Il futuro della Chiesa è nella Messa in latino
di Pietro Licciardi
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PRETI E VESCOVI FANNO DI TUTTO PER BOICOTTARE LA MESSA VETUS ORDO MA I GIOVANI PREFERISCONO IL LATINO.
Ancora una volta torniamo sull’argomento “Messa in latino” perché siamo convinti che il futuro del cattolicesimo dipende dal ritorno ad una liturgia capace di manifestare tutta la sublime profondità della fede, cosa che oggettivamente non si può dire dell’attuale Messa celebrata secondo il novus ordo.
Tutte le ideologie, senza eccezione, hanno in comune una caratteristica: ignorare i fatti, specialmente quando questi contraddicono il costrutto teorico su cui esse di fondano. Ebbene, i fatti ci dicono che da quando è stato cambiato il modo di celebrare la Santa Messa la frequenza domenicale è ovunque precipitata, soprattutto nei Paesi di più antica cristianizzazione, così come la partecipazione ai sacramenti e sono pure precipitate le ordinazioni al sacerdozio. Servire la Messa “tradizionale” per molti era la scintilla che accendeva la vocazione.
Una recente ricerca dello statunitense Pew Research Center rileva inoltre che la maggior parte dei cattolici americani – ma sicuramente lo stesso vale anche per noi – non crede più nella transustanziazione, insegnamento fondamentale della Chiesa. Quasi sette cattolici su dieci (69%) affermano di credere personalmente che durante la Messa cattolica, il pane e il vino usati nella comunione “sono simboli del corpo e del sangue di Gesù Cristo”. Solo un terzo (31%) afferma di credere che durante la Messa cattolica, il pane e il vino diventano effettivamente il corpo e il sangue di Gesù. In questo sicuramente influisce il modo col quale da oltre quarant’anni anche in Italia si fa la comunione: in piedi, ricevendola sulla mano come i fanno i luterani e le altre congregazioni “riformate” che non credono nell’Eucarestia, cosa che non avviene nel rito in latino, in cui il la comunione è centrale e si svolge secondo un rituale che rende evidente con tutta evidenza la sacralità del gesto.
Non parliamo poi del fatto che dove si celebra in latino le chiese sono sempre piene. Perché le messe sono poche, si dirà. Forse, però una buona parte dei fedeli è molto più giovane di quelli che frequentano le parrocchie in cui si celebra in volgare. Quindi non si tratta di “nostalgici” o tradizionalisti bloccati nel passato” Semmai ad essere fuori dal mondo sono i preti più anziani, entusiasti della forma straordinaria, fermi ai tempi della cultura pop degli anni ’60 e ’70, all’ecumenismo hippy e del “se ti fa sentire bene, fallo”. Emblematico di ciò lo spontaneismo e il protagonismo di certe celebrazioni, quasi il sacerdote – rivolto verso il suo pubblico – si sentisse lui la prima donna e l’animatore dello “spettacolo”, interrompendo continuamente il rito con considerazioni e preghiere personali, chiamando l’applauso, partecipando a estemporanei balletti.
Sono semmai proprio questi preti, diventati nel frattempo vescovi, a manifestare una incapacità di lettura dei tempi e dei fatti, fermi come sono nel passato, ostinati a non volersi fare qualche semplice domanda sul palese fallimento delle loro teorie “pastorali” che anziché avvicinare l’uomo moderno alla Chiesa lo hanno fatto fuggire a gambe levate. Da qui la loro, osiamo dire, ideologica perseveranza nel voler combattere quella che spregiativamente definiscono la tradizione e la Messa in latino, nonostante la fioritura avvenuta dopo la pubblicazione della Lettera Apostolica Summorum Pontificum, di Benedetto XVI che consentiva ai sacerdoti e ai fedeli una maggiore libertà di celebrare la Messa nella sua forma pre-Vaticano II.
La Messa novus ordo, anche là dove si celebra con un minimo di austerità, ha perso gran parte della maestosa profondità e solennità che ha la Messa in latino ed è diventando troppo simile ai riti delle congregazioni riformate. Una grande cattolica, Flannery O’Conner, diceva che se alla fine tutte le religioni o credenze sono uguali, allora “al diavolo”. Perché una Chiesa aperta a tutto, disposta a scendere a compromessi su tutto, alla fine non rappresenta nulla.
Perseveriamo quindi nella tradizione, anche liturgica, perché, diceva chiaramente san Josemaría Escrivá: «La santa intransigenza non è fanatismo». E siccome la vera carità può esserci solo con la verità possiamo ben dire che il futuro della Chiesa cattolica risiede nell'”intransigenza” di coloro che insistono nel riunirsi per partecipare alla Messa tradizionale in latino.