“Sono un credente, però”: espressione massima del “cristianesimo fai da te”

“Sono un credente, però”: espressione massima del “cristianesimo fai da te”

di Nicola Sajeva

IL CRISTIANESIMO “FAI DA TE” È COSTRUITO SULLA SCIA DI SCHEMI SOLO TERRENI, LIMITATI, CIRCOSCRITTI E NON PRESUPPONGONO ALCUNA PROSPETTIVA DI ETERNITÀ

Senza la pretesa di giudicare, perché non è cristianamente corretto, ma con l’accettabile volontà di indicare solo alcuni parametri con la funzione delle cartine al tornasole per far emergere incoerenze e aspetti negativi, con molto rispetto e delicatezza, cercherò di focalizzare un problema molto evidente, che con acutezza è stato evidenziato anche dal Papa emerito Benedetto XVI.

Con l’espressione “cristianesimo fai da te” il Papa emerito ha stigmatizzato una serie di comportamenti che risultano assolutamente non solo negativi, ma anche dannosi nella visione della costruzione di quel regno di Dio invocato nella stupenda preghiera del Padre nostro.

Quando non ci facciamo scrupoli di manipolare, alterare, cedere alle tentazioni degli sconti e delle liquidazioni, decisamente ci allontaniamo dal sentiero che il messaggio evangelico traccia da duemila anni e che continua a rendere evidente con il fecondo sangue degli ennesimi martiri.

L’affermazione “sono un credente” molto spesso scopre radici che vanno a cercare gli umori vitali nelle zone malsane del compromesso, dell’impegno di facciata, del vivi e lascia vivere, del proposito di non rimboccarsi mai le maniche ed infine della decisa scelta di evitare ogni incontro ravvicinato con le pagine del Vangelo. “Sono un credente, però…” e giù la serie stereotipata di proposizioni che, setacciata accuratamente, lascia nel vaglio poche scorie quasi insignificanti che con lo splendore della Verità non hanno niente da condividere.

Personaggi del mondo dello sport, della politica, dello spettacolo, dalle varie tribune approntate dai mezzi di comunicazione, dichiarando di essere credenti raccolgono astutamente gradimento, simpatia, punti di merito e poi si scopre che tutti i risvolti della loro vita sfuggono all’enorme responsabilità di una dichiarazione così impegnativa.

Essere o non essere credenti ci pone su due piattaforme talmente lontane che ogni tentativo di confusione o di mistificazione risulta alquanto difficile. Sono due logiche inconciliabili perché hanno punti di partenza e punti di arrivo diversi.

Ciò che è importante per il credente può essere considerata follia dal non credente. Una prospettiva solo terrena non giustifica i comportamenti che prendono respiro, forza, vitalità solo nelle beatitudini. Il cristianesimo “fai da te” è invece costruito sulla scia di schemi solo terreni, limitati, circoscritti e non presuppongono alcuna prospettiva di eternità.

Per i credenti è vitale il confronto continuo ininterrotto, umile con quanto la Chiesa, nelle persone del Papa e dei Vescovi, continua a proporci per individuare la strada dove possiamo vivere l’esperienza di ritrovarci accanto a Gesù, maestro e modello di un amore così grande da rendere lillipuziani, poveri, insignificanti tutti i surrogati messi a punto da un laicismo arrogante perché presuntuoso e irrispettoso di qualsiasi posizione alternativa.

Essere disposti a credere o a non credere nella nostra risurrezione, riuscire ad abbracciare o a demonizzare la croce, sperare o non sperare nelle vita eterna, riuscire a scoprire in ogni uomo un fratello da amare o vedere in ogni uomo un avversario da superare e da annientare, superare la soglia dell’indifferenza o tenere sempre in grande considerazione i bisogni, gli aneliti, le speranze dei nostri compagni di viaggio, rappresentano i punti fermi che nessun credente, che si dichiari tale, può eludere.

Sono credente, ma non posso perdonare; sono credente, ma non fino al punto di considerare decisiva e insostituibile l’azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa; sono credente, ma non disponibile a consultare anche la stampa e gli altri mezzi di comunicazione cattolici. Senza dubbio questa riflessione meriterebbe più spazio e autore più qualificato. Di questo sono perfettamente consapevole, ma la mia semplice condizione di battezzato mi abilita sufficientemente a manifestare qualche obiettiva perplessità sulla testimonianza di alcuni che, strumentalizzando ipocritamente un’appartenenza, coltivano segretamente la speranza di una ricaduta in grado di gratificarli non solo spiritualmente.

Tutto questo non è corretto e quindi va denunziato per fare chiarezza e spianare così il campo a quella Verità che evoca l’insegnamento di Gesù: “Se voi rimanete nella mia parola, siete veramente miei discepoli; e conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi” (Gv. 8,31-32).

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