Bastonata dei vescovi a Zaia, Fedriga & company: va garantito il diritto alla cura, non il suicidio assistito

Bastonata dei vescovi a Zaia, Fedriga & company: va garantito il diritto alla cura, non il suicidio assistito

di Angelica La Rosa

MASSIMO GANDOLFINI (FAMILY DAY): SIAMO GRATI A VESCOVI DEL TRIVENETO PER LA LORO PRESA DI POSIZIONE

“Il suicidio assistito è una scorciatoia che giustifica disinvestimento nella cura e nell’assistenza della persona malata. Con queste parole i vescovi del Triveneto hanno lanciato un duro monito verso la deriva eutanasica che hanno intrapreso alcuni servizi sanitari regionali del Nord-Est. Come Family Day non possiamo che essere grati a questi Pastori che guardano all’ecologia integrale della persona e si oppongono alla società dello scarto che abbandona anziani, disabili e malati”, così il leader del Family Day commenta la nota diffusa ieri dai Vescovi e la Commissione regionale per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale del Triveneto.

“I Vescovi mettono al centro del loro contributo la questione antropologica, la dignità della vita umana e denunciano anche i risvolti pratici di queste fughe in avanti delle istituzioni locali che, sostituendosi al legislatore nazionale, creano un caos normativo che favorisce ‘una sorta di esodo verso le Regioni più libertarie’. Da medico posso sottoscrivere le parole dei presuli del Triveneto e posso dire che non esiste alcuna richiesta di morte da parte di malati a cui sono garantire le cure e la prossimità dei parenti e del personale sanitario. Ogni sforzo deve andare nella direzione del sostegno alle famiglie e alle strutture che concorrono nell’assistenza, soprattutto quella domiciliare. Quindi, i governatori di Veneto e Friuli Venezia Giulia e i presidenti delle provincie autonome di Bolzano e Trento pensino a garantire il diritto alla cura piuttosto di allargare le maglie giuridiche per ottenere la morte”, conclude Gandolfini.

A SEGUERE IL TESTO INTEGRALE DEI VESCOVI DEL TRIVENETO

 

Suicidio assistito o malati assistiti? 

La cronaca quotidiana parla spesso di morte: dall’Ucraina alla Terra Santa e ai tanti conflitti oggi presenti nel mondo, dai femminicidi ai morti sul lavoro, da quanti annegano tragicamente nel Mediterraneo alle vittime della pena di morte ancora vigente in molte nazioni. Questioni sulle quali – anche sorretti dal magistero di Papa Francesco  – siamo tutti chiamati a prenderci impegnative responsabilità.  

C’è un’altra questione che ci interpella: ed è quella dei malati gravi. Di frequente vengono portati a conoscenza dell’opinione pubblica i casi di quanti – in diverse parti del mondo – muoiono per effetto di pratiche eutanasiche legalizzate in un numero sempre  più crescente di ordinamenti. Ultimamente si sta imponendo con forza il tema del suicidio assistito, oggetto di riflessione della bioetica, della filosofia e della teologia morale, delle scienze mediche; in ambito culturale e politico è spesso  sbandierato come un’acquisizione di diritto e ideologicamente salutato come una  conquista di libertà.  

Come Chiesa avvertiamo l’urgenza e il dovere morale di intervenire, in un  contesto di confronto e dialogo, per contribuire ad una riflessione che permetta a tutti e reciprocamente di approssimarsi ad una verità pienamente al servizio della persona. Intendiamo, perciò, rivolgere una parola da condividere con tutti e su  cui riflettere insieme.  

Sorgono molti interrogativi che toccano la vita di tutti, che riguardano la ricerca  di senso, e che interpellano la coscienza di ognuno facendo parte di un destino comune. Quale significato della vita? Come comprendere il mistero della vita? Perché il dolore e la sofferenza innocente? Come assistere i malati gravi e terminali? Come accompagnare i familiari e quanti seguono un loro caro alla conclusione della vita fisica? Quali diritti del malato terminale vanno riconosciuti e garantiti dall’ordinamento statale e dalle strutture sanitarie?   

Oggi i progressi della medicina hanno portato a situazioni nuove e del tutto  inedite. Ma, come la recente pandemia ha dimostrato, la persona non può esimersi dal confronto con il mistero del limite creaturale e della morte che ne rappresenta  l’esito estremo e non si può evitare di fare i conti con essa. Si pongono con forza  domande sul dolore fisico e sulla sofferenza che ne consegue.  

La “vulnerabilità” emerge come una cifra insita nell’essere umano e, in una  logica di ecologia integrale, in ogni essere vivente. La persona si legge come “essere del bisogno”: un bisogno che si concretizza nel pianto del neonato, nella fragilità dell’adolescente, nello smarrimento dell’adulto, nella solitudine dell’anziano, nella sofferenza del malato, nell’ultimo respiro di chi muore. Tale cifra attraversa ogni fase dell’esistenza umana.

È essenziale porre l’accento sul tema della dignità della persona malata e sul dovere inderogabile di cura che grava su ogni persona ed in particolare su chi opera nel settore socio-sanitario chiamando in causa l’etica, la scienza medica e la deontologia  professionale.  

Il suicidio assistito, come ogni forma di eutanasia, si rivela una scorciatoia: il malato è indotto a percepirsi come un peso a causa della sua malattia e la collettività finisce per giustificare il disinvestimento e il disimpegno nell’accompagnare il malato terminale.  

Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte. La deriva a cui ci si espone, in un contesto fortemente tecnologizzato, è dimenticarsi che lo sforzo terapeutico non può avere come unico  obiettivo il superamento della malattia quanto, piuttosto, il prendersi cura della persona malata. Il paziente inguaribile non è mai incurabile.  

Per il paziente inguaribile il rischio è duplice: o l’accanimento terapeutico, che  determina il superamento del criterio di ragionevolezza e proporzionalità nel processo  di cura, o l’abbandono terapeutico, nel momento in cui viene meno la possibilità di  ottenere la guarigione, senza ricordare che – se non è possibile guarire – si può sempre alleviare il dolore e la sofferenza attraverso le cure palliative. Nessuno può essere lasciato morire da solo!  

Il dramma della sofferenza (spirituale e psicologica), che sempre si accompagna  al dolore fisico di chi vive un prolungato periodo di malattia, a volte irreversibile e  sottoposto a invasivi trattamenti di sostegno vitale, interpella tutti. La risposta doverosa è sì il rispetto per il travaglio della coscienza di ognuno ma in particolare l’impegno a fare in modo che ogni persona si senta parte di un contesto di relazioni di qualità che permettano di superare lo sconforto e il senso di impotenza.  

Una società capace di cura evita lo scarto e costruisce cammini di speranza non solo per le persone assistite ma anche per chi se ne prende cura, non lasciando sole  le famiglie e rinsaldando il vincolo sociale di solidarietà di fronte a chi soffre. In tutto questo le comunità cristiane sono chiamate a fare la loro parte.  

La sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, intervenuta su un caso specifico, ha tracciato chiari limiti applicativi al suicidio medicalmente assistito fissando condizioni molto stringenti, ribadendo la centralità del valore della vita e della dignità della persona ed investendo il Parlamento – non i singoli Consigli regionali – a  pronunciarsi.  

Si rimane molto perplessi di fronte al tentativo in atto da parte di alcuni Consigli  regionali di sostituirsi al legislatore nazionale con il rischio di creare una babele  normativa e favorire una sorta di esodo verso le Regioni più libertarie. Destano anche preoccupazione i pronunciamenti di singoli magistrati che tentano di riempire spazi lasciati vuoti dal legislatore.

E’ compito delle Regioni favorire luoghi di confronto e deliberazione etica quali sono i Comitati etici richiamati dalla sentenza stessa della Corte, poco diffusi sul territorio nazionale e spesso fatti intervenire quando tutto è già stato deciso, vanificando la funzione del Comitato stesso o mettendolo di fronte alla ratifica quasi obbligata di  decisioni assunte da altri. E invece essi sono chiamati ad offrire la loro valutazione  avendo sempre a cuore la tutela e il bene delle persone.  

E’ compito delle Regioni promuovere politiche sanitarie che favoriscano la diffusione della conoscenza e l’uso delle cure palliative, la formazione adeguata del personale, la presenza e l’azione di hospice dove la persona malata in fase terminale trovi un accompagnamento pieno, nelle varie dimensioni del suo essere,  cosicché sia alleviato il dolore e lenita la sofferenza. Dispiace, invece, constatare come le cure palliative non siano adeguatamente  diffuse e accessibili a tutti, anche nella forma domiciliare, e come vi siano anche differenze tra Regioni che rendono difficile e perciò impraticabile una vera assistenza di qualità, condizione necessaria per una vera alleanza terapeutica in cui il paziente  possa sentirsi libero, anche di amare e lasciarsi amare, fino al sopraggiungere naturale della morte che, per il credente, è l’ingresso nella vita piena in Dio.  

Di fronte alla crisi dei luoghi di confronto e deliberazione etica le comunità, specialmente quelle cristiane, devono sentirsi stimolate a favorire uno spazio etico nel dibattito pubblico, rispondendo anche a quanto affermato dal Comitato Nazionale per  la Bioetica (cfr. Vulnerabilità e cura nel welfare di comunità. Il ruolo dello spazio etico per un dibattito pubblico, dicembre 2021), e a promuovere una coraggiosa cultura della vita (cfr. Laudato si’ n. 117: “tutto è connesso”). In tali spazi possono trovare eco le  domande di molte donne e molti uomini – credenti, non credenti e in ricerca – che abitano  come operatori gli ospedali, le case di cura, le RSA e gli hospice e a cui non basta più solo  una risposta tecnico-procedurale.  

I cristiani, infine, sono invitati a leggere anche queste esperienze alla luce della  fede che ha nel Mistero pasquale – di morte, di risurrezione e di vita piena nello Spirito  – il suo centro e culmine. Per il cristiano il mistero del dolore e della sofferenza di ogni  persona suscita nel cuore una compassione carica di preghiera e che porta a rimanere accanto a chi è sofferente con l’atteggiamento di Maria e Giovanni ai piedi della croce di Gesù. Al Dio e Signore della vita – che nel suo Figlio Crocifisso ben capisce il dolore e la  sofferenza umana fino a farla sua – noi affidiamo tutti, proprio tutti.  

 

Venezia, 18 ottobre 2023  

I Vescovi della Conferenza Episcopale Triveneto e la Commissione per la Pastorale della Salute del Triveneto

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E Bravi Vescovi ! La persona (uomo/ donna) non è solo merce. Le cure palliative costano.
L’ eutanasia fa risparmiare soldi.

Si per fornire macchinari per ammazzarsi si trovano i soldi per accorciare le liste d’ attesa e migliorare la sanità in Veneto non ci sono. Zaia avevo un ‘ opinione diversa di lei mi spiace dovermi ricredere. Dove pensiamo di andare?