Un patrimonio di fede, cultura, espressività, bellezza e amore di inestimabile valore

Un patrimonio di fede, cultura, espressività, bellezza e amore di inestimabile valore

di Manlio Buscemi

LITURGIA: I CORI ECCLESIALI COME “ALI PER VOLARE VERSO L’ALTO  

Transitando nelle vie limitrofe ad una grande piazza della città, il visitatore udì giungere il suono di voci che, accompagnate dal suono di un organo, elevavano in coro dei canti armoniosi e soavi. Erano canti di giubilo che, approssimandosi gradualmente al sacro edificio, udì più intensamente e in modo più distinto diffondersi nell’aere come una brezza di primavera e librarsi verso il cielo come uno stormo danzante di rondini.     

Così varcò la soglia della chiesa: un tempio settecentesco tardo barocco a tre navate suddivise da colonne – la centrale con la volta a botte sostenuta da archi a tutto sesto, le due laterali dalle volte a vela abitate da altari laterali – con decori in stucco e foglie stilizzate come ornamenti, i marmi rosacei e i lampadari a otto braccia pendenti dall’alto. Vide numerosi fedeli che gremivano i banchi lignei, mentre in fondo, oltre la marmorea balaustra, presso un altare maggiore gremito di fiori olezzanti, alti ceri accesi e candidi lini, il sacerdote in abiti liturgici officiava la Messa, assistito dai chierichetti in talare e cotta.       

Dopo essersi arrestato alcuni istanti, l’uomo iniziò ad incedere avanti e udendo di nuovo cantare si voltò e volgendo lo sguardo in alto vide l’imponente cantoria in cui troneggiava un superbo organo a canne suonato da un organista attorniato da un gruppo di uomini e di donne che, quasi come angeli, intonavano una complessa polifonia di cui tutto lo spazio sacro rimaneva intriso. Il viatore, appassionato alla musica e al canto, colse subito che si trattava di una modalità di canto particolare, fondamentalmente diversa da quella della musica profana, caratterizzata dalla predominanza della densità della parola sul fluire della melodia prodotta dall’organo che, pur nella sua maestosità non risultava saturante: le parole infatti predominavano sul suono; pur tuttavia la sublime possanza e la grandiosità avvolgente di quel canto si presentava paradossalmente sobria, segnata da un regolato equilibrio e da una intrinseca e misurata razionalità; infine il legame che saldava le voci emanava un senso di unità e di unanime comunione che travalicava l’ordine terreno, investendo tempi e luoghi più ampi, partecipando a quella musica cosmica accordata alle leggi musicali dell’universo, corrispondenti alle armoniche norme inscritte dal Logos attraverso lo Spirito Creatore sul pentagramma della Creazione. Il rito proseguiva solenne in un caldo clima imbevuto di senso del mistero, in cui, mentre l’incenso si spandeva come nuvola, alle essenziali parole del sacerdote e del popolo si alternavano dense pause di raccolto profondo silenzio, cosicché  l’istante parìa distendersi nell’Infinito, mentre la schola cantorum riprendeva il suo canto, un antico gregoriano che sembrava forare l’orizzonte e dilatare lo spazio verso orizzonti metafisici, sfiorando le corde delle cetre dei cuori… Così la Chiesa pellegrinante fondeva la sua voce ai cantici della Chiesa trionfante ed ai cori angelici, nel magnifico ed eterno inno di lode alla Divina Trinità…

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Tra le manifestazioni artistico-religiose della cultura della nostra civiltà spicca in grado eminente quella della musica sacra e liturgica, non soltanto nel suo più esclusivo livello di composizione nella creativa produzione di autentici musicisti, ma anche in quello più accessibile e fruibile dell’esecuzione e del canto, ad opera assai frequentemente di musicisti dilettanti e di cantori non professionisti, membri del clero o del laicato, giovani e adulti, uomini e donne, anziani e fanciulli.

Nelle cattedrali delle metropoli, nelle basiliche e nelle collegiate delle grandi città, nelle parrocchie del paesi, nelle rettorie dei centri storici, negli oratori e nelle cappelle, nei santuari delle montagne o nelle chiese minori delle borgate, delle valli e degli ambienti agresti e rurali… in ogni tempo, laddove hanno avuto luogo le celebrazioni del culto divino nei sacri riti, le azioni liturgiche o anche le pratiche dei pii e sacri esercizi sono state animate e sostenute dalla musica e dal canto, a cura di cori di fedeli che hanno posto il naturale talento della musicalità, dell’acquisita capacità di suonare e di una voce intonata e armoniosa al servizio della preghiera pubblica e solenne della Chiesa Cattolica.

Questo servizio ministeriale, propriamente liturgico, ha trovato il suo alveo e la sua fucina nel contesto dei cori e delle corali, delle cosiddette “cappelle musicali” – o più propriamente “scholae cantorum” – il cui compito ha assunto nel corso del tempo sempre maggior rilievo e importanza, dando voce ed espressione alla musica sacra – espressiva di una realtà creatrice di cultura, come lo è la Chiesa – che costituisce un patrimonio di fede, di cultura, di espressività, di bellezza e di amore di inestimabile valore, da non trascurare né lasciar andare, ma piuttosto da conservare, tutelare, valorizzare e promuovere.

Quante generazioni di cantori – dotti o illetterati, giovanissimi o canuti – si sono raccolte attorno a monumentali organi a canne, a piccoli armonium o a semplici tastiere-organo, esprimendo con commossa semplicità e ardente tensione la fede dei padri in canto, nello snodarsi del ritmo del tempo liturgico, di cui la musica sacra, per loro umile apporto, si è resa fedele ancella!

Tale stimabile ufficio ha arricchito di maggiore solennità i riti sacri, rivestendoli e adornandoli di più nobile forma, di accresciuto decoro ed elevato splendore, di maggior magnificenza ed elegante sontuosità, innalzando come efficace leva invisibile i cuori e le menti a Dio e alle cose celesti, donando alla stessa preghiera un’espressione più soave, consentendo, supportando e promuovendo, attraverso il carattere performante proprio della musica, una partecipazione piena e densa, consapevole e vissuta, attiva e fruttuosa al culto e alla sua espressione in canto da parte di tutti i fedeli; nonché favorendo l’unità e la sinergia comunionale, così da manifestare la natura gerarchica e comunitaria della Chiesa nella sua sacra liturgia, che è in qualche modo anticipo nel mistero di quella celeste nella Città dei santi, ai quali, nello status di visione beatifica, è stato sempre attribuito il canto quale soprannaturale effetto della pienezza della Grazia dello Spirito Santo.

Alla musica sacra e al canto liturgico si riconosce quindi l’altissimo compito di aiutare i fedeli a percepire e partecipare, con tutti i sensi, fisici e spirituali, a quella “ordinaria” e accessibile teofania che si compie in ogni celebrazione liturgica; il compito ineffabile di donare il senso della gloria di Dio, della sua bellezza, della sua santità che avvolge come una “nube luminosa” in cui “Egli è qui”, eminentemente presente in mezzo al Suo popolo, vertiginosamente vocato a  comunicare profondamente al gratuito dono della salvezza, penetrando nel Mistero di Dio, imparando sempre di nuovo, e ancor più, a percepirlo, a contemplarlo, ad adorarlo, ad accoglierlo, a trasmetterlo.

La tradizione dei cori parrocchiali in particolare, ed ecclesiali in genere, testimonia come agli stessi cantori è offerta un’esperienza viva di preghiera e di ascolto, di condivisione e di sequela, di gratuità, di crescita… di “Cristianesimo cantato”, nell’avvolgente e avviluppante spirale della musica, che quale pedagoga incorporea conduce ad innalzare lo sguardo verso l’Alto e l’Altro, in direzione del Cielo, aprendo le menti e i cuori al Bene e alla Bellezza,   riflessi propri di Dio.

Il canto sacro corale, avendo come fine la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli, rende più viva, intensa, solenne e gradita la preghiera liturgica, dilata lo spirito umano nella contemplazione spalancandolo al soprannaturale, ravviva facilmente il fervore muovendo efficacemente la devozione dei fedeli; oltre a ciò rappresenta un’originale e multiforme modalità di annuncio di Cristo, tanto unico e singolare da rendere sensibilmente percepibile il Mistero attraverso la precipua eloquenza delle note e dei suoni, consentendo in tal modo una “presa di contatto” che potremmo definire “carnalmente mistica”.

Non risulta quindi fuori luogo che meriti di essere annoverato tra le vere forme di apostolato laicale; un apostolato che, per la ricchezza e la dignità dei suoi contenuti (prettamente cristiani) e delle sue forme (eminentemente classiche, regolari, armoniche e sobrie), rivela anche una notevole dimensione culturale, in un’epoca, quella contemporanea, contrassegnata ed intrisa da visioni, narrazioni e sensibilità diametralmente opposte a quelle di una civiltà cristiana, diffuse e radicate – ormai da decenni – anche attraverso moduli musicali e generi canori non soltanto marcatamente profani e mondani, ma talvolta anche virulentemente pagani, rivoluzionari e carnali, che hanno penetrato, influenzato e determinato il gusto, lo stile e il sentire di masse di individui ghermite dal nulla che avanza anche attraverso le righe, gli spazi e le note di spartiti apparentemente innocui…

Per altro verso, i moduli musicali e i generi canori propri del  “mondo”, hanno sempre esercitato sulla musica ecclesiale l’accanita e stringente tentazione di assorbimento, di contagio, di adeguamento; infatti, nel corso dei secoli, l’autorità della Chiesa, pur ammettendo una processualità di sviluppo dell’espressione musico-canora nella liturgia, ha dovuto ricorrentemente ed incisivamente richiamare al dovere di purificarla dalle infiltrazioni mondane, spesso giustificate dalla necessità di rendere la liturgia più attrattiva e accattivante, fascinosa e interessante grazie alla ricezione-introduzione di modulazioni, stili e accenti in linea con la produzione musicale propria della moda del momento, nonostante non presentassero le prerogative e le caratteristiche adeguate al culto sacro, la cui naturale struttura  profonda è la sostanziale alterità e l’assoluta differenza rispetto ad ogni altro ambito dell’umana esperienza.

Cos’è la liturgia, se non l’entrare nel Santo dei Santi (e “santo”, “kadosh” in ebraico, significa “separato”), l’entrare nella comunione con la Gerusalemme celeste, in una dimensione che, trascendendo il naturale ed il carnale, è separata da quel “mondo” che non riconosce Cristo e dimentica Dio?

Ne discende che le caratteristiche della musica e del canto asservite e nobilitanti l’azione cultuale più che essere ricavate dalla secolarità contemporanea, dovrebbero discendere dalla sapienza e dalla prudenza dei “padri”, essere passate al rigoroso vaglio dell’esperienza del popolo attraverso il divenire del tempo, esser tratte dalla sensibilità cattolica anche contemporanea, ma attraversata e compenetrata dalla coscienza del Cristianesimo come fatto culturale che gode di proprie categorie, di propri volti, di una propria “carne culturale” che non ha bisogno di mutuare dal “mondo”, quasi fosse uno spiritualismo disincarnato compatibile con qualsiasi carne.

E’ questa una sfida cui ogni generazioni di cantori è chiamata ed alla quale non può sottrarsi, se vuole corrispondere alla grazia che le viene offerta e al compito che le viene affidato; un compito la cui viva consapevolezza necessita costantemente di essere richiamata, ripresa, ridestata, purificata e rigenerata.

Quello delle scholae cantorum dovrebbe affermarsi come un lavoro che richieda quella fatica intrisa di passione e di bellezza che, disintossicando dalla superficiale mediocrità e dall’effimero profano, sollevi i cuori muovendoli a penetrare nelle intimità della vita divina.

Il prezioso, generoso contributo dei cori rivelando ed esprimendo la coscienza di fede di un popolo, ed al contempo educandola ed alimentandola, si rivela degno di apprezzamento e di incoraggiamento, di encomio e di lode.

E’ dunque quanto mai auspicabile e sperabile che in tutti coloro che hanno ricevuto il talento del canto e della musicalità affiori con forza il desiderio di inserirsi nei cori ecclesiali nel nobile ruolo di cantori. Ad essi si ripropongono le parole che intorno alla metà del III secolo d.C. il santo vescovo e martire Cipriano di Cartagine, Padre della Chiesa, scrisse nella sua epistola a Donato: Risuoni di salmi il sobrio banchetto: e se hai tenace memoria e voce canora, assumiti questo ufficio secondo l’invalsa consuetudine: tu a persone a te carissime offri maggior nutrimento, se da parte nostra c’è un’audizione  spirituale e se la dolcezza religiosa diletta il nostro udito.

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