“U Fistinu” di Santa Rosalia, la più grande festa barocca siciliana e non solo…
INNUMEREVOLI EX-VOTO IN ORO ED ARGENTO ED ALTRI DONI CONTORNANO LA SPLENDIDA STATUA, CHE NEL SILENZIO SOVRANNATURALE DELLA GROTTA, SI OFFRE ALLA CONTEMPLAZIONE DI TURISTI E DEVOTI
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Di Diego Torre
Quando il successo e la gloria arridevano al regno normanno di Sicilia ed il suo splendido sovrano, Ruggero II, ne costellava il territorio con le meravigliose chiese arabo-normanne, il Cielo si compiacque di beneficare, ancora una volta, il popolo siciliano, inviandogli un dono straordinario.
Una coppia brillava alla corte normanna, il valoroso conte Sinibaldo Sinibaldi, discendente di Carlo Magno e Maria Guiscarda, cugina del re. Il matrimonio fu allietato dalla nascita di una bimba intorno all’anno 1128, che venne al mondo… profumando di rose e gigli. Per tale ragione ritennero di chiamarla rosae-lilia, ovvero Rosalia. La vita della giovinetta si svolse nella casa paterna dove ebbe un’educazione adeguata al suo lignaggio, alla sua intelligenza ed alla sua eccezionale bellezza.
A 16 anni venne chiamata a corte quale dama della regina madre e in seguito di Margherita di Navarra, moglie di Guglielmo I, e quindi promessa in sposa al giovane Baldovino. Ma tali prospettive non soddisfacevano le aspirazioni più profonde della giovane normanna. Pare che rimirando allo specchio la sua bellezza, le apparisse Gesù crocifisso che mostrandole le piaghe, le ricordò che ben altro Egli si aspettava da lei, ovvero l’offerta della sua vita in difesa del regno siciliano dalle insidie diaboliche. E fu così che una notte Rosalia fuggì di casa e superando una natura impervia ed ostile si recò in un feudo paterno nell’attuale provincia di Agrigento, dove vivrà per dodici anni.
E’ la grotta della Quisquinia (dall’arabo coshin = oscuro), antro tenebroso e selvaggio, dove ella iniziò a vivere morta a sé stessa ed al mondo, nella preghiera e nella penitenza. In seguito il regno conobbe un tempo turbolento di guerre intestine, ma infine ritrovò la pace. La regina Margherita, reggente in luogo del figlio pargoletto, Guglielmo II, attribuì tale esito a Rosalia e pregò Dio che la restituisse alla città . Due angeli allora si presentarono alla nostra santa e disposero che essa abbandonasse quel luogo, veramente aspro e terribile, per tornare a Palermo. Dopo diverse tappe intermedie, la nostra fissò infine la sua dimora in una spelonca del Montepellegrino, che domina la città, dove visse santamente il resto della sua breve vita, continuando a vegliare sulla città e sul regno. Poco dopo la sua morte, il 4 settembre del 1160, l’arcivescovo Gualtiero Offamilio (Walter of the Mill) la canonizzò e il suo culto è testimoniato anche in atti amministrativi risalenti all’imperatrice Costanza, a suo figlio Federico II di Svevia ed a papa Celestino III.
Il tempo depose la sua patina di polvere sulla memoria di Rosalia finché non giunse una terribile peste nell’anno 1624 che decimò gli abitanti della città. Il ricorso alle sante protettici della città, Ninfa, Agata, Lucia, Cristina, non aveva dato gli esiti sperati. Fra tanta desolazione la Santuzza apparve ad un uomo che aveva appena perduto la giovane moglie e promettendo di ricongiungerlo a lei in Paradiso al quarto giorno, chiese che le sue ossa (di cui confermava l’autenticità), appena prodigiosamente ritrovate nella grotta in cui visse, fossero portate in processione per la città. E così fu. Il giovane vedovo, in punto di morte, 4 giorni dopo, confermò tutto ciò, con deposizione giurata dinnanzi a 3 sacerdoti. I resti della Santuzza vennero trovati nella grotta del Pellegrino il 15 luglio 1624. Il Cardinale Giannettino Doria, arcivescovo di Palermo e vicere di Sicilia, a conclusione dei lavori di due commissioni esaminatrici, li dichiarò autentici, li fece collocare in un’urna d’argento e portare in processione per le vie di Palermo, chiedendo e ottenendo la liberazione della peste. Dal 20 maggio 1625 le ossa si trovano in una cappella della Cattedrale cittadina. Rimane nel Pellegrino la grotta, divenuta santuario, dove, tra le mura stillanti acque, si celebra il Sacrificio della Messa dinnanzi ad una splendida statua di marmo, scolpita da Gregorio Tedeschi nel 1625 e rivestita in lamina dorata nel 1735, dono del re Carlo III di Borbone. Goethe, che visitò la grotta nel 1787, così scrive: “… scorsi alla luce serena di alcune lampade una bella figura di donna, giacente come in estasi, il capo alquanto piegato dal lato della mano destra, le dita adorne di molti anelli: io non mi stancavo di contemplare quella immagine così spendente a me in tutta la sua vaghezza. …si sarebbe creduto quella figura alitare e muoversi”.
Innumerevoli ex-voto in oro ed argento ed altri doni contornano la splendida statua, che nel silenzio sovrannaturale della grotta, si offre alla contemplazione di turisti e devoti. Lungo un’ardua salita, fra la pietra nuda ed i fichi d’india, ogni giorno, frotte di pellegrini salgono a piedi il monte in devoto viandaggio, spesso a piedi scalzi e compiendo l’ultimo tratto in ginocchio. Negli ultimi anni è numerosissima la presenza degli extracomunitari che praticano il pio esercizio.
L’evidenza del miracolo determinò il trionfo di Santa Rosalia nel cuore dei palermitani. La volontà di confermarsi protettrice della metropoli veniva dal Cielo e il popolo rispose adeguatamente con un “fistinu” di 9 giorni. Furono innalzati 5 mastodontici archi di trionfo, di cui uno, quello del senato, poggiava “su 48 ordini di colonne, sormontato da 36 statue: tutto addobbato con sfarzosi panneggiamenti, intessuti di oro e di argento. … 33 altari con trofei e ricchi vasi d’argento furono disposti lungo il percorso … un coro di 200 vergini cantò il trionfo di quell’arca, che fu tutta rivestita di arazzi e damaschi preziosi nella “macchina” che la sorreggeva. Fuochi, ceri, fiaccole e luminarie da non finire. La spesa complessiva venne ricordata in 100.000 scudi d’oro: una somma favolosa per quei tempi. L’arca fu portata in trionfo il 7 giugno 1625 che fu preceduto da una novena di preghiere e di esercitazioni religiose, e da una vigilia di rigoroso digiuno” (La Santuzza, P. Domenico Sparacio, 1925).
Il popolo accorse devoto e massiccio, fiero di essere rappresentato in tutte le sue categorie, nonostante la decimazione e la povertà. Va particolarmente notato che ciò avveniva in un mese caldo per Palermo e quindi favorevole alla diffusione del morbo e mentre esso scemava, ma non era del tutto sparito. Ma dal 15 luglio 1625, un anno esatto dopo il ritrovamento delle ossa, nessun palermitano muore più di peste.
Con questi precedenti, con questo spirito di ardente riconoscenza , nasce a Palermo il “Fistinu” di S. Rosalia, forse la più grande festa barocca che si celebri a tutt’oggi nel mondo.
Palermo si fa bella, spende, forse anche più di quanto può, pur di ricordare alla Santuzza i suoi obblighi di Patrona e la propria gratitudine a lei. Nel libretto “Per le feste in onore di di S.Rosalia”, scritto per disposizione del senato nel 1838, leggiamo: “Una tale contingenza annuale imprime alla città un movimento, che è causa di spese di lusso e di una consumazione, che sembrano superiori alle forze pubbliche e particolari. Ma infine l’affluenza di forestieri, il travaglio, il commercio, giovano ai mercadanti, agli operai ed al povero. Così tutto va a ritrovare il suo giusto equilibrio”.
Esso con infinite varianti si è celebrato annualmente (salvo gli inevitabili problemi sorti dopo l’invasione garibaldino-piemontese del 1860), nei giorni precedenti il 15 luglio, con varianti legate ai tempi ed ai gusti (impiego di cantastorie ciechi, corse di cavalli berberi, lotterie con premi, traino del carro da parte di 40 muli, etc). Esso è l’evento-simbolo, trionfo della città-felice, che di anno in anno deve divenire più magnifico. I festeggiamenti hanno un indirizzo culturale, teso solitamente a valorizzare la tradizione palermitana, religiosa e non. Il clou della spettacolarità è raggiunto la sera del 14 luglio. Lungo il Corso Vittorio Emanuele (un tempo via Toledo o Cassaro, antico asse centrale urbano), limitato dalle due porte barocche, la Nuova e la Felice, scorrono cortei e carri trionfali, danzatori, musici, attori, mimi, acrobati, animali, luci e suoni, con contorno di arazzi ed addobbi. A piazza Villena (i 4 canti) si ferma il carro con il simulacro di Rosalia. I 4 lati della piazza hanno ciascuno tre statue, poste gerarchicamente ad altezza diversa: con le 4 stagioni (ordine naturale), 4 re spagnoli (ordine politico), le 4 sante protettrici (ordine sovrannaturale) degli storici 4 mandamenti in cui era divisa la città. Le strade, che ivi si incrociano, congiungono i 4 lati della piazza con grandi archi effimeri e luminarie. E’ il momento in cui il sindaco, sale sul carro e lancia il grido che sintetizza il senso del fistinu: “Viva Palermo e Viva Santa Rosalia!”, a conferma di un rapporto che tanti palermitani sentono ancora essenziale per la propria vita.
Il corteo si conclude sul lungomare cittadino, dove una folla di centinaia di migliaia di persone si gode, verso la mezzanotte, uno straordinario gioco pirotecnico; il tutto allietato dal gioioso e generoso consumo di specialità eno-gastronomiche palermitane. Il giorno successivo vede la processione squisitamente religiosa, con l’urna contenente le ossa, fare lo stesso percorso ed è l’occasione dell’arcivescovo di Palermo per attualizzare l’esempio, il messaggio e la mediazione della Santuzza.
E’ infatti facile comprendere come gli “errori volutamente diffusi, i vizi deliberatamente alimentati, i peccati le ingiustizie, e le violenze…sono come il dilagare di una spaventosa peste che deturpa e distrugge non solo i corpi, ma corrode la coscienza dei singoli e dell’intera società” (preghiera del Card. Pappalardo, 1995). Rosalia può esserne l’antidoto, la medicina mistica.
L’anima dei palermitani brucia ancora d’amore per la Santuzza. Il suo corpo riposa nel cuore della città, la chiesa-cattedrale. Il suo santuario domina ed avvolge quasi tutta la Conca d’Oro dall’alto del monte: è l’abbraccio amorevole di una donna che coniugò fierezza, bellezza, purezza e totale consacrazione a Dio, a protezione del suo popolo.