L’ordinamento internazionale individua dei limiti invalicabili allo stato di emergenza
di Claudia Pretto*
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L’INSPIEGABILE OBLIO DEI VINCOLI DEI PATTI INTERNAZIONALI PER DIRITTI CIVILI E POLITICI E PER I DIRITTI ECONOMICO, SOCIALI E CULTURALI
L’ordinamento italiano, sulla base della Costituzione, ha ratificato e adottato diverse convenzioni internazionali che, per le regole della cosiddetta “gerarchia delle fonti”, devono ritenersi sovraordinate rispetto alle norme ordinarie. Questa non può che essere una certezza per gli operatori del diritto, nonostante la distopia dilagante che distorce ed annichilisce la certezza del diritto, necessaria però perché si possa parlare di Stato di Diritto.
L’ordinamento Italiano ha ratificato due patti internazionali che sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale nel 1977: il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali, che sembrano però essere del tutto dimenticati, omessi, eppure sono norme sovraordinate e tuttora vincolanti.
L’ordinamento internazionale individua dei limiti invalicabili allo stato di emergenza, limiti delineati proprio dall’articolo 4 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Infatti l’articolo 4 al paragrafo 2 prescrive esplicitamente che anche in stato di emergenza nessuna deroga possa essere prevista per i diritti inviolabili e inderogabili quali: il diritto alla vita (art 6); la proibizione della tortura o della di tortura o di pene crudeli, inumane o degradanti (art 7); per il divieto di schiavitù (art 8) e per la libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art 18).
Di particolare interesse rispetto al tema del consenso per la vaccinazione Covid-19 con vaccini che, come sappiamo, sono ancora sperimentali, è l’ultima parte dell’art 7 del patto sui diritti civili e politici, articolo inderogabile: “nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso ad un esperimento medico o scientifico”.
Chi scrive si interroga dunque sulla compatibilità di tale disposizione inderogabile dell’articolo 7 con l’attuale consenso in vigore rispetto alla vaccinazione Covid-19, soprattutto in caso di obbligo vaccinale per categorie professionali o per età, difficile è non ammettere il rischio di violazione dell’art. 7 in presenza di un obbligo vaccinale alla luce della “natura sperimentale” dei vaccini attualmente impiegati.
La questione di quando i diritti possano essere derogati, e in quale misura, per il Comitato dei diritti umani (parere n 29 del 31 agosto 2001) non può essere in alcun modo separata dalla disposizione dell’articolo 4, paragrafo 1 del Patto secondo la quale qualsiasi deroga agli obblighi di uno Stato parte in base al Patto deve essere limitata “nell’ambito strettamente richiesto dalle esigenze della situazione“.
Le salvaguardie relative alle deroghe, contenute nell’articolo 4, del Patto sui diritti civili e politici, si basano sui principi della legalità e dello stato di diritto inerenti al Patto nel suo complesso. Questa condizione richiede che gli Stati parte forniscano sempre un’attenta giustificazione, non solo per la loro decisione di proclamare lo stato di emergenza, ma anche per qualsiasi misura specifica basata su tale proclamazione.
L’Alto Commissario ONU dei diritti umani, il 30 aprile 2020 ha invitato tutti gli Stati parte del Patto, che hanno adottato misure di emergenza in relazione con la pandemia Covid-19, ad adempiere senza indugio al loro dovere di notificarlo immediatamente al Segretario generale ai sensi dell’art 4 comma 3 del Patto. Lo Stato Italiano ad oggi non ha ancora avviato tale procedura di comunicazione delle deroghe, mentre lo hanno fatto paesi come l’Armenia, la Romania e molti altri.
Rispetto al Patto sui diritti economico e sociali l’Alto Commissariato ONU per i diritti umani nel proprio rapporto del 2013 sulle misure di austerità e i diritti economici e sociali, al paragrafo 15 indicava quei criteri specifici di conformità ai diritti umani per valutare la legittimità delle misure di austerità che devono valere in ogni situazione: “Quando le misure di austerità si traducono in passi indietro che influenzano la realizzazione o l’attuazione dei diritti umani, l’onere della prova si sposta sullo Stato di attuazione per fornire una giustificazione per tali misure”.
Nell’assicurare il rispetto dei loro obblighi in materia di diritti umani quando adottano misure di austerità, gli Stati dovrebbero dimostrare:
(1) l’esistenza di un interesse impellente dello Stato;
(2) la necessità, ragionevolezza, temporaneità e proporzionalità delle misure di austerità;
(3) l’esaurimento delle misure alternative e meno restrittive;
(4) la natura non discriminatoria delle misure proposte;
(5) la protezione di un contenuto minimo di base dei diritti;
(6) l’autentica partecipazione dei gruppi e degli individui interessati ai processi decisionali.
Analogamente al funzionamento del principio di precauzione nel diritto ambientale internazionale di fronte all’incertezza scientifica, anche nel contesto di una emergenza pandemica, gli Stati non dovrebbero attuare limitazioni ai diritti del Patto sui diritti economici, sociali e culturaliper giustificare qualsiasi misura di emergenza COVID-19 in modo sistematico senza rispettare i criteri indicati dal Comitato e soprattutto in violazione dei principi di temporaneità, ragionevolezza, legittimità e proporzionalità, soprattutto quando possono essere messi in discussione i diritti dell’individuo che gli garantiscono il sostentamento e la sopravvivenza.
Infine evidenzia sempre l’Alto Commissario ONU qualora si possa dimostrare l’esistenza di uno scopo pretestuoso per la limitazione, separato dallo scopo dichiarato di promuovere il “benessere generale” come definito in larga misura dallo Stato parte, allora qualsiasi tentativo di limitazione dei diritti del Patto da parte dello Stato parte sarebbe escluso dall’ambito di ammissibilità.
*Dottore di ricerca in Istituzioni e politiche comparate – Unidolomiti