Se Dio ci cerca è perché corriamo davvero il rischio di perderci!
di don Ruggero Gorletti
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COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 11 SETTEMBRE 2022 – XXIV Domenica per Annum
Dal vangelo secondo san Luca (15, 1-3 11-32)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
COMMENTO
Il capitolo quindicesimo del Vangelo di Luca è interamente occupato dalle tre cosiddette parabole della misericordia: la pecorella smarrita, la moneta perduta e il figliol prodigo. Oggi concentreremo l’attenzione sulle prime due.
Gesù, come spesso gli accade, si trova a dover affrontare l’ostilità degli scribi e dei farisei, studiosi della Bibbia, ligi osservanti (almeno all’apparenza!) della legge di Mosè, che non condividono i suoi insegnamenti e non apprezzano neppure i suoi miracoli, che mostrano un volto di Dio diverso da quello che loro credono di conoscere.
Scribi e farisei non gli perdonano di parlare (anche attraverso il linguaggio delle parabole) di Dio come di qualcuno che vuole bene ai peccatori, che si prende cura di loro e che non si limita a rimproverarli e a imporre loro penitenze e castighi. Quello che non va giù a scribi e farisei è il fatto che Dio si attardi ad aspettare il peccatore (come nella parabola del figliol prodigo) o addirittura vada a cercarlo (la parabola della pecorella smarrita e della moneta perduta).
Dio con il peccatore si rapporta sì, ma solo per rimproverarlo e per punirlo. Attenzione però: questo modo di pensare non è solo degli scribi e dei farisei del tempo di Gesù, ma spesso è anche nostro: quante volte si sente lamentare o al limite ironizzare sul fatto che Dio perdoni un peccatore dopo una vita trascorsa lontano da Lui! Invece che gioire del fatto che Dio, durante questa vita terrena, sia disposto a darci il suo perdono (cosa di cui abbiamo grande bisogno, almeno io!) ci si lamenta del fatto che Dio non punisce a sufficienza i peccatori!
Questo perché nel fondo del nostro cuore siamo convinti di essere giusti, e che i peccatori ci siano sì, ma sono solo gli altri! Se non riconosciamo con noi stessi di essere peccatori, di essere bisognosi del perdono di Dio, non riusciamo a gioire della sua misericordia.
Un altro aspetto è che quando consideriamo queste parabole non riflettiamo sufficientemente sul fatto che se Dio ci attende, se Dio ci cerca è perché corriamo davvero il rischio di perderci. È vero che Dio ci ama, e in questa vita ci aspetta con pazienza e anzi ci viene, in modi diversi, a cercare. Ma è anche vero che, se viene a cercarci è perché, per noi, non è indifferente vivere con Dio o senza Dio.
Queste parabole ci riempiono di consolazione, perché ci mostrano quanto il Padre ci ami e quanto tenga a noi, ma dovrebbero farci riflettere sul fatto che vivere lontani da Dio, vivere nel peccato, vivere come a Dio non piace, vivere come se Dio non ci fosse (e oggi tante persone vivono così!) è per noi causa di grave pericolo, per questa vita, perché rischiamo di sciuparla, e per la vita eterna, perché rischiamo di perderla per sempre. Infatti se la pecora potesse vivere bene lontano dal pastore, il pastore non andrebbe a cercarla!
Dio ci ama e non vuole perderci. Questa notizia è consolante, ma lo è solo se noi ci riconosciamo per quello che siamo: dei peccatori che hanno continuamente bisogno del perdono di Dio. Ne abbiamo bisogno per vivere bene questa vita e per non perdere la gioia eterna del Paradiso, meritandoci per l’eternità la disperazione tremenda dell’inferno.
E cosa dobbiamo fare allora? Accogliere le braccia amorose del pastore, di Dio, che viene a cercarci lì dove ci troviamo, per riportarci a casa, riportarci sulla via del bene. Non rifiutiamo il suo abbraccio di padre. Non rifiutiamo il suo perdono, non confessandoci mai o facendolo troppo raramente. Per noi il perdono di Dio è davvero necessario, per questa vita e per la prossima. E per Dio non c’è gioia più grande di quella di perdonarci e di riportarci a casa.