La statura di don Gnocchi e la sua inestimabile eredità spirituale
di Matteo Pio Impagnatiello
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DON CARLO GNOCCHI, A 120 ANNI DALLA SUA NASCITA
Il 25 ottobre del 1902 nasceva, in un paese alle porte di Milano, don Carlo Gnocchi. Nell’anno 2009 fu proclamato Beato dalla Chiesa. Don Carlo viene ricordato come il padre dei “mutilatini” (di guerra).
Nel sito della fondazione che porta il suo nome e prosegue la sua opera assistenziale, è riportata una frase del Beato: «Ho sempre cercato le vestigia di Cristo sulla terra con avida, insistente speranza. E mi è parso di veder balenare il suo sguardo negli occhi casti e ridenti dei bimbi, trasparire opaco nel pallido e stanco sorriso dei vecchi e mi è sembrato più volte che la sua ombra leggera mi avesse sfiorato nel crepuscolo fatale dei morenti». È ai bambini che dedicherà la sua vita, dopo l’esperienza bellica che lo ha visto nelle funzioni di cappellano militare volontario.
Nel suo scritto/confessione “Cristo con gli alpini”, don Carlo racconta dei suoi alpini e dell’orrore della guerra. Riguardo alla corrispondenza epistolare che dall’Italia giungeva al fronte, don Carlo scriveva: «Alla povertà e primitività dei mezzi espressivi, in tutta questa corrispondenza, si contrappone la ricchezza degli affetti! Temi e motivi obbligati, essenziali, sinfoniali. La casa, la terra, Dio e la Patria». Temi di cui oggi, nella società post moderna, si avverte nostalgia: restano, purtroppo, fuori da qualsivoglia dibattito.
Il capitolo intitolato “Civiltà orizzontale” è dedicato alla Russia di allora, alla popolazione russa sotto il tallone del bolscevismo, in cui imperava l’ateismo. A tal proposito, nel medesimo scritto, continuava ad esporre: «Un giorno a Slobin in Russia Bianca, misurai quanto grande e prezioso sia il dono di un altare e di un rito. Come quando si arrivava in un paese abbandonato dal nemico o conquistato combattendo, il nostro Comando dette tosto alla popolazione il consenso di riaprire al culto la chiesa ortodossa (le chiese che il bolscevismo aveva trasformato in granai del popolo, in locali di divertimento o di adunanze popolari). E, in poche ore, donne, vecchi, bambini, con fervore quasi frenetico, riportarono la chiesa al suo stato antico. Paramenti sacri, calici, messali e icone balzarono fuor da dove Dio solo sa. E, con essi, il vecchio Pope».
Prima sul fronte greco – albanese, successivamente su quello russo, egli ha assistito i soldati feriti e morenti, raccogliendo così le loro ultime volontà. Di ritorno dall’esperienza russa, maturerà in lui il desiderio di realizzare una grande opera di carità. «Sogno, dopo la guerra, di potermi dedicare a un’opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me la vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una cosa sola: servire per tutta la vita i suoi poveri. Ecco la mia “carriera”… Purtroppo non so se di questa grande grazia sono degno, perché si tratta di un privilegio». Divenne “imprenditore della Carità”.
Nel 1953 la fondazione creata da don Gnocchi – Pro Juventute – aveva a disposizione 7 collegi sparsi da nord a sud, per un totale di duemila posti letto. L’intensa vita del Beato don Gnocchi si chiuse con un ultimo atto d’amore: egli donò i propri occhi a due mutilatini. Una provocazione verso una società spesso indifferente, protesa a voltarsi dall’altra parte, cieca davanti ai bisogni dei più deboli. Era un gesto d’amore che allora accese un forte dibattito tra i giuristi e non solo, in quanto illegale.
Se sul piano morale ci pensò papa Pio XII ad approvare la decisione di don Gnocchi, essa spronò il Parlamento a promulgare le prime norme sui trapianti d’organo. Nel decadimento non solo economico, ma anche e soprattutto civile e morale in cui versa l’Italia, scarseggiano punti di riferimento della “statura” di don Gnocchi. Inestimabile è l’eredità spirituale che ci ha lasciato così come prezioso era il suo impegno a favore dei sofferenti quando era in vita, prima del congedo dalla vita terrena, avvenuto il 28 febbraio del 1956.