L’Occidente vuole metter fine alla guerra. E gli ucraini?
di Pietro Licciardi
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UNA TRATTATIVA APPARE INEVITABILE, FORSE IL PROSSIMO ANNO; MA SU QUALI BASI? INTERVISTA A UGO POLETTI, ITALIANO A ODESSA
Continuiamo l’intervista con Ugo Poletti, italiano che vive a Odessa e direttore del The Odessa Journal, già ospite di Informazione Cattolica.
Qualche osservatore sta dicendo che gli scarsi progressi sul campo potrebbero far scricchiolare la leadership di Zelensky e far si che Kiev cominci a contemplare l’ ipotesi di trattare. E’ verosimile?
«Io credo che l’anno prossimo sarà decisivo in quanto è facilmente intuibile che gli americani non vogliono prolungare all’infinito la guerra facendola terminare prima dell’inizio della campagna elettorale. Credo quindi che già da qualche mese ci sia una forte pressione a sedersi ad un tavolo ma questo crea un grosso problema politico perché Zelensky dovrà ad un certo punto convincere il suo popolo. Segnali che la sua leadership stia scricchiolando non se ne vedono ma qui le cose cambiano rapidamente»
Adesso c’è anche l’incognita della crisi israelo-plestinese con Biden che deve spiegare agli americani che adesso gli Usa sono impegnati su due fronti. Questo che conseguenze potrebbe avere?
«Sicuramente per gli americani essere impegnati su tre fronti è un bel grattacapo. Ritengo, ma non lo dico solo io, che gli americani non si impegneranno direttamente nella brutta storia mediorientale e la loro presenza serve solo a tener buoni tutte le altre potenze regionali. Va ricordato però che gli americani non possono permettersi di abbandonare l’Ucraina, perché se l’invasione russa portasse a casa anche solo un piccolo successo, incoraggerebbe la Cina a fare ciò che gli Usa temono più di ogni altra cosa: l’attacco a Taiwan. I Cinesi non attaccheranno se vedono che gli americani sono determinati a non mollare. Per questi motivi è difficilissimo prevedere una conclusione che metta in linea diversi fattori».
Qualche grattacapo sta venendo anche dagli europei, dove forse il fronte pro Ucraina e antirusso si sta raffreddando. Questo è causa di apprensione nella politica e nella popolazione ucraina?
«Indubbiamente il punto critico per Kiev è l’appoggio occidentale, che è fondamentale; ma è fondamentale anche per l’Occidente non perdere questa partita. Abbiamo detto dei 10milioni di ucraini nei paesi europei; se la guerra continua o finisce male agli europei costerà molto di più mantenere queste persone che gli aiuti militari. Questa guerra non conviene a nessuno, però adesso chi si alza dal tavolo per primo perde tutto il piatto».
Ancora una volta: c’è chi dà per inevitabile una qualche trattativa. Le chiedo: quale accordo sarebbe possibile?
«Fare previsioni è molto difficile anche perché facciamo tutti parte del club che le previsioni le hanno sbagliate un anno fa. E’ anche difficile valutare qual è lo stato delle forze in campo, perché è vero che l’offensiva di terra non ha dato troppi risultati ma quella sul mare ne ha dati parecchi e ricordiamo che sorprese sono ancora possibili considerato il consumo delle forze russe. Detto questo continuo a pensare che l’anno decisivo sarà il prossimo e che dovremmo prepararci a dei compromessi dolorosi in cambio però di un grosso impegno finanziario per la ricostruzione dell’Ucraina. Non sarà facile dire agli ucraini quale braccio tagliarsi, ovvero a quali territori rinunciare, ma credo tutta la classe politica ucraina si renda conto che proseguire una guerra per altri anni sarebbe molto più costoso in termini di vite umane e sacrifici».
C’è anche il problema, cui accennò in una prima nostra intervista, che ormai sarebbe assai arduo per Kiev governare certi territori, come il Donbass, in cui sono rimasti solo filorussi…
«Si possono ipotizzare anche soluzioni diplomaticamente già testate in passato; ad esempio lasciare il territorio in amministrazione ad un paese terzo per poi fare un referendum a qualche anno di distanza dal conflitto. La grossa gatta da pelare sono invece quei territori che non sono la Crimea o il Donbass in cui la gente era contenta dell’amministrazione ucraina e lasciarli sarebbe equiparabile ad una amputazione».
Quando arriverà il momento della ricostruzione cosa accadrà in Ucraina? Zelensky ha già smascherato alcuni episodi di corruzione sulle forniture militari ma non pare ci sia stato un vero giro di vite in quello che è considerato uno dei paesi più corrotti d’Europa, al pari della Russia. Teniamo conto che se i soldi che arriveranno non saranno spesi bene sarà ancor più difficile convincere a tornare i 10 milioni di ucraini fuori dalle frontiere e imprimere al Paese quello sviluppo di cui ha estremo bisogno…
«Non c’è dubbio che questa è la grande sfida: lasciarsi alle spalle la corruzione, eredità dell’era sovietica. Io vedo però cambiamenti incoraggianti. Il primo è nella mentalità della gente, che prima accettava un certo grado di corruzione. La guerra ha strappato questo velo di consenso perché ci si è resi conto che in uno Stato la corruzione è una debolezza e una malattia. Spesso gli ucraini scherzano dicendo: “per fortuna i russi sono più corrotti di noi” perché i soldati russi, peggio equipaggiati, peggio nutriti e malvestiti si sono trovati molto male sul campo. Il venir meno del consenso sociale verso la corruzione è già una base importante per le riforme. Tra l’altro non ho mai visto tanti arresti per corruzione come in questo periodo e la stessa procura di Odessa sta indagando su “peccati” del passato di certi personaggi qui molto in vista. Del resto Zelensky e tutti i ministri sanno benissimo che i fondi internazionali vorranno un controlli molto attento. Ma anche l’avanzatissima digitalizzazione di questo Paese, che in Italia ci sogniamo, ridurrà di gran lunga la corruzione».
Qui l’intervista video integrale