Come poteva fare crociate contro l’Oriente chi visse fra genti e popoli di tutte le razze e religioni?

Come poteva fare crociate contro l’Oriente chi visse fra genti e popoli di tutte le razze e religioni?

di Francesco Bellanti

NESSUN SICILIANO AMÒ LA SICILIA COME FECE IL PIÙ GRANDE IMPERATORE NORMANNO-SVEVO, FEDERICO II

“Perciò eleggiamo la Sicilia a nostra diletta fra le terre e la scegliemmo a residenza della nostra dimora, perché noi, cui irradia lo splendore del titolo di Cesare, non ci teniamo meno gloriosi di chiamarci uomo d’Apulia; e ci sentiamo, per dir così, pellegrini fuori della nostra casa, quando, chiamati ovunque nel mare tempestoso dell’Impero, veleggiamo lontano dalle corti e dai porti di Sicilia… Sempre trovammo unanimi i nostri coi vostri desideri, unanime sempre il vostro col nostro volere”.

Questo disse Federico II della Sicilia. La Sicilia era stata sempre la terra agognata dagli imperatori tedeschi, il paradiso sognato da tutti i Germani. Ciò che non era stato ottenuto con le guerre, un imperatore tedesco, Enrico VI, padre di Federico, lo aveva ottenuto con un matrimonio, quello con la normanna Costanza d’Altavilla.

La terra che per Goethe era “la chiave di tutto” era, con le Puglie, la terra promessa di Federico II, che, quando ebbe visto la Sicilia di là dal mare disse, con la sua inclinazione al motto blasfemo, che Jehova certo non aveva conosciuto la Sicilia, la Puglia e la Terra Laboris, sennò non avrebbe avuto parole così alte di elogio per la terra promessa degli ebrei”.

Forse nessun siciliano amò la Sicilia come la amò il grande imperatore normanno-svevo. La Sicilia, che doveva intendersi per lui, politicamente, tutta l’Italia meridionale, comprese la Puglia, la Calabria e la Basilicata, era la terra promessa, i siciliani erano il suo popolo eletto, col quale si sentiva tutt’uno. Federico amava i siciliani come un padre ama i suoi figli, lo splendore della civiltà di Sicilia irradiava luce vivissima sul tempo e sulla storia.

Come il Dio di Israele si era scelto un popolo nella moltitudine dei popoli così lui, l’Imperatore del Sacro Romano Impero, il Re dei re, aveva scelto come suo popolo eletto il popolo di Sicilia. Come Napoleone diceva di avere solo un’amante, la Francia, come Hitler diceva che era sposato con la Germania, così Federico II diceva di avere solo una passione, quella che lui chiamava “la pupilla dei miei occhi”, la Sicilia, “la terra che supera ogni dolcezza terrena”, “porto nel mare tempestoso, giardino di delizie nella foresta selvaggia”, che egli cercava sempre “colmo di nostalgia”.

La Sicilia. Un amore sconfinato. Soprattutto perché vi visse un’infanzia felice. Nonostante le lotte accanite fra i suoi reggenti, nonostante alcuni anni di stenti, egli visse un’infanzia meravigliosa in Sicilia. Lo nutrirono le famiglie palermitane, a turno, secondo le loro possibilità. La Sicilia lo amava. A nove anni vagava solitario per i vicoli del mercato e i giardini di Palermo, sotto il monte Pellegrino, fra genti e popoli di tutte le razze e religioni, fra califfi e sultani, fra imam mussulmani e preti cristiani, e maestri ebrei, fra moschee e sinagoghe e cattedrali normanne, tra mosaici d’oro bizantini e colonne greche, e il nome di Allah inciso in ogni angolo della capitale.

Come poteva fare crociate contro l’Oriente? Fra parchi popolati di animali esotici e castelli normanni, all’ombra degli ulivi o rinfrescato da fontane zampillanti che incantavano i poeti arabi, nelle piazze e nei mercati affollati dalla più varia e bella umanità, in mezzo a una babele di lingue che imparai ben presto, visse un’infanzia meravigliosa e coltivò un sogno diverso da quello di tutti gli altri figli di re: il sogno dello Stato universale. Un’educazione di strada ma meravigliosa.

Federico non fu educato da preti dotti o nel silenzio di un convento, ma dal popolo. Arabi furono i suoi primi precettori, araba fu la sua prima lingua che egli sentì e parlò arabe le prime favole che ascoltò, arabo il mondo fantastico in cui visse nella sua prima infanzia, fiabe in cui parlavano cose e animali. Per il resto, egli fu il prodotto non di un maestro o di una scuola, ma della vita che lo costrinse a vivere nella strada. Suoi maestri furono le vie, le piazze, i mercati, le chiese e le moschee di Palermo, la cultura e la conoscenza del mondo. Oh, i giardini palermitani! Che mondo fantastico, cosmopolita, eclettico, fascinoso! Nel quale incontrava intellettuali e medici arabi, filosofi, astronomi, astrologi, scienziati. Lo affascinava non la religione ma il pensiero dell’Islam. Nel suo vagabondare trovò il senso della vita.

Nel suo vagabondare fortificò anche il suo corpo. Si esercitò in tutte le attività diventando esperto e abile nell’uso delle armi, nell’esercizio dell’arco e dell’equitazione, nella scherma, nel maneggio, nell’amore per i cavalli e nella passione per la caccia. Appena dodicenne, faceva tutto questo sotto la memoria della storia di Roma e col sogno di un mondo nuovo. Sì, il più grande dei siciliani, l’unico siciliano che ebbe un sogno voleva creare l’uomo nuovo, e la Sicilia era il luogo perfetto per questo progetto, luogo d’incontro di mille culture e di mille civiltà, di grandi popoli. La Sicilia era il luogo adatto per creare l’uomo nuovo. Che sogno! Un grande impero internazionale, una nuova società, l’uomo nuovo. La Sicilia perse la sua grande occasione: dopo di me, il vuoto. La Spagna, l’arretratezza, l’inquisizione. Da qui doveva partire la fondazione dell’uomo nuovo. L’uomo nuovo: prodotto di razze e di culture, altro che razzismo! Non c’è solo il razzismo, non c’è solo Hitler, tra i Tedeschi.

In quel tempo, forse solo Dante comprese la sua grandezza. Tutta la Divina Commedia è percorsa dalla storia del grande imperatore normanno-svevo, Federico II, Pier della Vigna, Manfredi, Costanza d’Altavilla, la Divina Commedia è un’apoteosi della dinastia sveva. Dante mette Manfredi, il grande figlio naturale di Federico II, nel Purgatorio, dunque in grazia di Dio, è il re “biondo, bello e di gentile aspetto”. E sua madre Costanza è “la gran Costanza”, l’”imperadrice”, e suo padre Enrico VI è il “secondo vento di Soave”, e lui è “l’ultima possanza”.

Quest’è la luce de la gran Costanza

che del secondo vento di Soave

generò ‘l terzo e l’ultima possanza.

Dante non poteva non mettere all’inferno lo Stupor Mundi, ma aveva esaltato il grande imperatore svevo anche nel Convivio e nel De vulgari eloquentia. Federico II è stato il più grande dei siciliani. Anzi, il più grande dei tedeschi. Anzi: il più grande degli europei. Perché Federico II ha creato uno Stato, ma soprattutto ha creato un popolo. Ha dato orgoglio e fierezza a una terra senza nome, unità di lingua, di fede, di storia, di diritto.

La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata su Informazione Cattolica domani

 

Foto: Pixabay

 

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