Diventare mamma ti cambia la vita… In meglio
di Pietro Licciardi
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AVVOCATESSA LASCIA LA PROFESSIONE PER DEDICARSI ALLA FAMIGLIA TROVANDO LA SUA REALIZZAZIONE E… UN NUOVO LAVORO
Caterina Sidoti è un’ avvocatessa romana, avvocatessa penalista per la precisione, adesso residente in Trentino, che ad un certo momento della sua vita ha fatto una scelta molto importante. Ha deciso di dare la precedenza al suo lavoro di mamma e così facendo ha rinunciato, senza troppi rimpianti, alla toga. Ma ha scoperto anche un’altra vocazione: quella della imprenditrice, trovando una bella e riuscita sintesi tra lavoro e famiglia.
Cominciamo dal principio. Intanto quanti figli ha?
«Ho quattro bambini, il più grande ha otto anni e il più piccolo cinque mesi».
Come e perché ha pensato di cambiare vita lasciano le aule di tribunale?
«A me piaceva fare l’avvocato; specialmente il panale era appassionante. Quando è nato il mio primo figlio non era più sostenibile lavorare in uno studio, così ne ho aperto uno mio ma anche così era difficile conciliare una professione così “totalizzante” col fare la mamma. Col secondo figlio, nel 2018 ho cominciato a pensare ad un’alternativa, che come accade spesso è arrivata un po’ inaspettata. Coi bambini avevo intanto cominciato a cucire qualcosa, usando la macchina da cucire di mia mamma, sotto la sua attenta supervisione, perché sul mercato non riuscivo a trovare quello che desideravo»
E poi cosa è successo?
«Quando altre mamme hanno visto le mie “creazioni” hanno chiesto di fare qualcosa anche per loro e col passaparola la richiesta è aumentata, fino a farmi decidere di fare diventare un hobby una professione. Così ho deciso di lasciare la carriera forense e ho aperto una partita Iva»
Qualche rimpianto per aver abbandonato la carriera di avvocato?
«Assolutamente no. Sono veramente grata di poter fare un lavoro che mi permette di veder crescere i miei figli e stare con loro. Questo è molto più appagante di qualsiasi carriera».
Le sue amiche, immagino tutte lavoratrici, e le ex colleghe cosa hanno detto di questa scelta?
«All’inizio che era una follia, perché c’è sempre il timore di lasciare una strada, i soldi… Però hanno anche invidiato il fatto che abbia deciso di farlo perché vedo che in tante mamme c’è l’esigenza di conciliare il lavoro con la maternità»
Le donne che lavorano alla fine quindi non sono poi tanto contente della loro situazione.
«Molte sono contente di lavorare, perché per tante di noi è un modo per realizzarsi. Il fatto è che siamo in una società che rende difficile trovare un equilibrio tra la realizzazione professionale e quella personale, coi figli. Con tante mamme è nato un bellissimo confronto sul tema dell’equilibrio tra un lavoro che vorrebbe assorbirti totalmente e il desiderio di veder crescere i figli»
Nella società attuale un equilibrio del genere è possibile?
«Una bella domanda. Io lo sto ancora cercando, anche perché quando sei il capo di te stesso non si finirebbe mai di lavorare. Per me per trovare un equilibrio bisogna sempre chiedersi: perché lo sto facendo? Vedo artigiane senza figli che vanno molto più velocemente di me ma per non farmi prendere dal panico del confronto torno sempre al motivo per cui ho fatto questa scelta: stare con i miei bambini. Tutto ruota attorno a questo e credo che in ogni lavoro occorre ridirselo tutte le volte che si è penalizzate perché mamme»
Veniamo alla sua attività. Ha detto che ha iniziato a cucire per i bambini…
«Si, si tratta di accessori per l’infanzia. Sul mercato non trovavo oggetti di alta qualità, da poter passare di figlio in figlio; cose pratiche e anche ben fatte. Così ho provato a farle per conto mio. Sono quindi nati i primi accessori. La mission de la Bottega di Cate infatti è studiare accessori che facilitano le mamme e i papà nelle loro azioni quotidiane coi figli, perché più certe azioni risultano facili, più si riesce a godere quei momenti. Un esempio pratico: Giacomotto è una clip-ciuccio con una tasca incorporata in modo che quando il bambino non usa il ciuccio questo rimane coperto e può gattonare in giro senza che la mamma si stressi a doverlo sterilizzare ogni dieci secondi. Mi sono immaginata una mamma che si gode il figlio che esplora ciò che ha intorno senza il pensiero dell’igiene. Tutti gli accessori che creo sono pensati per questo».
Un altro esempio?
«Una borsa porta-pannolini da poter usare con una mano sola, perché mi sono accorta che spesso quando ho il bambino da cambiare ho in braccio l’altro figlio. Quindi ho studiato una serie di cose, in modo da poter preparare il piano e avere tutto a portata di mano. Un pensiero in meno per la mamma che deve pensare a prendere tutto l’occorrente mentre magari deve convincere il suo bimbo a mettersi le scarpe».
Assieme alla bottega però c’è anche un sito che è uno spazio di condivisione di esperienze, vero?
«Su la Bottega di Cate in Instagram ho cominciato a raccontare il mio essere mamma, con tutte le difficoltà e le gioie e mi sono accorta che c’è l’esigenza di una narrazione diversa di quella che troviamo sui social, la quale da una parte è troppo edulcorata e irrealistica e dall’altra “spaventosa”, centrata su come i figli tolgono la possibilità di vivere. Un genitore medio si trova tra questi due fuochi ma a quanto pare ci sono tante donne che hanno bisogno di sentirsi raccontare la bellezza di fare famiglia, che non è ormai scontata, ma anche le vulnerabilità che una mamma affronta. Tanti confronti e tanti sfoghi sono nati da mie osservazioni e si è creata una community che non ha paura di raccontare che fare i genitori è difficile ma anche bello. Questa cosa non era prevista e non me l’aspettavo. Per me il confronto con le mamme della Bottega è una grande ricchezza»
Ma le mamme di questo gruppo sono tutte convinte o vi è anche qualche “convertita”?
«Una cosa che mi fa morire è che alcune scrivono: così non vale, mi fate venire voglia di farne un altro… Non voglio prendermi alcun merito ma vedo che una narrazione realistica aiuta anche a superare certe obiezioni nel fare figli. Questo spazio Instagram è diventato veramente una bottega 4.0; un luogo in cui, come avveniva nelle botteghe di una volta, si entrava, si incontravano le persone e nascevano confronti su temi della vita vera e su questo nascevano rapporti e si intrecciavano relazioni. Tutto questo è bello»
Allora secondo lei c’è ancora voglia di diventare mamma?
«Si, secondo me c’è tanta voglia. Quello che frena un po’ è la fatica. Essere mamma è faticoso e non è una cosa che si può mettere in pausa. Poi c’è la narrazione un po’ spaventosa che viene fatta della maternità. Inoltre il mondo del lavoro non aiuta; c’è sempre una dicotomia tra realizzazione professionale e personale»
Da qualche tempo c’è una corrente di pensiero secondo la quale anche i papà dovrebbero saper fare da mamma ai propri figli, assumendo un ruolo di “mammo”. Cosa ne pensa?
«Qualche papà superdotato ci sarà anche ma vedo che c’è proprio un limite fisico insuperabile. Una donna riesce a fare molte più cose e avere un carico mentale che dubito un uomo possa reggere. Credo che ogni famiglia debba trovare il proprio equilibrio; conosco papà che fanno molto più della mamma, ma in generale la mamma deve fare la mamma e il papà deve fare il papà. Veniamo da generazioni in cui il ruolo del papà era molto limitato e sicuramente c’è il desiderio di essere più partecipi alla vita dei figli ma il papà non deve sostituirsi alla mamma. Non ideologizzerei questo fatto del “mammo”».
Spostando il discorso sul sociale, cosa manca oggi per dare un vero aiuto alla maternità?
«Innanzitutto credo manchino strutture, abbordabili, di ausilio e supporto alla genitorialità, nel senso che i genitori sono lasciati a se stessi e riescono a barcamenarsi solo se ci sono i nonni. Io ho dovuto rinunciare a dei part time perché l’asilo nido mi sarebbe costato più di quello che avrei ricevuto in busta paga e non tutti hanno la possibilità come ho avuto io di poter avviare una impresa senza sapere quanto avrei guadagnato nei primi anni. Chi ha un posto fisso quello si deve tenere e i conti devono quadrare. Oltre ad interventi sociali per una narrazione positiva della famiglia mancano tutta una serie di infrastrutture che aiutino nella vita quotidiana. Io vedo la differenza qui nel Trentino, dopo esser passata da Roma, in cui esistono delle realtà gratuite dove è possibile andare, confrontarsi con altre mamme, lasciare due ore i figli a costi abbordabilissimi per andare dal parrucchiere… Può sembrare banale, ma esistono una serie di realtà nate dal privato che sostengono la famiglia e che altrove mancano».
Quello che ha detto è importante, perché credo ci siamo costruiti una società in cui quadrare il cerchio è quasi impossibile. Quasi sempre si pensa che la soluzione siano più asili nido o scuole a tempo pieno ma affidare l’educazione dei figli allo stato non mi pare una grande idea, specialmente ora in cui l’ideologia gender ha fatto breccia fin nei primi gradi dell’istruzione. Parlando del Trentino ha praticamente descritto ciò che in Dottrina sociale si chiama sussidiarietà, ovvero il cittadino, il genitore in questo caso, che interviene là dove c’è un bisogno e lo risolve.
«Secondo me già favorire, sostenere l’iniziativa privata e finanziarla sarebbe buona cosa perché il privato sa meglio dello Stato ciò di cui ha bisogno ed è molto più ricettivo rispetto alla domanda. Ad esempio lasciare la possibilità di creare realtà che rispondono ai bisogni di un determinato luogo forse non risolverebbe tutto ma sicuramente aiuterebbe con un bel po’ di problemi. Purtroppo però in Italia la burocrazia ci uccide e anche avviare una impresa è spaventoso».
Adesso facciamo arrabbiare le femministe, dicendo che forse ci vorrebbe una nuova edizione della famiglia patriarcale, in cui nella famiglia allargata la mamma poteva contare sull’aiuto di genitori, zie, cugine, sorelle…
«Senza il patriarcale, ma si. La dimensione che vivo in questa mia nuova realtà è proprio di una rete tra mamme che si aiutano e si sostengono. Mamme ma anche papà, perché ci sono mariti che magari lavorano meno delle mogli e non farei differenze su questo. Anche perché dove c’è un aiuto concreto è più facile creare spazi di condivisione di problemi e difficoltà».
E magari il fatto di avere luoghi in cui mamme ma anche papà offrono il loro tempo potrebbe aiutare quei bambini che magari hanno situazioni familiari in cui il padre per vari motivi è assente
«Certo. Quando si dice che per crescere un figlio ci vuole un villaggio si dice proprio questo. Oggi è quel villaggio, fatto di varie figure, che manca. La rete di cui parlavo è molto bella perché i bambini crescono con altri bambini, si vedono approcci educativi diversi ed è proprio un nutrimento per tutti».
Mi sa che abbiamo dato una bella idea per le politiche governative in materia di natalità. Chissà se vi sarà qualche deputato che vorrà trasformare questa chiacchierata in proposta di legge. Ma tornando, per concludere, alla sua attività come sta andando?
«Nel 2018 ho iniziato come hobbista e nel 2021 ho aperto la partita Iva ma nel frattempo ci siamo trasferiti in un’altra città e ho partorito due volte ed essendo la famiglia la mia priorità non ho dedicato alla crescita dell’attività il massimo dell’attenzione ma sta andando. E’ affascinante e appassionante ma anche dura, perchè sono il peggiore capo che si possa avere nel senso che non sono mai soddisfatta ed esigo tantissimo. Curo il sito, progetto, fotografo, studio…»
Quindi si sta creando delle competenze non da poco, così sfatiamo l’altro mito che una donna deve per forza cominciare a lavorare giovanissima, prima di avere figli. In questa società dopo i quarant’anni non ti assume più nessuno ma credo che una donna è propri a quell’età che ha molte più competenze e capacità…
«Esatto, tra le skill che si accumulano in maternità, che sono tantissime, e quelle che si accumulano con lo studio secondo me possiamo essere molto più performanti anche per la società».
quindi chi non puoi averli perchè lui è azospermico e a lei toglono tube