Quasi mille donne all’anno subiscono effetti avversi dopo l’aborto chimico
a cura di Angelica La Rosa
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LA MORTALITÀ DELLE DONNE CHE PRATICANO L’ABORTO LEGALIZZATO È SOTTOSTIMATA DEL 60%
Sono oltre 1.400 – secondo dati sottostimati – le donne che ogni anno, in Italia, subiscono danni fisici come conseguenza immediata dell’aborto legale, mentre la mortalità delle donne che abortiscono legalmente è sottostimata addirittura del 60%. Quasi mille donne (979), come ammette l’ultima lacunosa relazione del Ministero della Salute sulla Legge 194/78, nel solo 2019 hanno subito effetti avversi anche gravi dal solo aborto chimico.
Sono questi i dati choc che emergono dal dossier “Aborto: dalla parte delle donne”, presentato ieri in Senato, presso la Sala “Caduti di Nassirya”, su iniziativa del senatore Simone Pillon e di Pro Vita & Famiglia Onlus.
Portare alla luce i reali dati sull’incidenza dell’aborto sulla salute della donne «è fondamentale perché soltanto con un’informazione scientificamente corretta e rigorosa si può dare alle madri la possibilità di avere la giusta consapevolezza su cosa è l’aborto e cosa provoca», ha sottolineato il professor Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’Età Prenatale dell’Università̀ Cattolica del Sacro Cuore, direttore dell’Hospice Perinatale del Policlinico Gemelli e presidente della Fondazione Il Cuore in una Goccia ETS. «Questo dossier, ben fatto, con molti e puntuali riferimenti bibliografici, dati e statistiche, è veramente “dalla parte delle donne” perché le aiuta a scegliere con consapevolezza e risponde alle lacunose e imprecise relazioni del Ministero della Salute sulla Legge 194/78. Tra l’altro le conseguenze dell’aborto non sono solo le infezioni e le emorragie riportate dalla relazione, ma sono anche il danno cervicale, la perforazione della parete uterina, l’infertilità, aborti spontanei ricorrenti, malattie autoimmuni fino addirittura al cancro al seno e tante altre patologie fisiche e psichiche».
«Siamo sinceramente preoccupati per la salute delle donne e per la mancanza di un vero consenso informato sull’aborto», ha aggiunto Francesca Romana Poleggi, membro del direttivo di Pro Vita & Famiglia. «Una scelta non può essere tale se non è libera e se non c’è un’informazione veritiera su ciò che si sceglie. Basti pensare, infatti, che nell’ultima contraddittoria relazione ministeriale, mentre la tabella 27 parla di 411 conseguenze avverse, in generale, dell’aborto, a pag. 53 c’è scritto che sono state 979 le madri ferite dal solo aborto chimico! In più, come se non bastasse, l’Istituto Superiore di Sanità si è rifiutato di fornire ai ricercatori (come Reardon et altri) i dati separati relativi alla mortalità conseguente l’aborto indotto, il parto e l’aborto spontaneo. Infine ricordiamo che nel 2020 il ministro Speranza ha ricevuto il parere favorevole alle sue direttive (ora sappiamo perché secretate) sulla Ru486 da alcuni organi di consulenza, i quali si sono basati su uno studio prodotto da membri del comitato consultivo scientifico esterno di Exelgyn e Nordic, le case farmaceutiche che producono e distribuiscono la RU486: è stato dunque ignorato il conflitto di interesse a discapito della salute delle donne. Non possiamo inoltre non spendere una parola sulla principale vittima della legge 194 che è il bambino nel grembo. Un essere umano con il suo DNA, persona fin dal momento del concepimento, che viene discriminata per l’età: chi è piccolo non ha diritto di nascere».
«Siamo purtroppo abituati a considerare l’aborto come un bene per le donne, ma ci dimentichiamo che sono proprio loro che pagano sulla loro pelle le conseguenze, che si protraggono poi per tutta la vita», ha affermato il senatore Simone Pillon. «Auspico – ha aggiunto – che in un momento storico in cui molti Paesi stanno facendo marcia indietro sulle legislazioni pro-aborto, e addirittura gli Stati Uniti stanno mettendo in discussione la storica sentenza Roe vs Wade, ci possa essere anche in Italia il coraggio di aprire una riflessione sulla Legge 194. Senza connotati ideologici, ma che sia capace di mettere al centro la donna e il suo bambino, non più divisi, non più con i diritti dell’una contro i diritti dell’altro, ma per il bene di entrambi».
«Grazie alle procedure di record-linkage (incrocio tra più fonti di dati) si possono individuare le morti materne che solitamente sfuggono ai certificati di morte, in più abbiamo scoperto che in Italia almeno 18 donne si sono suicidate dopo l’aborto legale e che le madri che si sottopongono a questa pratica hanno la probabilità 3 volte superiore di suicidarsi entro 1 anno rispetto a chi porta a termine la gravidanza» ha spiegato Lorenza Perfori, autrice del volume. «Questi dati confutano la propaganda secondo la quale l’aborto indotto non comporterebbe problemi di salute mentale e secondo la quale si morirebbe più di parto che di aborto. E spiega la riluttanza a rendere noti i dati quando risultano sfavorevoli all’aborto legale».
«Nonostante ci sia qualcuno che per fare politica va in giro a dire che abortire è la cosa più bella del mondo, che prendere la Ru486 è come prendere una caramella, questo lavoro dimostra – dati alla mano e con un’ampia e autorevole bibliografia – che l’aborto è sempre una tragedia», ha affermato Maria Rachele Ruiu, membro del direttivo di Pro Vita & Famiglia e portavoce della “Manifestazione Nazionale per la Vita – Scegliamo la Vita” del prossimo 21 maggio.
«Le donne – ha aggiunto – scelgono di abortire solo quando pensano di non poter fare altrimenti. Per questo il 21 maggio a Roma scenderemo in piazza per ribadire che l’aborto è sempre una sconfitta, mentre scegliere la Vita non solo è urgente, oggi, ma conviene sempre! Nel 2022, infatti, è urgente che ad una mamma in difficoltà siano proposte tutte le soluzioni per superare le difficoltà in cui si trova (economiche e sociali), è urgente raccontarle cosa è davvero l’aborto, quali le conseguenze fisiche e psicologiche, e quando fosse davvero per lei impossibile crescere il proprio figlio, che le sia data la possibilità di custodirlo fino alla nascita, senza che questo sia per lei un sacrificio da accollarsi in solitudine».
Durante la conferenza stampa spazio anche alla testimonianza di Francesca Siena, presidente del Cav “Ardeatino” di Roma: «La maggior parte delle donne incontrate in questi anni (più di 800) non sapeva assolutamente della possibilità di ottenere sostegni concreti per portare avanti la gravidanza. Per loro l’aborto non era una “scelta”, ma l’unica via d’uscita da una situazione difficile. Proprio per questo motivo la percentuale di donne aiutate che poi va ad abortire è veramente bassissima (si parla del 1, massimo l’1,5%».