Fedez, la depressione e il 4% del Pil
di Rita Lazzaro
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SONO SEMPRE DI PIÙ LE PERSONE CHE OGNI GIORNO CONVIVONO CON UN DISAGIO PSICHICO
“Le istituzioni pubbliche, nonostante alcuni passi avanti successivi alla pandemia, non investono ancora sufficienti risorse per la prevenzione e la riabilitazione nel campo della salute mentale”
Sono queste le parole riportate da Fedez nella Giornata mondiale della salute mentale, a pochi giorni dal suo rientro a casa dall’ospedale dopo otto giorni di ricovero.
Secondo la società italiana di psichiatria, da quanto emerso in una delle stories del rapper, la depressione vale il 4% del Pil tra spese dirette e indirette.
In Italia però “ci sono molte realtà che si occupano di salute mentale” e Fedez, a tal proposito, ricorda il lavoro di Fondazione Progetto Itaca, il cui presidente Felicia Giagnotti non ha fatto attendere la sua risposta:
“Siamo davvero felici e profondamente riconoscenti a Fedez che oggi, in occasione della Giornata mondiale per la salute mentale, ha deciso di condividere con la sua community il lavoro di Fondazione Progetto Itaca, da anni impegnata nel promuovere programmi di informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione rivolti a persone affette da disturbi della salute mentale e alle loro famiglie.
Secondo le ultime ricerche sono sempre di più le persone che ogni giorno convivono con un disagio psichico ma che a causa di timori e pregiudizi non fanno richiesta di un aiuto specialistico. Confidiamo che anche attraverso le parole di Fedez – conclude Giagnotti – chiunque si senta in difficoltà trovi la forza, il coraggio e migliori condizioni attorno a lui per rompere il muro delle paure e avviarsi così verso un percorso di guarigione.”
Ma perché tutta questa sensibilità ed interesse da parte del rapper per quanto concerne la salute mentale?
La risposta sta nel suo vissuto.
Infatti il 34enne conosce molto bene la parola depressione.
Un tunnel vissuto dopo la diagnosi e la successiva rimozione del tumore trovategli al pancreas nel 2021.
Fedez infatti racconta di essere “caduto in una profonda depressione” e di aver “sviluppato altri disturbi mentali”.
Un piaga sociale di cui il rapper parla proprio il 10 ottobre ossia in occasione della Giornata mondiale per la salute mentale, dichiarando che la forte depressione l’ha portato anche ad avere episodi di “attacchi ipomaniacali”, che starebbe curando attraverso una terapia che si chiama “stimolazione transcranica a corrente diretta”.
Il rapper si pronuncia anche sull’ uso di psicofarmaci: “C’e sempre stato, anche da parte mia, un certo stigma su chi usa gli psicofarmaci – ha spiegato Fedez – Poi la vita vuole che io mi ci sia ritrovato dentro, anche facendo un’esperienza terribile”.”Parliamo di tematiche complesse, per cui bisogna affidarsi alle persone giuste. Io personalmente quando ho iniziato a usare i farmaci e sentirne l’effetto positivo ho smesso di andare in terapia ed è stata una cosa sbagliatissima. E ho dovuto fare i conti anche con gli effetti collaterali abbastanza importanti”.
L’intervento di Fedez, un personaggio con un forte seguito, su un tema così complesso e delicato nello stesso tempo, è di vitale importanza. Proprio come lo è stato il suo invito a donare il sangue. Non per nulla il rapper, una volta dimesso dall’ospedale, ha dichiarato di essere vivo “grazie ai donatori”.
Da qui l’invito a donare il sangue. Una richiesta che ha portato i suoi frutti come testimoniato dal presidente dell’ Avis nazionale Gianpietro Briola ospite di Mary Cacciola ed Edoardo Buffoni, che ha parlato dell’ “effetto Fedez” sulle donazioni di sangue e della collaborazione del rapper per una serie di iniziative per sensibilizzare le persone a donare.
“Dopo l’appello di Fedez c’è stato un aumento di contatti, soprattutto da parte dei giovani. Il dato è molto importante e ricalca il fatto che delle donazioni di sangue non si parla a sufficienza, crediamo che i giovani possano essere sensibilizzati per esprimere al meglio la loro disponibilità e generosità”.
Un effetto Fedez che si spera si avrà anche per sensibilizzare nella salute mentale. Il perché lo si può amaramente constatare nei dati agghiaccianti riportati dal Bambino Gesù, riguardanti proprio i problemi concernenti la salute mentale che, a seguito della pandemia, hanno colpito soprattutto i giovani.
Il pronto soccorso del Bambino Gesù di Roma ha registrato dati sconcertanti: ben 387 tentativi di suicidio tra i giovani, con il 90% delle vittime costituito da ragazze, e un’età media di 15 anni.
Secondo il prof. Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale e ordinario all’Università Cattolica, “la depressione e i disturbi d’ansia tra i giovanissimi sono in aumento esponenziale da anni. Siamo di fronte a una vera e propria emergenza psichiatrica, come testimoniano i numeri altissimi registrati al Bambino Gesù negli ultimi anni, in particolare dopo l’esperienza traumatica della pandemia. I problemi di salute mentale per cui i ragazzi vengono portati in urgenza in un pronto soccorso pediatrico sono sempre di più legati all’autolesionismo messo in atto fin da bambini. È un dato che colpisce e che testimonia una sofferenza psicologica dei ragazzi che non va ignorata ma che non trova invece sufficiente ascolto e risposte adeguate“.
Parole che diventano macigni se si tiene conto che nel corso del 2022, sono state effettuate più di 1500 consulenze neuropsichiatriche al pronto soccorso del Bambino Gesù.
Dati da cui emerge che ogni giorno almeno 4 bambini e ragazzi hanno richiesto assistenza in emergenza per problematiche mentali. 544 ricoveri invece nel reparto protetto di Neuropsichiatria, un numero che rappresenta un aumento del 10% rispetto agli anni precedenti. Il 70% di questi ricoveri è frutto di ideazione suicidaria o tentato suicidio.
Uno scenario macabro che si può amaramente sintetizzare con quanto detto dal Prof. Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta, docente universitario e presidente dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo: “Ci troviamo di fronte a un fallimento collettivo”. Invitando ad essere vigili “perché la rabbia che questi giovani provano è la manifestazione nascosta della depressione. E loro non sono semplicemente arrabbiati; sono invisibili!”. Invisibili agli occhi della famiglia, della scuola, delle istituzioni. Non per nulla se la situazione degenera di anno in anno forse un mea culpa non guasterebbe tanto quanto non guasterebbe accogliere l’appello “a reagire” del prof. Lavenia “prima che questa ’emergenza silenziosa’ si trasformi in un epitaffio per una generazione”.