Se Giorgia Meloni vuole cambiare l’Italia deve riappropriarsi delle “casematte dello Stato”

Se Giorgia Meloni vuole cambiare l’Italia deve riappropriarsi delle “casematte dello Stato”

di Daniele Trabucco 

IL “PREMIERATO” DEL GOVERNO MELONI: BREVI NOTE CRITICHE

In attesa di svolgere delle riflessioni più puntuali e precise, analizzando il disegno di legge costituzionale che sarà approvato dal Consiglio dei Ministri (in caso di riforme della Costituzione, come insegnava Piero Calamandrei 1889/1956), i banchi dell’Esecutivo non dovrebbero essere vuoti?) inerente alla forma di Governo, tre brevi annotazioni sulla bozza visionata dal quotidiano Il Sole 24Ore e sulla quale ha lavorato il Ministro senza portafoglio per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati (Forza Italia):

1) si registra, rispetto al modello presidenziale propagandato e sbandierato durante la campagna elettore da parte di Fratelli d’Italia, l’attuale partito di maggioranza relativa, la scelta per il c.d. “premierato all’italiana” con l’elezione a suffragio universale e diretto, per un periodo di cinque anni, del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore senza, peró, potere di nomina e revoca dei Ministri e senza istituzionalizzazione dei Vice/Presidenti del Consiglio. Inoltre, se il Presidente incaricato dal Capo dello Stato non dovesse ottenere la fiducia dai due rami del Parlamento italiano, deve ripresentarsi una seconda volta con la conseguenza che, solo in questo secondo caso (e non nel primo) e in ipotesi di esito negativo, il Presidente della Repubblica scioglierà anticipatamente le Camere. Inoltre, nell’evenienza di cessazione della carica (qui si dovrebbero tipizzare i casi), il Parlamento puó proporre un sostituto purchè espressione della maggioranza parlamentare. Quindi, si inserisce in Costituzione un “premierato” dove, nel corso della legislatura, al Presidente del Consiglio eletto direttamente dal corpo elettorale, se ne puó sostituire un altro indicato dalla Camere. In questo modo, in ipotesi non infrequente di “cessazione dalla carica” connaturata al litigioso sistema politico/partitico italiano, la novità della modifica costituzionale viene prepotentemente ridimensionata e, comunque, rende il Presidente del Consiglio ricattabile dai partiti più piccoli della coalizione. Una sorta di “sfiducia costruttiva”, anche se diversa da quella prevista dalla “Grundgesetz” tedesca del 1949 che prevede la possibilitá del cambio di maggioranza, presente già nella riforma costituzionale del 2005, poi sonoramente bocciata dagli elettori;

2) non viene toccato il sistema parlamentare bicamerale, in particolare nessuna modifica incidente sul ruolo della c.d. “seconda Camera” nè in senso partecipativo (come portano avanti da anni la destra sociale e molte importanti ed autorevoli realtà associative legate a FDI), nè in termini di rappresentanza di Regioni ed enti locali territoriali anche alla luce del percorso di avvio del regionalismo differenziato ex art. 116, comma 3, della Costituzione vigente;

3) non viene toccato il Presidente della Repubblica (neppure un cenno all’introduzione del divieto di un secondo settennato) che, invece, costituisce l’organo costituzionale “più enigmatico” per dirla con le parole di Livio Paladin (1933/2000), insigne costituzionalista (anche se positivista) patavino. Abbiamo visto, soprattutto con i Presidenti Napolitano e Mattarella, come ha funzionato il carattere “a fisarmonica” del Capo dello Stato, intervenendo a volte direttamente, altre volte indirettamente, sulla determinazione dell’indirizzo politico. Proprio una riforma in senso presidenziale della forma di Governo, che venne discussa in Assemblea Costituente tra il 1946 ed il 1947, avrebbe consentito di superare certe ambiguità collegate al ruolo del Capo dello Stato specialmente con maggioranze non compatte e fragili non solo numericamente, ma anche in termini di forza ed autorevolezza del pensiero politico. Un consiglio, sebbene non richiesto, al Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, On. Giorgia Meloni, parafrasando il politologo Edmond Burke (1727/1797): pensare di cambiare un Paese con leggi e decreti (senza riappropriarsi delle “casematte dello Stato” mi si consenta di aggiungere) spesso non porta nella direzione voluta dal legislatore.

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