Il Patriarca dei maroniti sta girando l’Europa per facilitare l’elezione del capo di Stato in Libano
di Angelica La Rosa
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IL PATRIARCA HA INVITATO LA FRANCIA DI MACRON A NON SOSTENERE UN CANDIDATO VICINO A HEZBOLLAH
Il cardinale patriarca dei maroniti è in viaggio diplomatico per sbloccare l’elezione del capo di Stato libanese. L’opzione di Frangié, sostenuta da Hezbollah ma ritenuta troppo polarizzata, è stata scartata. Cresce invece il consenso attorno al nome di Jihad Azour.
Nei giorni scorsi, prima dello scoppio delle violenze nelle città francesi, il presidente Emmanuel Macron ha incontrato a Parigi il patriarca maronita, il cardinale Beshara Raï, confermando il suo sostegno agli “sforzi” fin qui compiuti dal porporato per rompere lo “stallo politico” in Libano, che non ha un presidente da sette mesi.
Macron ha invitato tutte le forze parlamentari a raggiungere un accordo “senza ulteriori indugi” ed ha ricordato la “necessità” che i cristiani libanesi “continuino ad essere centrali per gli equilibri confessionali e istituzionali” del Paese.
Fonti vicine alla delegazione che accompagna il capo della Chiesa maronita riferiscono che il porporato ha ribadito la necessità di un candidato presidenziale capace di “generare consensi”. E per questo ha chiesto anche a Parigi di rinunciare a sostenere la candidatura dell’ex ministro Sleiman Frangié, vicino a Hezbollah, e di sostenere quella di un candidato politicamente “neutrale”. Una figura capace di ispirare fiducia alla comunità internazionale e aiutare il Libano ad attuare le riforme necessarie per uscire dalla crisi economica. Allo stesso tempo, il primate maronita ha invitato la Francia a utilizzare i canali diplomatici e il credito con Teheran per ammorbidire la posizione di Hezbollah.
Uno dei candidati proposti dal patriarca maronita è Jihad Azour, direttore per il Medio Oriente e l’Asia centrale del Fondo monetario internazionale (Fmi), secondo il cardinale “capace di farsi carico dei problemi del Libano e di ispirare fiducia nel Paese e all’estero”.
Dal canto suo, la Francia assicura di non preferire nessun candidato, sebbene negli ultimi mesi ci sia stato un implicito sostegno – grazie al tacito accordo con Teheran – alla figura di Frangié, associata all’elezione di un primo ministro riformatore e vicina all’opposizione. Ma tutti la considerano una soluzione debole e incapace di garantire stabilità. In gioco, tra l’altro, ci sono i confini terrestri tra Siria e Libano e il loro controllo, la lotta al narcotraffico e la ricostruzione del porto distrutto dall’esplosione del 4 agosto 2020.
L’esplosione di Beirut si è verificata nell’area del porto della città libanese intorno alle ore 18:08 del 4 agosto 2020, uccidendo 218 persone e ferendone altre 7mila. Il governatore di Beirut Marwan Abboud aveva stimato che fino a 300mila persone erano rimaste senza casa a causa del disastro, ovvero circa i 2/3 della popolazione della città. L’esplosione principale è stata collegata alla detonazione di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio che erano state confiscate nel 2014 da parte del governo libanese dalla nave abbandonata M/N Rhosus e depositate nel porto senza misure di sicurezza fino al giorno del disastro. Nonostante la trasmissione inefficiente delle onde d’urto, l’esplosione è stata rilevata come un evento sismico di magnitudo 3,3 dalla United States Geological Survey. L’esplosione è stata stimata avere effetti equivalenti alla detonazione da poche centinaia fino a 1200 tonnellate di TNT.
Prima di incontrare il presidente Marcon per un’ora all’Eliseo, il cardinale Raï aveva fatto tappa in Vaticano per incontrare faccia a faccia il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin . “Il Vaticano e Parigi sono tradizionalmente garanti dell’indipendenza del Libano. Le manovre del patriarca maronita riflettono l’importanza della sfida che le elezioni presidenziali rappresentano per la nostra Chiesa. Hezbollah non si è ancora reso conto che l’accordo tra iraniani e sauditi, concluso sotto l’egida della Cina, ha fatto passare l’intera regione dalla politica dei fronti contrapposti e degli stati satelliti a quella della comprensione e della non ingerenza”, ha scritto AsiaNews riportando le affermazioni di una fonte vicina al Patriarca e quella di Salim Sayegh, vicepresidente del partito Kataëb.
Il partito di Dio non ha la maggioranza necessaria in Parlamento (85 voti su 128 al primo turno, 65 al secondo) per imporre il proprio candidato (Frangié). Lo stesso vale per i suoi avversari, che anche intorno al nome di Michel Moawad non riescono a raggiungere un ampio consenso. Che, di conseguenza, apre la strada a un “candidato che crei consenso”, come propone il patriarca maronita.