Non è ancora finita una emergenza che già se ne prepara un’altra

Non è ancora finita una emergenza che già se ne prepara un’altra

TIRANO FUORI GRETA DALLA NAFTALINA PER ALIMENTARE UNA NUOVA PAURA, QUELLA PER IL CLIMA: LA NUOVA VIA VERSO IL SOCIALISMO

A cura di Pietro Licciardi

 

Adesso che l’emergenza Covid si avvia al termine, nell’impossibilità costituzionale di prorogarne i termini, ecco che se ne annuncia un’altra e per farlo si è pensato bene di tirare fuori dalla naftalina in cui erano stati seppelliti in questi due anni, Greta Thumberg e i suoi seguaci gretini. Ovviamente senza che nessuno abbia da ridire sul fatto che se una persona di cultura e buona informazione manifesta qualche fondato dubbio sulla attendibilità di taluni “scienziati” in materia di vaccini viene fatto passare per complottista, visionario e un po’ suonato, mentre se una ragazzina ignorante e totalmente incompetente sproloquia su questioni assai complesse e controverse come il clima non solo viene ascoltata ma addirittura viene ricevuta da capi di governo e di stato.

Misteri dell’odierno mondo alla rovescia

Eppure poche cose come le questioni climatiche ci dimostrano quanto la scienza sia affatto depositaria di verità incontrovertibili e intangibili e come anch’essa sia sensibile alle sirene della corruzione morale, politica ed economica.

Già nel 1993 dalla prestigiosa tribuna dei seminari sulle emergenze planetarie di Erice, in provincia di Trapani, mentre a Ginevra si stava discutendo come attuare la convenzione di Rio sul clima che sollecitava i paesi industrializzati a ridurre le emissioni di CO2,il professor Richard Lindzen – professore in fisica dell’atmosfera presso il prestigioso Mit, l’istituto di tecnologia del Massachusetts – diceva senza mezzi termini che l’effetto serra era tutta una montatura dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) creata con dati di partenza arbitrari, calcoli sbagliati, conclusioni esagerate. Il motivo? Secondo il fisico del Mit chi ha soffiato sul fuoco dell’effetto serra lo ha fatto per avere finanziate le proprie ricerche climatologiche, un settore che prima dello spauracchio dell’anidride carbonica, riscuoteva scarso interesse da parte del management scientifico.

In tempi più recenti, nell’estate 2019,i professori Uberto Crescenti, Giuliano Panza, Alberto Prestininzi, Franco Prodi, Franco Battaglia, Mario Giaccio, Enrico Miccadei, Nicola Scafetta si sono fatti promotori di una petizione inviata al Presidente della Repubblica chiedendo l’adozione di misure di protezione dell’ambiente coerenti con le conoscenze scientifiche, evitando di aderire a politiche di riduzione acritica della immissione di anidride carbonica in atmosfera. In buona sostanza, chiedeva la petizione, adottiamo pure misure ecosostenibili e ”verdi”, ma senza scadere nel catastrofismo gretino poiché la tesi del “riscaldamento globale antropico” – ovvero causato dalle attività umane – promossa dall’IPCC delle Nazione Unite è solo «solo una congettura non dimostrata, ma dedotta da alcuni modelli climatici che sono complessi programmi al computer chiamati General Circulation Models» mentre al contrario, la letteratura scientifica ha messo sempre più in evidenza l’esistenza di una variabilità climatica naturale che questi stessi modelli non sono in grado di riprodurre ma che spiega una parte consistente del riscaldamento globale osservato nell’ultimo secolo.

Come ha osservato il professor Franco Battaglia, uno dei promotori, «Gli interessi dietro la favola dell’emergenza climatica sono enormi. Abbiamo sfidato i nostri detrattori a un confronto pubblico ma si sono rifiutati».

Nel giugno 2020 Michael Shellenberger per vent’anni attivista di sinistra per il clima e ambientalista per trenta ha pubblicato un articolo censurato da Forbes, ripubblicato dall’autore su environmentalprogress.org dopo l’oscuramento e proposto in italiano da Scenari economici per chiedere scusa per l’allarmismo diffuso a piene mani dichiarando che: «Il cambiamento climatico sta avvenendo, ma non è la fine del mondo e non è nemmeno il nostro problema ambientale più grave».

Shellenberger ha confessato di essere stato un allarmista, come qualsiasi altro ambientalista, definendo il cambiamento climatico una minaccia “esistenziale” per la civiltà umana e una “crisi”. Fino a quando ha cominciato a rendersi conto della violenza con la quale era condotta la campagna sui supposti pericoli del global warming. All’inizio ha taciuto per paura: paura di perdere amici e finanziamenti, specialmente dopo aver sperimentato le conseguenze quelle poche volte che ha avuto il coraggio di difendere la scienza del clima da coloro che la travisano o aver assistito a come i media hanno cercato di distruggere la reputazione e la carriera di uno scienziato eccezionale, un brav’uomo e amico, come Roger Pielke, Jr., un democratico e ambientalista progressista di lunga data che ha testimoniato a favore delle norme sul carbonio dopo che le sue ricerche hanno dimostrato che i disastri naturali non stanno peggiorando.

Il mea culpa di Michael Shellenberger è tutto nel suo libro, Apocalypse Never, in cui negli ultimi tre capitoli spiega le motivazioni finanziarie, politiche e ideologiche dei catastrofisti del clima. I gruppi ambientalisti – secondo il nostro ecologista pentito – hanno accettato centinaia di milioni di dollari dagli interessi dei combustibili fossili. Gruppi motivati da convinzioni anti-umaniste hanno costretto la Banca Mondiale a smettere di cercare di porre fine alla povertà e a rendere invece la povertà “sostenibile”. E lo stato d’ansia, la depressione e l’ostilità verso la civiltà moderna sono alla base di gran parte dell’allarmismo.

Shellemberg non è una voce che grida nel deserto. Nel 2019 un fatto è passato a molti inosservato: la lettera che ben cinquecento scienziati di tutto il mondo hanno indirizzato al segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, contro l’allarmismo climatico. Lanciata da Guus Berkhout, geofisico e professore emerito presso l’Università dell’Aja. L’iniziativa è stata il risultato di una collaborazione tra scienziati e associazioni di tredici Paesi. Questa “Dichiarazione europea sul clima” – la cui traduzione è stata pubblicata dal quotidiano telematico Atlantico – ha lo scopo di far sapere che non c’è urgenza né crisi irrimediabile. Per i cinquecento «è crudele e imprudente sostenere la perdita di trilioni di dollari sulla base dei risultati di modelli così imperfetti. Le attuali politiche climatiche indeboliscono inutilmente il sistema economico, mettendo a rischio la vita nei Paesi a cui è negato l’accesso all’elettricità permanente a basso costo. Vi invitiamo a seguire una politica climatica basata su solida scienza, realismo economico e reale attenzione a coloro che sono colpiti da costose e inutili politiche di mitigazione».

Altra ”confessione” interessante quella di Steven Koonin, fisico, membro della national Academy of Sciences, professore della New York University dove ha fondato e dirige il Center for Urban Science and Progress, già provost del California institute of Technology (Caltech), in passato anche chief scientist del colosso petrolifero Bp nell’ambito delle rinnovabili, soprattutto ex sottosegretario per la Scienza al dipartimento dell’Energia dell’amministrazione Obama i cui articoli sono pubblicati senza problemi sul Wall Street Journal e New York Time se perciò tutt’altro che un negazionista. Per Koonin la scienza sulle questioni climatiche è molto meno unanime di quanto sostengano politici, media e tanti addetti ai lavori e per dimostrarlo utilizza solo ed esclusivamente i report ufficiali delle massime istituzioni, soprattutto governo americano e IPCC, oltre a ricerche di indiscutibile autorevolezza. Tutti documenti che – al netto delle sintesi per giornalisti e politici, spesso furbescamente studiate per assecondare la narrazione allarmista – contengono, magari seppellite tra centinaia di pagine illeggibili, moltissime esplicite ammissioni di ignoranza, incomprensione o disaccordo sull’interpretazione dei dati.

L’elenco di scienziati critici su tanto allarmismo climatico e militanti ambientalisti “pentiti” potrebbe continuare a lungo includendo anche dei premi Nobel, come Il professor Ivar Giaever autore assieme ad altri quattrocento colleghi scienziati – poi saliti a mille – di un documento di denuncia del «mito del riscaldamento globale»

Purtroppo sempre più gretini continuano a prestare fede alle strumentalizzazioni e alle esagerazioni, complice ormai il fatto che dietro agli allarmi non ci sono più solo centri di ricerca e università a caccia di finanziamenti ma corazzate della finanza globale che hanno fiutato la possibilità di enormi profitti sull’onda della paura climatica.

Proprio alla vigilia del vertice di Madrid COP25 del 2019, sul sito canadese Global Research è stata postata un’inchiesta dell’analista geopolitico William Engdhal, americano e autore di best seller sulle guerre del petrolio, il quale citando nomi e fatti precisi, sostiene una tesi clamorosa: la grande finanza mondiale, alleata per l’occasione con l’Onu e l’Unione europea, si starebbe servendo in modo cinico di Greta Thunberg come icona mediatica per creare allarmismo sul riscaldamento climatico provocato dall’uomo – che secondo Engdhal è una fesseria – e innescare di conseguenza il business più redditizio dei prossimi decenni, il cosiddetto Green new deal, la rivoluzione dell’economia verde. Il tutto con un piano di investimenti di oltre 100 trilioni di dollari, da raccogliere con massicce emissioni di obbligazioni speculative. Fondi da riversare, mediante il credito, sulle nuove imprese climatiche, anche a prescindere dal loro effettivo valore e know-how. Ovviamente, a scapito dei settori dell’economia «colpevoli» di inquinare, e con duri sacrifici per milioni di lavoratori e consumatori, ma enormi profitti per gli istituti finanziari che hanno sposato questo business.

Complottismo? Niente affatto poichè è stato lo stesso Klaus Schwab, direttore del World Economic Forum ad annunciare nel maggio 2020 un Great Reset per ricostruire l’economia in modo sostenibile dopo la pandemia Covid-19basato su metriche ambientali, sociali e di governance che comprenderebbero progetti di infrastrutture pubbliche più verdi. Il tutto con l’entusiastico appoggio della politica. Perché se si riesce a convincere la gente che la CO2 surriscalderà il pianeta e il suo livello deve essere regolamentato in maniera rigorosa, è possibile controllare ogni aspetto dell’esistenza umana: tutti gli aspetti della produzione di energia, dell’edilizia commerciale e residenziale sino a tutti i fattori che riguardano l’industria del trasporto e la fabbricazione di veicoli. Si può stabilire la temperatura esatta cui le persone debbano sottostare nelle proprie case; di quanti chilometri queste possano spostarsi per raggiungere il proprio luogo di lavoro; si può decretare le regole cui attenersi per effettuare un viaggio d’affari o un viaggio turistico, e via elencando. Insomma, l’asserita necessità di monitorare in maniera ferrea il livello di anidride carbonica nell’aria è la chiave di volta che spalanca la porta al controllo centralizzato dello Stato di ogni aspetto della vita economica e sociale. Un nuovo e perfetto socialismo.

E ora riflettiamo sul perché i signori Draghi e Mattarella, l’uno galoppino della Ue e l’altro della sinistra nostrana, che nel suo dna ha sempre avuto un gene totalitario, stanno già pensando ad una nuova emergenza. Questa volta climatica.

 

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