Tutti dobbiamo adorarlo, ma non alla maniera di Erode
di don Giuseppe Agnello
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L’ADORAZIONE PER ERODE ERA CONFORMAZIONE AL SUO IDOLO, E IL SUO IDOLO ERA IL POTERE, PER QUESTO SI È IMPEGNATO NEL VOLER UCCIDERE GESÚ DA DUE ANNI CIRCA NATO
È nato il Giusto, l’Atteso dalle genti, il Salvatore del Mondo, il Fíglio di Dio che contínua ad essere descritto come Luce che splende sia nelle profezie sia nel Vangelo.
Lui, che è la nostra stella che illumina la notte, è il Signore che si fa adorare Bambino.
La sua nascita è un evento storico, cosmico, spirituale di cui il vangelo di Matteo ci informa con particolari importanti e con rimandi alla Sacra Scrittura che tutti gli scribi del tempo conoscevano, ma che anche i pii Israeliti conoscevano.
Tutta la descrizione con la stella che guida i magi; le profezie che riguardano Betlemme di Giudea; i sapienti dell’Oriente che conosciamo come “Re Magi” che dícono alla corte del re Erode: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2, v.2); ci dícono che tutti dobbiamo adorarlo, ma non alla maniera di Erode, che lo dice e vuole farlo solo per rèndersi degno di fiducia e mascherato di virtú, rispetto alle sue intenzioni di morte: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo» (Mt 2, v.8).
L’adorazione per sant’Agostino presuppone il volér diventare ciò che si adora. Allora se adori i Beatles, o Fedez o Renato Zero, vuoi diventare come loro o per fama, o per stile di vita, o per capacità di cantare. Se adori le polítiche imperiali, i grandi statisti della storia, cercherai di imitarne atteggiamenti, modi di decídere, istruzione.
Se adori la moda e gli accessori luccicanti, ti coprirai e riempirai di abiti alla moda e di accessorî secondo questo preciso indirizzo. E cosí possiamo fare tanti altri tipi di esèmpio. L’adorazione per Erode era conformazione al suo ídolo, e il suo ídolo era il potere, per questo si è impegnato nel voler uccídere Gesú da due anni circa nato.
Questo tipo di adorazione non è quella gradita al Signore, nemmeno se è il Signore stesso il destinatario di essa. Sí!, perché anche Lui può diventare un idolo di cui scelgo io ciò che conta e ciò che non conta. Gesú, però, o si accoglie tutto e cosí com’è, o non ci salva, non ci parla, non ci cambia, non migliora la nostra vita.
San Paolo dice nella seconda lettura agli Efesini: «le genti sono chiamate, in Cristo Gesú, a condivídere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3, v.6).
In queste parole comprendiamo che questo Dio Bambino, nella mangiatoia, e a Betlemme, chiama tutti i popoli alla vera adorazione, quella che ci porta a condivídere con il Fíglio di Dio la natura divina, lo stesso corpo e tutto ciò che il Vangelo insegna e promette.
Allora comprendiamo meglio il canto natalízio “Adeste fideles”, che ripete per tre volte nel ritornello “Venite adoriamo!”. Comprendiamo meglio le primizie della fede di questi sapienti che dall’Oriente fanno un lungo viaggio per adorare un Bambino. Essi ancora non hanno conosciuto il Vangelo né le sue promesse, ma capiscono che non si può adorare un ídolo, ma un grande che si fa piccolo sí; un Re che ci vuole attrarre a Lui con la tenerezza anziché con la forza, sí; un Dio che non parla solo con tuoni e potenze atmosferiche, ma anche con il sorriso e il pianto di un Bambino sí.
I Magi portano i doni che conosciamo (oro, incenso e mirra, che sono segni profètici di ciò che è Gesú e gli accadrà), ma portano anzitutto sé stessi, la loro cultura, le loro tradizioni, ai suoi piedi, in una grotta illuminata da una luce divina. Questa luce dona agli adoratori del bambino la grazia di ritrovarsi importanti nel disegno di salvezza dell’unico Dio e Signore.
Mentre un idolo resta al centro di tutto togliendo importanza e valore a chi lo adora; Dio, che non è un idolo, rende importanti e partecipi della sua importanza tutti coloro che lo cèrcano, lo trovano, lo amano e lo adorano.
Ieri allora, nel giorno dell’Epifania di Nostro Signore, abbiamo voluto adorare degnamente, come i fedeli di ogni tempo, come i santi di ogni tempo, come i Magi venuti da lontano con il loro bagaglio culturale, Gesú.
L’adorazione è un atto di culto che si deve solo a Dio proprio per il motivo che dicevo poc’anzi: se io divento ciò che adoro, devo adorare solo Dio, perché è Lui l’Amore perfetto, la mia salvezza, il mio Padre buono, il mio Tesoro che non passa e non corrompe, il mio Tutto che mi insegna come si vive. Dall’adorazione perfetta al Signore deriva la carità autentica ai fratelli; il rispetto per la vita nascente e per la vita degli ammalati.
Dall’adorazione perfetta al Signore deriva anche il nostro rapporto con noi stessi e con le cose che abbiamo. I Magi hanno donato oro, incenso e mirra, che sono cose di valore; cosí anche noi a Dio e alle persone che ci stanno accanto non dobbiamo regalare gli avanzi del nostro egoismo, ma il mèglio.
Ho frutta, olive, cacciagione che mi appartengono? Non darò gli scarti o quello che non mi piace al mio vicino di casa, ma il meglio.
Ho la possibilità di aiutare una persona in difficoltà? Non perderò tempo a pensare che devo rinunciare a guardare la partita di calcio, per aiutarlo. Lo faccio con gioia e senza rimpianto. Ho scoperto che il genitore di un compagnetto di mio figlio si è ammalato? Non ricevo la notizia come una cosa che non mi riguarda, ma lo metterò nelle mie preghiere.
Questo è il frutto della vera adorazione di Dio: la carità verso tutti, perché il Dio che adoriamo e che si è manifestato Bambino, è perfetta Carità.