La necessità di recuperare l’etica nell’arte medica
di Domenico Conversa
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GIÀ PRIMA DELLA GESTIONE SANITARIA DELLA PSEUDO-PANDEMIA ANNUNCIATA NEL 2020 LA MEDICINA PERCORREVA UNA SUA CRISI PARADIGMATICA PROFONDA…
Ippocrate predicò il rifiuto dell’esercizio della medicina come pratica magica, mettendo per sempre al centro dell’attività del medico la ragione e l’esperienza per comprendere la malattia. Il medico della scuola ippocratica doveva essere un uomo equilibrato e saggio, che praticava la virtù e rifuggiva dagli eccessi. L’assenza di interessi personali nella cura dei malati gli forniva la lucidità e l’acume che gli permettevano di avvicinarsi nel modo più efficace possibile alla verità sulla causa e la terapia della malattia che doveva affrontare. Gli Ippocratici fecero affidamento sulla forza guaritrice della natura, la physis vitale di ogni singolo essere umano, capace di conservare il più a lungo possibile l’integrità corporea. La medicina di Ippocrate nasceva pertanto dal ragionamento logico che analizzava l’esperienza, l’utilizzava e la trasmetteva attraverso l’insegnamento, unita ad una serena fiducia nelle possibilità terapeutiche dell’equilibrio biologico naturale. Ma cosa è accaduto oggi?
Già prima della gestione sanitaria della pseudo-pandemia annunciata nel 2020, la medicina percorreva una sua crisi paradigmatica profonda. L’iperspecializzazione della formazione medica costruita nel tempo ha dato vita ad una esasperata concezione dell’essere umano come corpo-macchina, un insieme di organi da aggiustare. Ogni medico ha il suo organo di competenza perdendo di vista l’essere umano nel suo insieme e la cura della salute complessiva viene sostituita dall’aggiustare solo un pezzetto del corpo umano. Poi la medicina difensiva, una burocrazia assillante, i conflitti di interesse, la corruzione. La pseudo-pandemia ha poi rivelato una medicina preda dell’emotività e slegata dalla logica. Una medicina chiusa nei protocolli, le linee guida che hanno sostituito la coscienza, un medico privo di autonomia di pensiero. I dati pubblici sanitari sono ancora lì a dimostrare il contrario di quello che la sanità pubblica raccontava. Un medico che ha rifiutato di curare i propri pazienti, un medico che ha seguito dei protocolli di cura errati.
A tutto questo mi permetto di proporre qualche riflessione.
L’evoluzione della medicina non si è accompagnata ad una riflessione parallela di tipo etico adeguata. Mentre la tecnologia correva in avanti, l’elaborazione etica e filosofica dell’arte medica è regredita. Non si è assolutamente investito nella formazione etica e filosofica dei medici e degli operatori sanitari. La loro preparazione è divenuta sempre più di tipo tecnico e professionale, mentre sono state eliminate materie ed argomenti che li invogliassero a riflettere sul senso della loro professione, sulla condizione umana e sulle modalità di aiuto alle persone meno fortunate. Paradossalmente si sono moltiplicate le occasioni e le opportunità di formazione manageriale nella sanità, dimenticandosi che la gestione della complessità e del lavoro in questo campo richiede prima di tutto una competenza etica profonda.
Vorrei proporre a questo punto la figura del dott. Albert Schweitzer (1875-1965). Schweitzer si era formato come teologo di religione protestante presso l’Università di Strasburgo ed era inoltre un abile musicista, raffinato interprete dell’opera di J.S. Bach per organo. Un uomo che avrebbe potuto vivere tranquillamente, circondato dal benessere e dalla stima dei suoi contemporanei e che decise invece, intorno ai trent’anni di età, di rimettersi in gioco in senso radicale. Nel 1911 si laureò in medicina ed acquisì la specialità in malattie tropicali, per poi partire alla volta dell’Africa equatoriale francese, come a quel tempo veniva chiamata. Una terra infestata dalla malaria, da serpenti e insetti velenosi e da ogni possibile malattia tropicale. Raccontò di sé e delle ragioni di questa scelta:
Il progetto che stavo per mettere in atto lo portavo in me già da lungo tempo. La sua origine rimontava ai miei anni di studentato. Mi riusciva incomprensibile che io potessi vivere una vita fortunata, mentre vedevo intorno a me così tanti uomini afflitti da ansie e dolori […] Mi aggrediva il pensiero che questa fortuna non fosse una cosa ovvia, ma che dovessi dare qualcosa in cambio (A. Schweitzer, La mia vita e il mio pensiero, Edizioni di Comunità. Milano, 1965).
Attribuzione: Bundesarchiv, Bild 183-D0116-0041-019 / Sconosciuto / CC-BY-SA 3.0
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In questo modo prese vita una straordinaria avventura umana e l’ospedale di Lambarènè, cui Schweitzer avrebbe dedicato tutto il resto della propria esistenza. Una vita lunga, circondata dalla stima e dagli onori del mondo, circostanze queste cui era tuttavia estremamente refrattario.
Nel 1952 ricevette il Premio Nobel per la Pace, con i proventi del quale fece costruire un intero villaggio per ospitare i malati di lebbra. In questa vicenda, così estesa nel tempo e piena di valori, possiamo tuttavia scegliere un momento centrale e significativo che può guidare ogni medico nel proprio lavoro. In un giorno come tanti, nella foresta tropicale, Schweitzer ricevette una richiesta di aiuto e di intervento. Partì per un viaggio lungo e pericoloso, durante il quale ebbe una sorta di illuminazione:
La sera del terzo giorno, al tramonto, proprio mentre passavamo in mezzo a un branco di ippopotami, mi balzò d’improvviso in mente, senza che me lo aspettassi, l’espressione “reverenza per la vita”. Avevo rintracciato l’idea in cui erano contenute insieme l’affermazione della vita e l’etica (A. Schweitzer, Civiltà ed etica, Edizioni di Comunità. Milano, 1963).
Non occorre essere santi o perfetti nella ricerca etica, è sufficiente rispettare la vita di tutti gli esseri viventi e trarre da questa scelta una consolazione morale. La riflessione sui valori portanti dell’etica ha un senso solo se spinge ad interrogarsi su sé stessi. Una modesta, ma insostituibile verità da cui partire per una medicina più umana. Un’arte medica che dovrà apprendere nuovamente a riflettere su sé stessa, altrimenti non sarà più tale. Potrebbe diventare qualcosa di diverso, è già qualcosa di diverso.