacerdote Caifa), ma soprattutto la percezione a livello di j’accuse di una implicazione collettiva attribuita al popolo ebraico per la morte di Gesù Cristo”.

Secondo Mazzarella il regista Mel Gibson ha seguito “una sorta di implacabile furia visionaria a tratti fuori luogo e grossolana (come in tutte le digressioni che prevedono una non petita compresenza di elementi sovrannaturali o demoniaci) e a tratti pervicacemente tomista: come nelle sequenze vituperatissime e splatter del martirio fisico di Cristo, realizzate all’insegna di una sorta di sadismo rovesciato ed esteticamente spinte all’eccesso, come se fosse stato necessario che ogni singola immagine testimoniasse e cristallizzasse nell’orrore della violenza ogni singola ferita e ogni singolo spregio alla figura del Redentore. Un procedimento, però, che al di là delle già dette e pur non trascurabili implicazioni ‘ideologiche’ di unidimensionalità colpevolizzante della rappresentazione dell’ebraismo, finiva soprattutto col risultare artificioso e a senso unico sul piano puramente visivo, oltreché intrappolare lo spettatore nel più classico e ambiguo dei dualismi: quello tra ‘vittima’ e ‘carnefice’. Anche se l’aspetto ancor oggi più inquietante del film, già relegato dal Tempo tra le pieghe della storia del Cinema una volta naturalmente cicatrizzatesi le stimmate dell’opera-scandalo, è ormai quello puramente estetico”.

Per stroncare il film Mazzarella aggiunge che “malgrado un consistente successo di pubblico alimentato soprattutto dalla curiosità, del film in sé, da allora, è rimasto ben poco. Sia in termini di persistenza nell’immaginario collettivo sia sotto il profilo più puramente artistico”.

È accaduto esattamente il contrario di quello che ha scritto Mazzarella, in questi ultimi 20 anni. Il film è stato continuamente trasmesso in tv ed è diventato oggetto di libri e di riflessioni in appositi cineforum organizzati in tutta Italia.

Mentre il giornalista del Corriere parla di “sensazionalismo manipolatorio e di paradossale approssimazione spettacolare” e di “totale mancanza di una prospettiva teologica bilanciata”, in realtà ogni scena del film presenta sottolineature teologiche eccezionalmente curate e cattoliche (e forse proprio questo disturba l’autore dell’articolo).

Il film è stato girato in Italia presso Cinecittà Studios a Roma, e in esterni nella città di Matera e nella città fantasma di Craco, entrambe nella regione Basilicata. Il costo di produzione stimato di 30 milioni di dollari, più ulteriori 15 milioni di dollari di costi di marketing, è stato interamente sostenuto da Gibson e dalla sua società Icon Productions.

Gibson ha consultato diversi consulenti teologici durante le riprese, tra cui padre Jonathan Morris e il prete Philip J. Ryan, che visitava quotidianamente il set per fornire consigli, permettere la confessione e la santa comunione a Jim Caviezel. Sono state celebrate messe per il cast e la troupe in diverse località. C’erano altri sacerdoti coinvolti nelle riprese, tra cui l’abate Michel Debourges dell’Istituto di Cristo Re, Stephen Somerville e Jean-Marie Charles-Roux, ai quali Mel Gibson chiese di celebrare quotidianamente la tradizionale messa latina.

Durante le riprese, l’assistente chiave della produzione Jan Michelini è stato colpito due volte da un fulmine e quindi soprannominato “Lighting Boy”, come si vede nei titoli di coda. Pochi minuti dopo, anche Caviezel venne colpito.

Dopo non aver ricevuto il sostegno degli studios di Hollywood, Gibson decise di distribuire lui stesso il film negli Stati Uniti, con l’aiuto di Newmarket Films. Negli Stati Uniti “La passione di Cristo” fu fortemente promossa da molti gruppi ecclesiali, sia all’interno delle loro organizzazioni che presso il pubblico. Il film aveva ricevuto il sostegno pubblico di leader evangelici, tra cui Rick Warren, Billy Graham, Robert Schuller, Darrell Bock, il redattore di Christianity Today David Neff, Pat Robertson, Lee Strobel, Jerry Falwell, Max Lucano, Tim LaHaye e Chuck Colson. Il 5 dicembre 2003, il coproduttore di Passione di Cristo, Stephen McEveety, consegnò una prima versione del film all’arcivescovo Stanisław Dziwisz, segretario del papa. Quella notte Papa Giovanni Paolo II guardò il film nel suo appartamento privato con l’arcivescovo Dziwisz, definendo le scene conformi alla realtà che ha vissuto Gesù (“È così com’era”).

In una recensione positiva per Time il critico cinematografico Richard Corliss ha definito La Passione di Cristo “un film serio, bello e straziante che irradia un impegno totale”. E siamo pienamente d’accordo.

Il film inizia con una citazione di Isaia, cap. 53 (databile al 700 a.C.): “Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. È un testo tradizionale della lettura cristiana della passione. Gli Ebrei lo riferiscono al popolo ebraico, non al Messia, né al Gesù dei Cristiani. Gibson mette questa citazione in apertura come una chiave di lettura di tutto il racconto.

La scena iniziale del film, che rappresenta la drammatica preghiera di Gesù nell’uliveto del Getsemani di Gerusalemme è stata girata negli studi di Cinecittà (Roma). La luna e la sua luce sono il simbolo di Dio Padre. I peccati dell’uomo sono simboleggiati dalle nuvole, che oscurando la luce divina, lo gettano nella disperazione facendolo accasciare al suolo, prima di risollevarsi e schiacciare il serpente. Mel Gibson per tutto il film si è ispirato ai quadri di Caravaggio per l’atmosfera di chiaroscuri, estrema sintesi della lotta fra il bene ed il male.

Gesù va incontro ai 3 (dei 12 apostoli) che lo avevano seguito nel podere del Getsemani (Pietro, Giovanni, Giacomo). Gesù chiama Pietro con un termine aramaico: KEFA, che significa “La roccia”. Dal Getsemani il regista “salta” al tempio di Gerusalemme per la vicenda del tradimento di Giuda (e dei 30 denari d’argento, la cifra che per gli ebrei corrispondeva al prezzo di uno schiavo).

La figura di Giuda è intensa perché deve dare allo spettatore la possibilità di identificarsi con lui, visto che nel suo moralismo, nel suo tradire, nel suo pentimento, nel non credere che Dio possa perdonarlo per tutto quello che ha combinato, Giuda rispecchia molto le caratteristiche dell’uomo moderno del nostro XXI secolo.

Durante l’agonia il diavolo tenta Cristo con la domanda inevitabile: “Come può qualcuno sopportare i peccati del mondo intero?”. Ma Cristo prosegue con coraggio e convinzione nel portare avanti la volontà del Padre (accogliere su di sé i peccati del mondo intero). In tutto il film vi è un forte senso del dramma cosmico al quale tutti gli uomini prendono parte…

Gesù, entrato in agonia, nella lotta spirituale contro Satana, incomincia a sudare e le gocce cadevano per terra come sangue. Il sudore di sangue nel giardino si trova descritto nel Vangelo di Luca.

Il Tentatore, Satana (che etimologicamente vuol dire ‘Avversario’), appare con caratteristiche androgene, con apparenza femminile ma con voce maschile. L’androgino rappresenta l’indistinzione tra uomo e donna e riflette la non-distinzione tra bene e male. Se la distinzione dei sessi fa parte del piano divino, il demonio mescola le essenze (Cfr. Is 5, 20).

Mel Gibson ha dichiarato in una intervista: “Il diavolo è reale ed è molto intelligente. Il male è fascinoso, attraente. Sembra quasi normale, quasi buono. Ma non del tutto. Questo è quello che ho cercato di fare col diavolo nel film. La faccia dell’attrice è simmetrica, in un certo senso bella, ma non completamente. Per esempio, le abbiamo rasato le sopracciglia. Poi l’abbiamo ripresa quasi sempre al rallentatore, così che non la si vede battere quasi mai le ciglia, il che non è normale. Nel Getsemani abbiamo fatto il doppiaggio con una voce maschile, anche se l’attrice è donna. Questo è ciò che fa il male, prendere qualcosa che è buono e travisarlo un po’”.

Arrivate sul monte degli Ulivi le guardie ebree del tempio mettono in pratica l’ordine di Caifa, Sommo Sacerdote del tempo, e arrestano Gesù. Nelle concitate scene si notano: il bacio di Giuda e Pietro che guarda intensamente il traditore; Giacomo che fugge; Giovanni vestito di scuro; Matteo che osserva la scena e poi fugge. Gibson ha voluto inserire, anche se per pochi attimi, un ragazzo che fugge avvolto in un lenzuolo. Si tratta dell’evangelista Marco.

Pietro, con un colpo di spada, recide l’orecchio di Malcus (o Malco, solo il Vangelo di Giovanni ne riporta il nome), guardia del Sinedrio che era tra quelli che arrestarono Gesù nel Getsemani. Malcus cade a terra tramortito. San Luca ci racconta della guarigione ottenuta da Gesù; la tradizione ritiene che il suo incontro con Gesù ne abbia cambiato la vita. Gesù lo guarisce (rimettendo l’orecchio al suo posto) e ordina di mettere via la spada a Pietro. Quindi il Signore sceglie la non violenza e rifiuta la difesa armata. Di più, Gesù sana le ferite provocate dalla violenza umana.

Ricordiamo una sottolineatura teologica: chi era mutilato non poteva diventare sacerdote. Quindi Giovanni, in questa maniera, fa capire che Pietro in qualche maniera destituisce i candidati al sacerdozio ebraico.

Entra in scena Maria, impersonata dall’attrice Maia Morgenstern, ebrea di origine rumena (Morgenstern in tedesco significa “stella del mattino”). Nel film Maria è sempre vicina al Figlio. Giovanni, pescatore e socio di Pietro, autore dell’omonimo vangelo e dell’Apocalisse, morto ad Efeso nel 100 d.C. circa, entra a casa della Madonna che è in compagnia di Maria Maddalena per riferire dell’arresto.

Gesù comincia a ricevere i primi colpi dalle guardie del tempio. Giuda appare già pentito del tradimento, ma ormai è sopraffatto da Satana. È Satana gli compare dinanzi sotto orribili sembianze. Un sacerdote, fornendo un sacchetto di monete, chiede a qualcuno di portare quanta più gente al Tempio. Gesù viene portato nel cortile del Sinedrio. Inizia il processo…

Quello di Gesù non è stato un “giusto processo” ma un arresto (illegale) seguito dalla decisione di investire della questione Pilato. C’è anche il problema del processo notturno (illegittimo) davanti al Sinedrio, visto che non si poteva emettere una condanna capitale di notte e senza il plenum del consiglio, cioè la maggioranza dei sinedriti. Insomma, sono stati violati i più elementari e fondamentali diritti che appartengono a ogni uomo che sia accusato di qualche crimine e in meno di 24 ore è stata pronunciata ed eseguita una condanna a morte senza che all’imputato sia stata offerta alcuna possibilità di impugnazione.

Maria Maddalena, interpretata da Monica Bellucci, era una oriunda di Magdala, in Galilea. La Maddalena grida ai soldati l’illegittimità di ciò che si stanno facendo. Un sinedrita la presenta come pazza al romano Cassius. Da questa scena in poi l’occhio destro di Gesù rimarrà chiuso per i colpi ricevuti.

Vedendo un falegname che sta lavorando su una croce c’è il primo flashback del film. Gesù ricorda la professione paterna. In questa scena Gesù dice che sta costruendo un tavolo alto per una persona ricca (forse simbolo dell’altare su cui Cristo si sacrifica oggi, in maniera incruenta, per l’umanità). Altre tre volte compariranno dei tavoli nel film. Maria lo chiama ‘bari’ cioè ‘figlio mio’. Gesù ha sul giovane volto un sorriso sereno, l’unico del film. Un elemento che poi si ripete nel film è l’amore tra Madre e Figlio, legame sempre presente con la stessa intensità dall’inizio alla fine. Maria, insomma, è la corredentrice che liberamente offre il figlio al sacrificio.

Presente nel vangelo di Matteo (27,19) senza un nome specifico, entra in scena Claudia Procla o Procula, moglie di Pilato (Gibson ricava il suo nome dai vangeli apocrifi del secondo secolo, quando i personaggi anonimi del Vangelo sono identificati con un nome).

Le parole di Claudia sono: “Nulla esca da te che sia contro quel giusto, perchè donne più importanti oggi sono state tormentate da un incubo angoscioso a causa sua”. Le donne principali di cui parla potevano benissimo essere la sposa di Giuseppe d’Arimatea, la sposa di Nicodemo, o le sorelle di quest’ultimo, oppure alcune di quelle donne che, secondo Luca, assistevano Gesù e i suoi discepoli con i loro beni (Lc 8.1-3).

Ponzio Pilato è Procurator cum potestate della Giudea. Il ruolo di Pilato e dei Romani corrisponde sostanzialmente al racconto dei 4 vangeli che tende a dare un’immagine favorevole di Pilato. Egli tenta a tutti i costi di salvare Gesù. Questo lo dice Luca: per 3 volte Pilato dichiara: “Non trovo in lui nessuna colpa”. Lo stesso si trova in Matteo, Marco e Giovanni.

Giuseppe Caifa era formalmente l’unico titolare della carica di Sommo Sacerdote, incarico (deciso dai Procuratori della Giudea) che occupò dal 18 al 36 d.C.. In molte fonti, compresi i Vangeli, il nome di Caifa è legato a quello del suo predecessore Anna, suo suocero, aristocratico sadduceo, continuò comunque ad esercitare la sua influenza. Il Vangelo di Giovanni riferisce che Gesù, dopo l’arresto, fu portato da Anna prima che da Caifa.

Allo schiaffo del soldato che, davanti a Caifa, domanda: “Così rispondi al Sommo Sacerdote?”, Gesù risponde: “Perché mi percuoti? Se ho parlato male mostramelo“. La scena del dileggio con lo schiaffo, non da parte dei soldati o dei custodi, ma di uno dei membri del Sinedrio, corrisponde al testo di Matteo e Marco che comunque non esplicitano chi è il soggetto dell’azione. Si può pensare che quelli stessi che lo hanno accusato di bestemmia incominciarono il pestaggio.

Giuseppe di Arimatea è presente in tutti e 4 i Vangeli. Era un personaggio autorevole in Israele, membro del Sinedrio, discepolo di Gesù ma di nascosto, a causa della sua posizione. Luca riferisce che si era opposto alla decisione di mettere a morte Gesù. È lui che: – ottiene da Pilato il corpo di Gesù; – lo porta al sepolcro; – compra il lenzuolo di lino in cui poi lo avvolge; – mette a disposizione una dignitosa tomba scavata nella roccia. Ha un ruolo breve ma importante, perché rifiuta di essere coinvolto nel processo contro Gesù e protesta vivacemente. Neanche nel Sinedrio dunque, tutti i Sacerdoti volevano condannare Cristo. Fa un’apparizione fugace anche al momento della deposizione.

C’è un altro membri del Sinedrio che, con Giuseppe d’Arimatea, protesta. Si tratta di Nicodemo, nominato nel quarto Vangelo. Entrambi sono farisei e seguaci segreti di Cristo. Quando si ribellano al processo ne vengono allontanati e non vi partecipano più, non avendo quindi la possibilità di votare per l’innocenza. Votazione che, tra l’altro, sembra non avere luogo.

Le denunce di Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, cioè l’assenza di numerosi sacerdoti, indica come Gibson voglia limitare le responsabilità più gravi ai soli vertici e non all’intero Sinedrio o all’intero popolo ebraico. Cosa confermata da Sua Santità Benedetto XVI nel secondo volume del suo libro “Gesù di Nazareth”.

Solo in Luca si racconta l’incontro tra Gesù e Pietro, durante il rinnegamento. Gesù voltatosi guardò Pietro che si ricorda delle parole di Gesù e piange (“Prima che il gallo canti mi negherai per tre volte“). Pietro anticipa il tempo del perdono, inginocchiandosi davanti alla Madonna, implorandone il perdono. Come succederà anche più avanti nel film, Pietro si rivolge a Maria chiamandola “Madre“. Pietro non osa farsi avvicinare dalla mano della Madonna perchè si sente traditore. La Madonna, percependo la presenza del figlio, si adagia al suolo del tempio, proprio in corrispondenza della cella sotterranea dove è tenuto Gesù. Maria, chinatasi, appoggia la guancia e il cuore al terreno. Mentre l’inquadratura scende sotto il pavimento fino alla sporca caverna che era la prigione di Gesù, lo spettatore riesce a cogliere Gesù che è consapevole della vicinanza di Sua Madre, in un legame che va oltre le cose di questo mondo.

L’animo di Giuda è tormentato. Come una larva compare nella narice del diavolo nel giardino degli ulivi, così anche Giuda strofina il naso sulla colonna del Sinedrio (come per liberarsi di qualcosa) e poi prima di restituire il sacchetto con i denari, anche con questo si strofina il naso. Poco dopo due bambini gli si avvicinano, e, presto deformandosi, si rivelano per quello che sono: demoni. Lui può vederli, non gli altri. I bambini, simbolo dell’innocenza, accusano Giuda del più terribile dei peccati, esasperando i suoi rimorsi. Il senso di colpa è una potente arma di Satana, così Giuda invece di cercare il perdono si suicida. I bambini inseguono Giuda e non lo lasciano in pace. Crescono di numero e lo conducono su di un colle isolato, continuando a maledirlo. Ecco perchè quel campo è chiamato anche oggi ‘Campo del sangue’ (Mt 27,8).

L’episodio di Giuda che va ad impiccarsi si trova in Matteo e negli Atti degli apostoli. Secondo il primo Giuda si è impiccato, secondo gli Atti si è squarciato.

Pochi giorni prima c’era stata la famosa Domenica delle Palme, con Gesù che era entrato trionfante a Gerusalemme in sella ad un asino. La vista della carcassa di un asino, morto e pieno di larve, ricorda a Giuda il risultato del suo tradimento: la morte di Cristo. Giuda, il discepolo più desideroso di creare un regno di Cristo già su questa terra, vede simbolicamente in quella carcassa i suoi sogni di gloria in putrefazione. Non è più il tempo dei rimorsi (i bambini sono scomparsi): è giunta l’ora della morte.

Belzebù letteralmente significa “il Signore delle Mosche”. Le mosche che circondano Giuda simbolizzano che era ormai stato sopraffatto da Satana. Per la seconda volta nel film vediamo un animale sotto i piedi. Ma mentre nel giardino degli ulivi Gesù aveva schiacciato il serpente, questa volta non sono i piedi di Giuda a sopraffare l’innocuo animale, un asino, che è già morto.

Si ritorna al “processo” del Cristo. La presenza della colomba ricorda Gesù la presenza dello Spirito Santo e dell’amore di suo Padre a poche ore dal suo sacrificio e sembra richiamare l’espressione di Gesù che troviamo in Lc 12, 11-12: “Quando poi vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi del  come e del che risponderete a vostra difesa, o di quello che direte; perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento stesso quello che dovrete dire“.

Pilato comincia ad interrogare Gesù in aramaico. Gesù risponde in latino (per farsi comprendere anche dagli altri 2 romani presenti) e Pilato prosegue con le domande in latino. “Dunque sei un re?“, chiede Pilato. “È per questo che sono nato. Per testimoniare la verità agli uomini“, risponde Gesù. Pilato ribatte laconico: “Che cos’è la verità?“ (“Quid est veritas?“). Quelle stesse parole anagrammate – noterà sant’Agostino, vescovo d’Ippona – contengono la risposta: “est vir qui adest” (è l’uomo che ti sta di fronte). Questo dialogo tra Gesù e Pilato è ripreso dal Vangelo di Giovanni.

Nel Vangelo di Luca troviamo la scena dell’incontro di Gesù con Erode Antipa (Tetrarca della Galilea, figlio di Erode il Grande, noto per la famosa strage degli innocenti). Gibson lo presenta come una figura effeminata, ambigua, circondato da una strana corte greco-romana. Luca è a conoscenza di certe tradizioni grazie ad alcuni parenti dell’ambiente di Erode Antipa come Susanna, moglie dell’amministratore di Erode, che cita nel Vangelo. Luca vuole mostrare che due autorità, autonome e politiche, depongono a favore dell’innocenza di Gesù: Erode da una parte e Pilato dall’altra, anche se per motivi diversi. Troviamo ancora una volta la presenza animalesca e simbolica del diavolo. Dopo il serpente nell’Orto degli Ulivi, l’animale putrefatto nel suicidio di Giuda, adesso il feroce leopardo nella corte di Erode.

Lo scambio di Gesù con Barabba corrisponde al racconto di tutti e 4 i vangeli. Anche la richiesta di crocifissione da parte del popolo su istigazione dei capi Giudei, corrisponde al racconto evangelico. Da notare che è sempre Caifa a rispondere: che sia crocifisso!

Barabba viene presentato in modi diversi nei 4 vangeli. Marco 15,7 racconta che «un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli (stasiastôn) che nel tumulto avevano commesso un omicidio», sottolineando quindi l’appartenenza a un gruppo insurrezionale, responsabile collettivamente di omicidio. Matteo 27,16 lo definisce «un prigioniero famoso». Luca 23,19 afferma che era stato incarcerato per assassinio, oltre che complicità in una sommossa: «Questi [Barabba] era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio». Giovanni 18,40, invece, afferma solo che egli è un “brigante” (λῃστής).

Di Abenader non si parla nei vangeli. Ne parla nei suoi Diari la mistica e beata Anna Katharina Emmerick. Tedesca, nata l’8.9.1774, dotata di doni soprannaturali (assenza di alimentazione, conoscenza dei cuori umani e dei misteri biblici della fede, partecipazione con lo spirito nell’aldilà e comunione con le anime del purgatorio) dal 1819 fino alla morte (9.2.1824), le sue visioni mistiche furono annotate da Clemens Brentano. Dai suoi diari sappiamo che Abenader rassegnò le dimissioni e si fece battezzare con il nome di Ctesifone.

Diverse volte nel film Gesù ha un forte impatto carismatico sulle persone che lo incontrano per la prima volta: Malcus, Claudia, Pilato, il cortigiano africano di Erode, Abenader, Cassius, Simone di Cirene, Veronica, il ladrone “buono”. Persino Barabba, che è raffigurato ben poco umano, sembra per qualche attimo colpito e titubante quando guarda Gesù.

La presenza dei capi giudei alla flagellazione di Gesù non è descritta nel racconto evangelico, che parla di una flagellazione fatta nel Pretorio o nel palazzo del governatore. Che fosse presente la folla oppure solo la corte o un gruppo di soldati non si sa. Nel film compare in primo piano sempre il gruppo di Giudei con la folla che sta sullo sfondo. Compare anche la Madonna di cui si riprendono gli occhi. I primi piani invitano a guardare la scena non sotto l’aspetto doloristico, ma con lo sguardo emotivo della madre che è coinvolta nel rapporto con il figlio.

Un uomo flagellato col tremendo flagrum romano (una frusta di catenelle metalliche terminante con punte acuminate) non può che uscirne con la carne a brandelli e letteralmente coperto di sangue. Certo è che dal minuto 51 al minuto 61 dieci minuti di flagellazione sono sconcertanti da vedere e, di primo acchito, sembrano troppi. Ma se consideriamo che sulla Sindone di Torino risultano 121 colpi, questo vuol dire che una flagellazione di quei tempi richiedeva più o meno quel tempo.

Nel film si ha una duplice flagellazione, prima la FUSTIGATIO ebraica con il computo di 39 colpi. Per non rovinare una persona procurandole danno irreversibile nel Deuteronomio si prescrive di limitare a trentanove colpi, cioè quaranta meno uno. La legge viene rispettata alla perfezione. L’ufficiale che controlla conta in latino. La FLAGELLATIO romana prolunga la scena: si fa con le corde munite di ossicini o piombi che scarnificano. Gibson utilizza i due modelli di castigo e di pena.

Lo scherno e le risa oscene che circondano Gesù evocano i volti spaventosi di Hieronimus Bosch, pittore olandese del ‘500. «Bosch evoca un male immateriale, un principio di ordine spirituale che deforma la materia, un dinamismo che agisce in senso contrario a quello della natura». Quando finì la flagellazione erano circa le nove del mattino.

Satana è presente durante tutta la flagellazione. Appare tra i sinedristi e poi con un bimbo in braccio, caricatura mostruosa di un infante, l’anticristo.

«È il male che distorce ciò che è buono – ha dichiarato in una intervista Gibson -. Cosa c’è di più tenero e bello di una madre e un bambino? Il Diavolo, invece, presenta una madre androgina che tiene un “bambino” di 40 anni senza capelli».

Claudia Procula, la moglie di Ponzio Pilato, abbandona il palazzo e suo marito per aiutare le due marie. Secondo il suo vangelo di Matteo lei mandò un messaggio al marito chiedendogli di non condannare Gesù a morte: “Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua” (Mt 27,19). In seguito diventò cristiana e sembra essere lei la Claudia che appare nella seconda lettera a Timoteo (4,21) di San Paolo: “Affrettati a venire prima dell’inverno. Ti salutano Eubùlo, Pudènte, Lino, Claudia e tutti i fratelli’ “.

La scena dell’adultera, un flashback, è molto bella. Gesù condanna i peccati della donna adultera ma non condanna la donna come essere umano. Famosa la sua frase: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Si vede la donna piegata che allunga la mano, ma non si vede il suo volto, se non quando tutti hanno gettato via le pietre della lapidazione. Si richiama in modo simbolico la figura della donna che viene condannata quando esce dalla protezione del fratello o del marito o del padre, le figure maschili che controllavano la donna nel mondo semitico di un tempo.

Gibson compare, come attore due volte: qui (sua è la mano che solleva la donna da terra) e poi con le sue mani che infilzano e martellano il chiodo sui palmi di Gesù.

L’aspetto del dolore, con una ulteriore forma di tortura attraverso la corona di spine messa sul capo, e il sangue che cola, corrisponde ai Vangeli dove si dice: “Lo percuotevano, gli sputavano e lo deridevano”. La scena dell’Ecce homo si trova solo in Giovanni. Gesù viene presentato con questa forma che vuol dire “Ecco l’uomo”.

La lavanda dei piedi, è un gesto di amore, che viene presentata in un flashback nel momento in cui Ponzio Pilato si lava le mani (fatto che racconta solo Matteo, in quanto è un rito ebraico che non ha nulla a che fare con il mondo greco-romano). Quando si trovava una persona uccisa in aperta campagna e non si sapeva da chi era stata uccisa, gli anziani dei villaggi vicini andavano sopra la persona uccisa, si lavavano le mani e recitavano una formula rituale: “Noi non siamo responsabili di questa morte”. Matteo che scrive (in greco) per una comunità che vive fuori dalla Palestina utilizza un rituale ebraico ripreso dal libro del Deuteronomio. Da questa scena ha inizio un parallelismo che proseguirà per tutto il resto del film fra la passione e l’eucaristia.

Gibson fa portare ai due ladroni il patibulum, mentre a Gesù la tradizionale croce latina a due bracci, con due travi inchiodate, che la gente vede nelle Via crucis, altrimenti lo spettatore avrebbe detto: “E la croce dov’è?”.

Nei testi del Vangelo non si racconta nessuna caduta di Gesù: le tre cadute fanno parte della devozione rituale della cosiddetta “Via Crucis”.

Nella prima scena nella quale compare la croce, Gesù l’abbraccia per dimostrare che affronta la passione consapevolmente. La tecnica dei primi piani mostrano il corpo sfigurato, le replicate cadute, l’enorme profusione di sangue.

Anche la Madonna, oltre a Gesù, ha la facoltà di vedere il diavolo. Il diavolo, da figura isolata qual’era nel Giardino degli ulivi, si accompagna sempre a più gente: prima compare dietro i sacerdoti durante la flagellazione, e adesso è immerso nella folla che segue la Via Crucis.

È escatologico l’ultimo tratto della Via Crucis: Satana e la Vergine Maria ai due lati opposti della strada. Il primo significato dello sguardo che la Madre porta al Figlio è una identificazione. Gesù si rafforza alla vista di sua madre, e riprende il cammino verso il Golgota, annunciando che grazie al suo sacrificio il mondo non sarà più lo stesso. Questa scena si svolge di fronte la casa di Caifa, e difatti nel film vediamo le torce ai muri e un bel palazzo a corte sullo sfondo. Uno dei momenti più belli e più intensi è un flashback che mostra l’amore di una madre verso il piccolo figlio. L’aspetto materno di Maria viene visto quindi in parallelo con quello di parecchi anni prima quando ha detto teneramente al piccolo Gesù caduto: “Sono qui!”.

Cassius il centurione chiede: “Chi è quella donna?“. Si sente rispondere che è la Madre del Nazareno. E inizia qui il percorso che lo porterà ad essere inondato dal suo sangue mentre gli trafigge il fianco, e a credere che quel sangue lo salva. È ancora Abenader a venire in soccorso di Gesù, come avvenuto durante la flagellazione.

Solo Luca racconta l’incontro di Gesù sulla via della croce con le donne di Gerusalemme, alle quale egli si rivolge. Circa il ruolo delle donne nella Passione è interessante il gioco di contrasto tra il loro atteggiamento e l’aggressività bestiale del mondo maschile.

Entra in scena Simone di Cirene. Quando il Cireneo viene chiamato dai soldati per aiutare Gesù a portare la croce ha, come prima reazione, quella di dire: “io non c’entro, non ho fatto niente, sono innocente”. È la reazione più normale davanti al dolore, alla sofferenza: all’opposto l’esempio di Gesù, che accoglie la sofferenza come strumento di salvezza per sé e per gli altri.

La Veronica, che con un vino aromatico conforta Gesù, è una figura tradizionale della Via Crucis. Il suo nome vero era Seraphia (moglie di Sirach, membro del consiglio del tempio). Era nata a Gerusalemme ed era cugina di Giovanni Battista. Quando Gesù gli rese il panno, miracolosamente vi rimase impressa l’immagine del volto di Cristo. Il nome Veronica deriva dal latino ‘Vera’ e dal greco ‘eikon’, e significa quindi ‘vera immagine’. Secondo padre Pfeiffer è il Volto Santo conservato presso il santuario di Manoppello in Abruzzo, velo che è perfettamente sovrapponibilità al volto della Sindone di Torino. Continui flashback fanno coincidere i momenti più acuti della Passione con passi del discorso delle beatitudini, della lavanda dei piedi, ecc.

La collinetta del Golgota era appena fuori dalle mura di Gerusalemme di allora. Il nome significa “luogo del cranio” (forse perché vi erano stati trovati dei teschi, o perché era un luogo di esecuzione, o perché assomigliava ad un teschio, per la presenza di numerose grotte che ricordavano le orbite vuote).

La mano di Mel Gibson (nella vita reale un cattolico praticante) pianta il chiodo. Vuol significare un atto di pentimento e di riconoscimento dei propri peccati. In effetti ognuno di noi crocifigge Cristo con i suoi peccati. Cristo, con i suoi patimenti, si è fatto “peccato” al posto del nostro peccato. Questo per riconciliarci con il Padre.

I soldati, per inchiodare Gesù, devono quasi strappargli la spalla per far combaciare la mano con il foro precedentemente praticato. La Madonna raccoglie della terra, che lascerà cadere quando la croce sarà issata e suo figlio si avvierà a lasciare la terra. Giovanni riferisce nel Vangelo che l’iscrizione nel titulus (sulla tavoletta) era in tre lingue: ebraico, greco e latino. In questa ricostruzione cinematografica manca la scritta in greco.

Il peccato è il nostro allontanamento da Dio, e Cristo deve provare ogni conseguenza del peccato dell’uomo, e la sensazione di essere abbandonato dal Padre è la più straziante. C’è un parallelo fra la croce che viene issata e il calice che viene alzato.

Gesmas (o Gestas) è il ladrone cattivo mentre Dismas è il ladrone buono, nel film a sinistra di Gesù anziché a destra. Nell’unico Vangelo dove è narrato tale episodio (Lc 23, 39-43) non si specifica la posizione dei due malfattori. Nell’iconografia cristiana Disma, il ladrone buono, è sempre rappresentato a destra di Gesù. Forse questa scelta potrebbe riagganciarsi al fatto che lo stesso Gesù aveva detto che nel Giudizio finale il Figlio dell’Uomo porrà i buoni (le “pecore”) alla sua destra e i cattivi (i “capri”) alla sua sinistra (Mt 25, 31-46).

Un corvo rende fisicamente cieco chi già lo era spiritualmente: Gesmas. Nel folklore ebraico il corvo rappresenta la crudeltà.

Il Cristo in croce fa ricordare un dipinto di S. Alfonso de’ Liguori (il santo e Dottore della Chiesa che era anche pittore, musicista, teologo moralista e fondatore): in esso il crocifisso è come inondato di sangue, così come appare nel film e come davvero deve essere stato.

Un soldato avvicina qualcosa alla bocca di Gesù.  Nel Vangelo di Giovanni si parla di spugna imbevuta, posta sopra una lancia. Il vangelo parla di hyssôpo, un ramoscello di un cespuglio che serviva ad aspergere con il sangue dell’agnello gli stipiti delle porte. Ma già nel ‘500 gli umanisti hanno letto in greco hyssô, che significa “lancia”. Da qui deriva la scena della lancia su cui i soldati hanno messo la spugna imbevuta di aceto accostata alle labbra di Gesù morente.

Indicando in Giovanni suo figlio, Gesù si rivolge a sua madre chiamandola Donna, per indicare come sia lei la donna di cui parla la Bibbia che schiaccia il serpente, e poi indicandola a Giovanni come “tua madre“, rende la Madonna madre di tutti gli uomini.

Cristo ci ha amati fino alla fine (Gv 13,1). Cristo in croce è il peccato condannato dal Padre. «Verso le tre Egli gridò ad alta voce: “Eli, Eli, lamma sabachtani!”, che significa: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato!”» (è l’inizio, il “titolo” del Salmo 22).

In quel momento il Signore pronunziò le sue ultime parole e morì, lanciando un altro grido che penetrò il cielo, la terra e sotto terra. Tutto era ormai compiuto.

Quando Gesù spira Gibson fa partire il pianto di Dio. La goccia-lacrima di Dio, che cade dal cielo al momento della morte di Gesù, purifica gli uomini dal peccato proprio come l’acqua del battesimo.

La lacrima di Dio, che provoca il terremoto, dopo la morte di Gesù, ha una valenza teologica. Gesù aveva minacciato: “Distruggerò questo tempio”. L’annuncio della distruzione del tempio si trova nei Vangeli di Marco e Matteo, e fa parte delle accuse che porteranno Gesù alla condanna. Nel momento della morte di Gesù si ha non solo la rottura del velo, ma la fine della vecchia struttura templare.

Questo terremoto è un elemento teofanico (una manifestazione di Dio) ripresa nell’Apocalisse dove i terremoti (grandi manifestazioni di Dio) squarciano la grande città di Babilonia, simbolo del potere corrotto.

Spezzare le gambe ai condannati era un modo per velocizzarne la morte. Gesù, invece, non viene toccato, perché già morto. Già la Bibbia aveva annunciato che al Messia non sarebbero state spezzate le ossa. In più l’agnello pasquale andava mangiato senza spezzarne le ossa.

Anche il sangue di Gesù che sgorga dal costato trafitto dalla lancia ha un contenuto teologico: “Foste liberati con il sangue prezioso di Cristo”(1 Pt 1,19); “Il Sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato”(1 Gv1,7) “Ci ha liberati dai nostri peccati con il suo Sangue”(Ap1,5).

La pratica romana del crurifragium è quella della spaccatura delle tibie per affrettare la morte dei crocifissi. Nel film l’ufficiale che dà l’ordine di spaccare le tibie dice in latino “crura”. Ai due crocifissi con Gesù viene fatto il crurifragium mentre a Gesù, già morto, per ordine dell’ufficiale, viene dato il colpo di grazia e dal fianco esce sangue ed acqua. Questa scena del film è tratta dalle immagini medievali, dalle iconografie tradizionali, dove il sangue che fluisce abbondante e purifica, lava l’ufficiale che ha dato l’ordine.

Cassius è una figura che ritroviamo nei Diari della Beata Emmerich. Si battezzò con il nome di Longinus e fu quindi sepolto in Italia, nei pressi di Mantova.

Satana, in un Golgota inaridito simile all’inferno, urla contro il cielo. Pensava di aver vinto, ma il sacrificio di Gesù lo sconfigge togliendogli le chiavi dell’inferno, così il suo grido di vittoria si trasforma nell’agonia della sconfitta.

In tutto il film c’è un crescendo di Satana: – da solo all’inizio; – sempre con più gente dopo; sembra quasi vittorioso; – ma alla fine sprofonda negli abissi ed è sconfitto. Questo corrisponde a un testo giovanneo: “Quando sarò innalzato da terra … il principe di questo mondo sarà cacciato fuori“.

La scena della deposizione è come quella immortalata nella famosa Pietà di Michelangelo. Il Figlio giace un’altra volta nel grembo della Madre. La risurrezione è presentata in modo molto discreto, secondo il modello giovanneo del lenzuolo che si affloscia. Compare anche di profilo la figura di Gesù ritto in piedi.

La presenza di Gesù nella tomba, non più disteso, ma ritto in piedi, non corrisponde a nessun testo evangelico perché Gesù non appare nella tomba, dove ci sono uno o due angeli, come testimoni. Egli appare solo fuori della tomba. Il regista ha fatto questa scelta: la pietra si apre, entra la luce e poi la figura di Gesù vivo.

Dentro il sepolcro, circondato da pareti di roccia, si sente un rumore di pietra che si sposta, si vede una luce, le bende funebri si afflosciano svuotate dal di dentro (così indica il verbo greco nei Vangeli: ecco perché i primi che arrivarono al sepolcro rimasero sconcertati).

Gesù nel suo corpo risorto, forte e bellissimo, con le mani forate dai chiodi (stimmate rimaste come monito perenne per l’umanità di tutti i secoli) ha il volto serio e fiero, di chi ha portato a termine la sua missione redentiva.

 

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