Solo il genio di Dante poteva consegnare all’umanità un Ulisse diverso da quello omerico
di Francesco Bellanti
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IL FOLLE VOLO DI ULISSE
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando
pur come quella cui vento affatica;
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi,
acciò che l’uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.
“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, CantoXXVI, vv. 85-142)
Solo il genio di Dante poteva consegnare all’umanità un Ulisse diverso da quello omerico, quello che non torna a casa dalla sua Penelope e dal figlio Telemaco, dal suo cane Argo e dal padre Laerte, un Ulisse che diventa pantofolaio – l’Odisseo di Dante è l’uomo che vuole esplorare il mondo, che sfida la religione, le convinzioni del tempo, e va a conoscere il mondo ‘sanza gente’. È un’immagine non omerica che Dante trova nei testi latini e che è espressione di una civiltà diversa da quella greca, chiusa nella polis, è la civiltà romana tesa a conquistare il mondo, a conoscere ciò che è sconosciuto. Eppure, sorge spontanea una domanda: l’Ulisse di Dante è veramente l’uomo moderno teso alla conoscenza della realtà?
Precisiamo subito una cosa: Ulisse è condannato da Dante fra i consiglieri fraudolenti nell’ottava bolgia del cerchio VIII dell’Inferno, dove brucia in una fiamma biforcuta con Diomede compagno di gesta eroiche, greco intrepido e intelligente, astuto, come lui, e non per il ‘folle volo’ che lo portò a morire dopo cinque mesi di navigazione verso l’emisfero australe, dopo aver visto la montagna del Purgatorio. Come per Paolo e Francesca, peccatori lussuriosi che il Sommo condanna ma per i quali prova ugualmente un sentimento di compassione, anche per ragioni autobiografiche, Dante è perplesso, turbato. Da un lato, condanna Ulisse, e non può essere diversamente, perché il grande itacese non può essere un modello di uomo cristiano – egli è destinato al fallimento perché per Dio il valore totale non è l’uomo, e da soli la forza, il coraggio, l’intelligenza, non bastano alla salvezza. Perché c’è sempre un aspetto dell’operato di Dio che l’uomo non può conoscere. In questo canto, è tutta l’umanità pagana che cede di fronte al mistero, è il cedimento di tutta la civiltà classica di fronte al Cristianesimo e alla Grazia.
Eppure, se Dante condanna sempre la cupidigia, la brama, il caos dell’anima, la dismisura, che non accettano la volontà di Dio, nello stesso tempo è attratto dall’uomo sicuro di sé, orgoglioso, forte, impavido, creatore della storia. Il folle volo di Ulisse al di là delle colonne d’Ercole, secondo il re di Itaca, lo si deve intendere come avventura mai tentata prima, e secondo la religione – non importa che quella di Ulisse fosse pagana – in un eccesso dell’intelligenza non assistita dalla Grazia di Dio. Questa follia è tuttavia una colpa umana e non religiosa, e, data la qualità morale e intellettuale dell’eroe omerico, Dante avrebbe potuto anche salvarlo, se non in Purgatorio perché non era cristiano, magari nel Limbo, tra i magnanimi. La follia non è perciò in un viaggio antireligioso, ma in un’avventura irragionevole. Il viaggio di Ulisse è l’opposto del viaggio di Dante, possiamo dire che il viaggio del primo è un viaggio orizzontale, quello del Fiorentino è un viaggio verticale, il primo è un viaggio verso la conoscenza, il secondo un viaggio verso la salvezza.
La lezione di Dante, dunque, è questa, in nome della conoscenza si possono affrontare pericoli e rischi, ma la ragione umana è sempre insufficiente e non deve sconvolgere l’ordine del mondo creato da Dio. È questo l’autentico messaggio dantesco, non distruggere questo mondo meraviglioso creato da Dio con la scoperta fine a sé stessa, perché si può realizzare pienamente la propria umanità non decadendo nel caos ma all’interno di un disegno che accomuna tutti gli uomini, e possono essere e sono sempre un mondo e una natura in cui l’istinto e il desiderio di accumulare esperienza e conoscenza non devono essere sconvolti da chi opera con perfida astuzia per il proprio arricchimento, per la propria gloria, per la propria ambizione, siano essi spirituali che materiali. Questa è l’eresia, questo è il peccato. La dismisura di chi procura il caos del mondo. La produzione incontrollata, lo sfruttamento esasperato e lo sconvolgimento della natura. Forse un errore di laboratorio, l’eccesso della tecnica. La tecnica che sfugge al controllo dell’uomo. Comunque la dismisura, la tragedia che viviamo ogni giorno.