Il borghese è una piaga sociale
di Matteo Castagna
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IL DITO NELLA PIAGA SU UNA FETTA IMPORTANTE DELLA SOCIETÀ
L’intento di questo articolo è quello di mettere il dito nella piaga su una fetta importante della società. Non per odio, né per antipatia, ma per cercare di risvegliare coscienze assopite dalla vita borghese. Chi si offende, significa che si sente preso in causa. Chi si arrabbia ma poi ci pensa e cerca di cambiare, è saggio. Chi nega è il solito ipocrita, acrimonioso, infelice e perenne, cronico sfigato.
“La polemica antiborghese nasce confusamente e all’improvviso, me è il risultato dell’originaria natura del fascismo. (…) All’homo oeconommicus il fascismo cerca di sostituire l’uomo integrale (…) vuole distruggere l’identità ricchezza-valore e fondare il nuovo Stato sul valore-uomo”. Questa frase è tratta dall’opera del giovane studioso Cristian Leone, presentata alla Libreria Europa di Roma il 26/10/2019, dal titolo: “Fascismo: storia di una rivoluzione antiborghese”. Francesco Carlesi ne fa un’analisi sull’Agenzia capitolina Consul Press.
Il fascismo all’attacco della borghesia
Negli anni ’30, molti la ritenevano una “malattia morale” che si fondava sulla brama dell’arricchimento personale, che, per forza di cose, immobilizza di fronte al rischio di una prospettiva rivoluzionaria, in grado di cambiare lo status quo. Compromessi, gradualismo, strapotere industriale ed oggi globalismo tecnocratico, irritano molti giovani, che desiderano trasformare la società italiana e l’economia ultra-capitalistica, che si fondano sul nichilismo cosmico e il materialismo pratico.
La mistica del lavoro
Leone analizza tutti gli ambienti dei vecchi equilibri e sente la necessità di proporre un nuovo ordine, basato, appunto, sulla “mistica del lavoro” e sulla partecipazione organica dei produttori alla politica della nazione. Nel 1941, Sergio Panunzio già parlava di “umanesimo sociale del lavoro”. Nicolò Giani critica aspramente e pubblicamente la corruzione e tutti coloro che, nel regime, mostravano una certa antipatia verso una prospettiva di rivoluzione sociale, perché avrebbe potuto mettere in discussione i loro privilegi. In questo contesto vi fu una generazione di studiosi che voleva vivere i principi della “rivoluzione continua”, coniugando pensiero e azione. Il più noto di questi esponenti fu Guido Pallotta, il quale scrisse che “rivoluzione per il bene di tutti e non già per lo sporco utile proprio”. Al lavoro il borghese preferisce un atteggiamento parassitario e sempre pronto al ricorso alla bugia e alla delazione. il borghese è un frustrato presuntuoso, che raggiunge gli obiettivi con il sotterfugio.
Su “Gerarchia”, Berto Ricci rilanciò i temi antiborghesi, su impulso di Benito Mussolini. Gli articoli di Pavese, Sulis, Dionisi si scagliavano contro la speculazione internazionale e l’idolatria del mercato, bocciando sul nascere le idee del potere economico che comandi sulla politica, in favore della giustizia sociale.
Il lavoro diviene, così, soggetto dell’economia, non un costo da eliminare. Nel 1939 nascono la Campagna sindacale, la Camera delle Corporazioni e la Carta della Scuola. In queste istituzioni, la parola d’ordine era fare del lavoro il “soggetto dell’economia”, che fanno nascere nuove forme di Stato sociale, di rappresentanza e partecipazione, in una cornice etica, compatibile col principio di sussidiarietà, raccomandato dalla Rerum Novarum di Papa Leone XIII e dalla Quadragesimo Anno di Papa Pio XI.
Pier Paolo Pasolini contro la borghesia
Anche l’icona di certa sinistra, Pier Paolo Pasolini, non poteva sopportare gli atteggiamenti tipici della borghesia, quali lo snobismo, l’invidia, il classismo, la mancanza di cultura e di buon senso, l’idealizzazione del profitto e l’egoismo cronico nella paura di prendere posizioni o, peggio ancora, nell’adeguarsi alle posizioni più comode al proprio interesse. Nel 1964 li rimproverava dicendo a questi oziosi, piagnoni, pigri, solitamente gretti, o vigliacchi accidiosi e dall’incommensurabile doppiezza: “covate tranquillamente lo scandalo ben protetto in fondo al petto, coperto dal doppiopetto”. E su Tempo n. 7 del 15/02/1969 bacchettava prevalentemente i borghesi che, fingendo di protestare contro il prezzo del biglietto per andare al Festival di Sanremo, in realtà avrebbero voluto assistervi tutti. Già allora, Pasolini definiva gli artisti dell’Ariston: “povere creature che cantano quelle povere idiozie (…) e aggiungeva: “i centomila disgraziati che si tappano le orecchie e si coprono gli occhi davanti a questa matta bestialità, sono abitanti di un ghetto, che si guardano allibiti tra loro, senza speranza”.
Fedor Dostoevskij
Al capitolo VII di “Note invernali su impressioni estive”, il grande filosofo e scrittore russo si chiedeva “perché mai tra i borghesi ci son tanti lacchè e, per di più con l’aspetto così nobile? (…) Il servilismo si radica sempre più nella natura del borghese e sempre di più lo si ritiene una virtù. Dostoevskij scriveva anche dello “spionaggio per vocazione”, pettegolo e talvolta volgare o sottile, “che giunge ad essere un’arte, e che possiede i suoi metodi scientifici, deriva dall’ innato servilismo”.
Leo Longanesi liquidava questa categoria con queste parole: “Per il borghese lo Stato non esiste: esistono solo le tasse da pagare”. Mentre Gustave Flaubert sosteneva: “Chiamo borghese tutto ciò che pensa bassamente”.
Mentre il pensatore cattolico Nicolás Gómez Dávila ne “In margine a un testo implicito” (1977/92) dichiarava: “Alta e piccola borghesia sono strati sociali che si differenziano per una forza vitale più o meno grande. L’alta borghesia è il gruppo di individui capaci di conquistare individualmente, con le loro sole forze, il potere sociale. Alla piccola borghesia appartengono invece coloro i quali, essendo incapaci di un simile sforzo, cercano di conquistare collettivamente il potere sociale conquistando lo Stato. L’ideologia dei primi è il liberalismo, quella dei secondi il socialismo”.
E continuava: “Borghesia è qualunque insieme di individui scontenti di ciò che hanno e soddisfatti di ciò che sono”. “Il proletariato detesta nella borghesia soltanto la difficoltà economica di imitarla”. E con la sua consueta sagacia concludeva: “la borghesia, nonostante tutto, è stata l’unica classe sociale capace di giudicare se stessa. Tutti i critici della borghesia si nutrono di critiche borghesi. Oggi nelle lettere si fa carriera rinnegando la letteratura, come rinnegando la borghesia si fa carriera tra i borghesi”.
La Tradizione
Antiborghese per definizione, si caratterizza per essere concreta e pratica continuazione della consuetudine che dona ordine, la tranquillità dell’Ordine, ossia la vera pace, come direbbe Sant’Agostino d’Ippona. Sempre Nicolás Gómez Dávila: “Il luogo comune tradizionale scandalizza l’uomo moderno. Il libro più sovversivo nel nostro tempo sarebbe una raccolta di vecchi proverbi”. Bertrand Russell era ancor più diretto: “In etica come in altri campi del pensiero umano ci sono due tipi di opinioni: da una parte quelle rette sulla tradizione, dall’altra quelle che hanno qualche probabilità di essere giuste”. Ezra Pound: “La tradizione è una bellezza da conservare, non un mazzo di catene per legarci”. Jean Jaurès: “La tradizione non consiste nel conservare le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma”.
Il Concilio di Trento, definendo la verità e le regole della fede Cattolica, afferma che sono contenute «nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte che, raccolte dagli Apostoli dalla bocca dello stesso Cristo o dai medesimi Apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, trasmesse quasi di mano in mano, sono giunte fino a noi» (Denz-H, n. 1501). Il Papa ha il compito di tramandare la Tradizione, confermando nella Fede di sempre.
E’ difficile essere tradizionalisti in un mondo che impone modelli opposti. Di una cosa siamo certi: il vero cattolico non può essere borghese, e se lo è, è un cattivo cattolico.