Cambiare forma di governo è inutile se non si applica il diritto naturale

Cambiare forma di governo è inutile se non si applica il diritto naturale

di Daniele Trabucco

L'”ECUMENISMO COSTITUZIONALE” E L’ILLUSIONE DELLE RIFORME

Il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, On. Giorgia Meloni, sia durante la campagna elettorale, sia in occasione del discorso programmatico davanti ai due rami del Parlamento per chiedere la fiducia, ha sottolineato la volontà politica del suo Esecutivo di incidere sulla forma di Governo delineata nella Parte II della Costituzione italiana vigente.

In attesa di conoscere quale modello istituzionale sarà declinato nel disegno di legge costituzionale che verrà presentato al Parlamento (non sarebbe opportuno, però, come sosteneva Calamandrei che, laddove si incida sul Testo fondamentale, i banchi del Governo dovrebbero essere vuoti?), se presidenzialismo, semipresidenzialismo o premierato etc., non si può non rilevare, anche da parte della maggioranza parlamentare di centro-destra, il fatto che non si voglia incidere sul fondamento filosofico delle odierne Costituzioni “patteggiate”.

Non serve ad alcunché apportare riforme, che non rendono un sistema né migliore, né efficiente in quanto si tratta di caratteristiche non risiedenti nelle leggi ma negli uomini, se viene mantenuto quell’eccessivo “ecumenismo” con cui vi furono ricompresi ed amalgamati (o forse solo giustapposti) principi appartenenti a tradizioni di pensiero differenti e contrastanti, “liberale, socialcomunista, democristiana”, attraverso l’uso di costrutti verbali di tenore “quanto mai generico, elastico, polisenso” che rendono il Testo costituzionale del 1948 un mero documento da realizzare evolutivamente (Pietro Giuseppe Grasso).

Stante questa premessa, non si può non cadere in quello “scetticismo”, per dirla con un’espressione del prof. Giuseppe Ferrari (1912-1999), per cui nessuna “Costituzione riformata” sarà in grado di garantire la “giustizia” (ius-titia), quel dare a ciascuno il suo conformemente alla sua essenza, poiché caratterizzata dalla commistione tra il formalismo giuridico kelseniano e lo schmitissimo sociale.

In questa prospettiva, che nega l’esistenza di qualunque Costituzione “naturale”, le eventuali riforme costituzionali, incluse quelle portate avanti dalla attuale maggioranza parlamentare, saranno sempre funzionali ad assicurare quella identità “valoriale”, costantemente modulabile a seconda delle diverse aggregazioni del pluralismo.

In altri termini, senza un pensiero in grado di dimostrare le contraddizioni della filosofia moderna, secondo la quale la società e la sua Costituzione nascono su basi razionali e contrattualistiche (per cui il giusto si identifica con ciò che è valido ed approvato dai più), ogni tentativo di riforma si rivelerà inutile. Ovviamente per l’Esecutivo in carica l’importante è… non deludere gli italiani…

 

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