Anticorpi monoclonali e vaccini quasi inutili contro Omicron?

Anticorpi monoclonali e vaccini quasi inutili contro Omicron?

di Raffaele Cerbini*

FARMACI O VACCINI CREATI PER TRATTARE UN PATOGENO (VIRUS SARS-COV-2) DIFFICILMENTE PROTEGGONO DALL’AZIONE DI UN PATOGENO DIFFERENTE (LE VARIANTI)

Qui parliamo della variante Omicron del virus SARS-CoV-2 per informare correttamente su due cose molto importanti. La prima è che la variante Omicron è estremamente infettiva ed ha un meccanismo di elusione anticorpale per il quale gli attuali vaccini ed anche molti degli attuali anticorpi monoclonali risultano totalmente inutili al fine della protezione individuale.

La seconda consiste nel fatto che la variante Omicron causa una patologia molto meno grave rispetto al virus originale ed alle precedenti varianti e questo indipendentemente dallo status vaccinale.

La variante Omicron non è una variante nuova, in quanto esiste come la Delta già dalla metà del 2020, ma solo nel novembre 2021 è stata indicata come Variant Of Concern (VOC) da parte della Organizzazione Mondiale della Sanità. Il motivo per il quale ha ricevuto tale indicazione è proprio la particolarità di Omicron, con la presenza di 62 mutazioni sul suo genoma rispetto al ceppo originario di Wuhan. Undici delle quali finora raramente o mai osservate. 

Molte di queste mutazioni possono avere impatti sulla contagiosità, virulenza o resistenza all’immunità di questa variante. In termini di filogenetica, Omicron presenta una peculiarità che pone la questione delle modalità della sua comparsa. Due sono le ipotesi: o Omicron è nata ed è sopravvissuta in una popolazione isolata e poco testata, oppure si è evoluta molto gradualmente in uno o pochi pazienti affetti da una forma cronica, ad esempio un paziente immunocompromesso ma non abbastanza per essere gravemente ammalato, il che avrebbe consentito una identificazione anticipata. 

Nonostante la maggiore contagiosità la variante, di per sé, ha dimostrato di essere più benigna rispetto a quanto inizialmente immaginato, probabilmente per la maggiore invasività a livello delle alte vie respiratore e per una minore capacità di invadere e danneggiare le basse vie respiratore, che poi è il motivo per il quale il virus SARS CoV2 ha causato così tanti morti a livello globale. Sono queste le osservazioni che hanno portato a concludere, da più parti, che i sintomi sono più leggeri, indipendentemente dallo status vaccinale dei soggetti infetti. 

Certo, anche la variante Omicron può diventare pericolosa in alcuni soggetti con patologie concomitanti e anche in questo caso indipendentemente dallo status vaccinale, ma la frequenza con la quale questo accade è di gran lunga inferiore alle precedenti varianti.

Le stesse mutazioni conferiscono ad Omicron un grado di resistenza potenziale sia alla immunità innata, sia a quella acquisita e questo è un concetto molto importante da comprendere. Il nostro organismo si difende mediante diverse molecole – ad esempio gli interferoni – e la variante Omicron può resistere meglio alla produzione delle stesse, alterando la capacità delle cellule bersaglio di degradare i componenti virali. Questo meccanismo vale per tutte le immunità. In maniera ancora più importante dal punto di vista di protezione immunitaria, va ricordato che il nostro organismo produce una moltitudine di anticorpi in grado di neutralizzare il virus SARS-CoV-2 dopo essere venuto a contatto con lo stesso, ma la maggior parte di quelli clinicamente importanti rientrano in quattro categorie, ciascuna delle quali ha come bersaglio un sito leggermente diverso sulla proteina Spike. È quindi fondamentale ricordare che gli anticorpi neutralizzanti non prendono di mira solo la proteina Spike, e che gli attori dell’immunità cellulare riconoscono anche molti epitopi della proteina Spike ed è quindi improbabile che Omicron sfugga completamente alle risposte immunitarie di tipo innato. 

In termini di resistenza agli anticorpi monoclonali ed ai vaccini in commercio sono stati pubblicate molte evidenze che hanno dimostrato, senza ombra di dubbio, che le mutazioni presenti in Omicron hanno un forte impatto sulla sensibilità di questa variante alle terapie attuali. Qui va ben capito un concetto piuttosto semplice: tanto più un farmaco o un vaccino è specifico per trattare una determinata patologia, tanto meno lo stesso identico farmaco o vaccino sarà in grado di trattare un patogeno differente dal suo target originale. 

Per spiegarlo in maniera banale, la terapia tramite anticorpi e l’immunità conferita dai vaccini colpiscono il centro del bersaglio con precisione estrema, proprio perché le sequenze create in laboratorio sono estremamente specifiche, ma se il bersaglio si muove e/o cambia di conformazione, la stessa freccia scoccata dal miglior Robin Hood avrà molta più difficoltà a colpire il centro del bersaglio, fino ad arrivare ad un punto per il quale la freccia sarà destinata a mancarlo del tutto. Ecco, questo è il concetto della elusione immunitaria (immunity evading), ed è un concetto totalmente diverso dalla riduzione, nel corso del tempo, della risposta immunitaria (immunity waning) per cui la protezione vaccinale si riduce una volta trascorsi soli tre mesi dalla vaccinazione stessa.

La rivista scientifica Nature ha pubblicato lo scorso 23 dicembre un numero riassuntivo della gran parte delle evidenze che dimostrano la enorme capacità elusiva di Omicron ed i titoli sono paradigmatici: “Omicron sfugge alla maggior parte degli anticorpi neutralizzanti SARS-CoV-2 esistenti”, “Evoluzione dell’evasione immunitaria innata potenziata da SARS-CoV-2”, “Omicron scavalca i principali trattamenti anticorpali COVID nei primi test”, “Importante evasione immunitaria di SARS-CoV-2 Omicron nei confronti della neutralizzazione anticorpale”, “Omicron sfugge ampiamente ma in modo incompleto alla neutralizzazione di Pfizer BNT162b2”, “Notevole evasione anticorpale manifestata dalla variante Omicron di SARS-CoV-2”.

In breve, la variante Omicron è associata a meccanismi di elusione immunitaria mai visti fino ad ora e di questo non si può non tenere conto, soprattutto nell’utilizzo di qualsiasi strumento farmaceutico. Da questi articoli e da molti altri emerge che la variante Omicron costituisce una seria minaccia – direi ormai una certezza – nei confronti dell’efficacia degli attuali vaccini e pertanto diventa necessario e fondamentale aggiornare le armi a nostra disposizione, dal momento che con la variante Omicron i vaccini sono ormai pressoché inutili.

Al tempo stesso l’esperienza della diffusione della Omicron in Sudafrica ha mostrato come la variante Omicron non abbia causato una patologia altrettanto grave rispetto a quella causata dalle precedenti varianti, nonostante una bassissima prevalenza di vaccinazioni, visto che solamente un quarto della popolazione era vaccinata in tale paese. Parimenti le speranze iniziali che le dosi booster vaccinali potessero bloccare la trasmissione della variante Omicron sono state totalmente soppiantate dalle evidenze Israeliane, Statunitensi, Britanniche e Danesi.

Ricordiamo innanzitutto ancora una volta che gli articoli pubblicati dalla rivista scientifica The New England Journal of Medicine (NEJM) lo scorso 8 dicembre hanno dimostrato un aumento anticorpale ed una protezione del booster nei confronti della variante Delta nei pazienti al di sopra dei 60 anni, ma la stessa dose booster si è dimostrata inutile per poter affermare qualsiasi effetto aggiuntivo di protezione per malattia grave da variante delta nei soggetti al di sotto dei 40 anni. Inoltre, proprio due giorni fa sempre da Israele sono pervenuti dati allarmanti di perdita di efficacia estremamente rapida della dose booster: da un fattore protettivo di 2,7 (rispetto ai non vaccinati) nel primo mese, questo effetto è crollato a 1,3 nel secondo mese ed è diventato insignificante a partire dal terzo mese in poi, suggerendo pertanto una scomparsa ancor più rapida della efficacia del booster nel ridurre l’infettività virale. Per questo motivo Israele sta valutando con estremo scetticismo una eventuale ulteriore dose dell’attuale vaccino.

Il 29 Dicembre scorso, sempre nel NEJM, sono state pubblicate un paio di corrispondenze che hanno dimostrato solo un blando e quasi trascurabile effetto protettivo della terza dose del vaccino Pfizer nei confronti della Omicron mentre dati clinici pubblicati per la coorte di pazienti danesi hanno mostrato solo il 54% efficacia a distanza di 30 giorni dal booster, il che fa presupporre che l’immunità svanisca del tutto in tempi brevissimi.

Questa comunicazione corretta, trasparente ed oggettiva di tutto quanto viene pubblicato in letteratura scientifica contrasta con quanto affermato dalla politica italiana, che si è ormai arrogata il diritto di scavalcare la medicina basata sulle evidenze. Se solo il Comitato tecnico scientifico leggesse gli articoli qui citati forse non saremmo ostaggio di provvedimenti politici assurdi ed immotivati.

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* Laureato nel 1996 si è specializzato nel 2002 in Medicina Interna e Medicina d’Urgenza. Dal 2005 fa parte del mondo farmaceutico dove ha ricoperto varie posizioni con crescenti responsabilità e occupandosi da vicino di ricerca clinica in vari settori, per poi concentrare l’attività nelle terapie innovative a partire dal 2013, inclusa la terapia genica e la terapia somatica cellulare. 

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