Con la croce e il fucile: i “padri combattenti” del Vietnam
di Pietro Licciardi
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IN VIETNAM PER PROTEGGERE I PARROCCHIANI DALLA FURIA COMUNISTA ALCUNI SACERDOTI IMPAVIDI HANNO GUIDATO E ARMATO LE MILIZIE DI VILLAGGIO: UNA STORIA SCONOSCIUTA
Qualche cattolico poco edotto di storia della chiesa e impregnato di laico pacifismo probabilmente si scandalizzerà ma sono stati parecchi i preti che hanno imbracciato le armi. Qualcuno lo ha fatto schierandosi dalla parte sbagliata, come i frati guerrilleros sudamericani che hanno combattuto più per Marx che per Dio, ma altri hanno scelto di combattere per proteggere il loro gregge dalla furia omicida dei nemici della religione. Come in Vietnam, durante la guerra che ha devastato quel paese dal 1955 al 1975.
Su questi sacerdoti ha scritto Alessandro Giorgi, noto divulgatore di storia militare e di problemi di equilibrio strategico, politica estera e sicurezza. Nell’ambito della storia militare i suoi campi di ricerca principali sono la Seconda guerra mondiale, il Vietnam, gli impegni militari dell’Italia nel secondo dopoguerra e le operazioni clandestine durante la Guerra Fredda. È membro della Società Italiana di Storia Militare e ha diversi libri e articoli al suo attivo tra cui, di prossima pubblicazione per la statunitense Schiffer Publishing Ltd: “Fighting Fathers” dedicato appunto ai padri combattenti in Vietnam.
Chi erano questi Padri combattenti del Vietnam?
Come mai fu proprio la Cia ad occuparsi di loro?
«Nei primi anni del conflitto era la Cia con i suoi consiglieri a gestire gli aiuti militari al Vietnam. I militari arrivarono solo dopo. Inoltre non potevano che essere i sacerdoti i loro interlocutori dei villaggi, in quanto erano quelli col più alto livello culturale e avevano un ascendente su parrocchiani. Soprattutto erano quelli che volevano e potevano prendersi cura di loro. Del resto chi ha in mente il film Mission ricorda che anche in quella situazione c’era un sacerdote che voleva aiutare gli indio solo come prete, ma poi vedendo la violenza con cui erano colpiti anche questi appoggiò Robert De Niro che si era messo a capo dei guerrieri del villaggio. Sono cose che a noi possono oggi sembrare strane ma che allora, in quel contesto, rientravano in ciò che era il Vietnam. Assieme alle milizie locali fu costituita anche la combat youth con cattolici di varie etnie, assieme alla catholic youth costituita con cattolico vietnamiti».
Padre Hoa in confessionale, © Howard Sochurek, Rivista “Life”
Quanti erano questi i preti combattenti?
«La Cia aveva organizzato una attività di sorveglianza e controffensiva militare presso i villaggi. alcuni dei quali di cattolici, per lo più nella parte centromeridionale del Vietnam. In totale i padri combattenti dovevano essere una mezza dozzina ma io sono riuscito a identificare tre. Uno di questi era padre Bosco, nel villaggio di Phuoc Thien., ed era il più noto della zona. Altri villaggi all’estremo sud erano invece coordinati da padre Augustin Nguyen Lac Hoa, un sacerdote cinese che era fuggito dalla Cina di Mao e che guidò le “rondini di mare”, ovvero militanti cattolici di etnia cinese. Il nome fu scelto dallo stesso sacerdote perché il piumaggio del volatile ricordava la talare nera con il colletto bianco; inoltre si cibano di insetti nocivi, come i vietcong».
Addestramento (©Jack Benefiel, collezione privata, per gentile concessione)
Cosa fece sì che questi preti imbracciassero il fucile? Ci parli di padre Hoa…
«Padre Hoa era entrato in seminario in Cina e aveva anche frequentato il collegio papale di Penang in Malesia ma quando scoppiò la guerra tra Cina e Giappone nel 1939 e poi la guerra civile tra cino-nazionalisti e cino-comunisti ci fu la chiamata generale alle armi e siccome non erano contemplati cappellani militari Hoa fu arruolato. Non solo, essendo istruito fu obbligato a frequentare la scuola ufficiali ricevendo così, sia pure forzatamente, una istruzione militare di buon livello. E’ indubbio che in quegli anni di guerra egli maturò una personale avversione nei confronti dei comunisti vedendoli all’opera, tuttavia finita la guerra e congedato riprese l’abito di sacerdote, che era quello che voleva fare. Ovviamente quando i comunisti prevalsero non ebbe vita facile: fu incarcerato, tentarono di portarlo dalla parte della chiesa patriottica ma non ne volle sapere. Con l’aiuto dei parrocchiani riuscì a fuggire e assieme a un migliaio di correligionari – parte di loro erano i suoi ex soldati con le rispettive famiglie – cercò di stabilirsi in Laos, poi verso metà anni Cinquanta in Cambogia ma la situazione per un verso o per l’altro diventava sempre rischiosa. Alla fine approdò con quel che restava dei fedeli – chi poteva permetterselo era già fuggito a Taiwan – in Vietnam che a quel tempo era retto dal cattolico Ngô-dinh-Diem il quale gli affidò una zona all’estremo sud di Saigon, che oltretutto era paludosa, malsana e con una forte presenza vietcong».
Un Vietcong ucciso (©Jack Benefiel, collezione privata, per gentile concessione)
Con i vietcong in casa non dovevano essere tanto al sicuro…
«Ma padre Hoa a quel punto, per il suo passato militare, aveva le capacità per organizzare i suoi fedeli che progressivamente aumentarono con elementi della minoranza cinese cattolica di Saigon che con lui si sentivano più protetti».
Invece di padre Bosco cosa può dirci?
«La sua è stata la storia più affascinante. Quando mi sono imbattuto nei padri combattenti gli storici americani che raccoglievano le testimonianze degli ex agenti Cia e degli ex forze speciali i quali aiutavano le loro operazioni dicevano che il più famoso era questo padre Bosco ma nessuno era in grado di dire altro se non il suo cognome. Io sono riuscito a contattare l’agente della Cia che lo seguiva convinto che questo prete fosse italiano invece non era così. Il fatto è che san Giovanni Bosco è in un santo molto popolare tra tutti i cattolici del sud-est asiatico ed è molto frequente che una famiglia chiami un figlio col nome Bosco o che un prete venga così soprannominato in segno di apprezzamento per la sua opera. Infatti era un vietnamita purosangue e molto protettivo verso i suoi parrocchiani. Padre Bosco cercava sempre di ottenere il migliore equipaggiamento per le loro operazioni di autodifesa ma anche di attacco. I miliziani di padre Bosco erano soprannominati Strikers proprio perché non erano destinati solo a presidiare il loro villaggio ma anche a fare pattuglie in cerca di vietcong».
Padre Bosco con altri (©Jack Benefiel, collezione privata, per gentile concessione)
Ma la gerarchia cattolica era a conoscenza delle attività militari di questi sacerdoti?
«Uno dei fratelli di Diem, il presidente e dittatore del Vietnam dell’epoca, era l’arcivescovo di Hue ed era la più alta autorità cattolica del paese. I sacerdoti chiesero il permesso alla gerarchia dato che evidentemente si trattava di attività ben oltre il limite della missione sacerdotale e la risposta fu… una non risposta. Nel senso che era evidente non potesse esserci un via libera formale ma d’altro canto, essendo sul posto, la gerarchia si rendeva conto che questi preti erano gli unici che potevano prendersi cura dei parrocchiani e assicurarne la sopravvivenza sia fisica che culturale; quindi scelsero di guardare da un’altra parte. Insomma non ci fu un ok ma neppure un no».
Quale è stata la fine di questi sacerdoti e delle comunità sotto la loro cura?
«Una serie di circostanze ha determinato la fine un po’ triste. Quando gli americani sono intervenuti massicciamente il generale William Westmoreland vide questa attività collaterali di guerriglia come un’altra guerra, un modo un po’ sprezzante per dire che la guerra seria l’avrebbero fatta lui con le sue unità convenzionali e non queste milizie locali. D’altro canto i sud vietnamiti vollero subentrare con propri ufficiali esautorando padre Hoa e gli altri ma questi non avevano la minima credibilità, ascendente e capacità. Il nuovo comandante della zona di padre Hoa era arrivato a minacciare di bombardare il villaggio con l’artiglieria se non gli avessero pagato il pizzo. Gli americani poi riuscirono a far rimuovere quell’ufficiale ma morto Diem nel 1963 venne anche meno la copertura polito-religiosa che avevano in qualche modo goduto con la sua famiglia al potere. I vietcong da parte loro si rendevano conto che questo popolo combattente era un pericolo gravissimo per la loro credibilità e compattezza facendo di tutto per infliggere il maggior numero possibile di perdite a queste comunità. Verso la metà degli anni Sessanta Hoa, scoraggiato, si trasferì prima a Saigon e poi a Taiwan dove fece solo il sacerdote».
Che ne fu invece di Padre Bosco?
«Riguardo la zona a nord di Saigon, dove operava Bosco, credo la fine sia stata ugualmente infelice. Mentre per padre Hoa si sa bene che fine ha fatto su padre Bosco resta un mistero. All’agente della Cia con cui ho parlato ho chiesto che fine avesse fatto assieme ai suoi ma non è stato in grado di dirlo perché poi è stato trasferito in un altro continente. Un mio collega vietnamita, fuggito come boat people dopo la caduta di Saigon, ha detto che sicuramente è stato ucciso poiché si era esposto troppo in quel genere di attività e se non lo hanno ammazzato durante la guerra sicuramente lo hanno fatto dopo».
Quindi i sacerdoti e i loro parrocchiani sono stati abbandonati, sia come comunità che come unità combattenti…
«Il governo di Saigon ad un certo punto si è reso conto negli ultimi anni che queste comunità potevano essere una risorsa molto valida per lo sforzo bellico ovviamente era di gran lunga troppo tardi».