Come restaurare l’ordine sociale?
LA FEDE DEVE TORNARE A FARSI CULTURA. UN COMPITO CHE, DOPO IL TRADIMENTO DI UN GRAN NUMERO DI CHIERICI, SPETTA ORMAI AI LAICI
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A cura di Pietro Licciardi
Il mandato che Gesù ha lasciato agli Apostoli, e quindi a tutti noi, è stato molto chiaro: «Andate in tutto il mondo, insegnate a tutti i popoli», il che implica l’utilizzo di tutti i mezzi in grado di far penetrare nelle anime la verità, similmente a quanto fanno quotidianamente i nemici di Cristo e della religione, che per accattivarsi i cuori e le menti usano opere e strumenti di tutti in generi: partiti, sindacati, associazioni, televisione, cinema, musica, scuole, università e perfino seminari e facoltà teologiche.
In passato erano i sacerdoti e i vescovi, che facendo proprio il magistero pontificio e la dottrina, anche sociale, della Chiesa diffondevano per primi nel popolo i principi della Salvezza spirituale e materiale ma molto spesso non sono stati ascoltati. Figuriamoci oggi in cui loro per primi mettono in dubbio la capacità del Vangelo di governare rettamente e sanamente le moderne società, di cui pochissimi osano ancora denunciarne e contestarne gli errori, preferendo uno sterile quanto inutile “dialogo”.
Di fronte alla complice arrendevolezza di buona parte del clero è sempre più chiaro che oggi sono i laici. chiamati da un urgente bisogno di carità, a dover ricominciare l’opera di educazione e informazione delle genti – ormai tornate ad un paganesimo pratico, lontanissimo dai valori evangelici e cristiani – e di edificazione di ambiti di vita e lavoro umani. A questo proposito non possiamo fare a meno di ricordare una frase dell’arcivescovo Fulton J. Sheen, morto in odore di santità: «Chi salverà la Chiesa? Non pensate ai sacerdoti, non pensate ai vescovi e ai religiosi. Sta a voi, laici. Sta a voi ricordare ai sacerdoti di essere sacerdoti, ai vescovi di essere vescovi e ai religiosi di essere religiosi».
Già Leone XIII aveva indicato l’utilità dell’azione dei laici nell’enciclica del 1890 Sapientiae Christianae: «La cooperazione privata è stata ritenuta dai Padri del Concilio Vaticano talmente opportuna e proficua, che non hanno esitato a reclamarla”. “Tutti i fedeli, diciamo, soprattutto quelli che insegnano e presidiano, li preghiamo, per il cuore di Gesù Cristo e noi li comandiamo, in virtù dell’autorità di quello stesso Dio Salvatore, di unire il loro zelo e i loro sforzi per allontanare questi orrori ed eliminarli dalla Santa Chiesa ” (Costituzione dogmatica Dei Filius, sub. fine). Così che ognuno si ricordi che può e deve diffondere la fede cattolica con l’autorità dell’esempio, e predicare attraverso la professione pubblica e costante degli obblighi che essa impone. Così, nei doveri che ci legano a Dio e alla Chiesa, ridaremo grande spazio allo zelo con cui ognuno deve lavorare, per quanto possibile, a diffondere la fede cristiana e a respingere gli errori».
Concetto ripreso anche da Pio XI che nell’Enciclica Ubi Arcano in Dei, dopo aver fatto appello a tutte le Opere, scrive ai Vescovi: «Ricordate, inoltre, all’attenzione dei fedeli, che coloro che lavorano nelle opere d’apostolato pubblico e privato, sotto la vostra direzione e quella dei vostri sacerdoti, col fine di sviluppare la conoscenza di Gesù Cristo e di far regnare il Suo amore, meriteranno il titolo magnifico di stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo redento, è unendosi strettamente a noi e al Cristo per estendere e rafforzare con il loro zelo operoso e attivo durante il regno di Cristo, che lavoreranno con più efficacia a ristabilire la pace generale tra gli uomini».
I Papi non hanno potuto spiegare meglio la dottrina, o affermare la loro volontà più energicamente. Del resto anche il Concilio Vaticano II ha richiamato l’importanza di un maggiore coinvolgimento dei laici.
Innanzitutto occorre oggi una riforma degli spiriti, resi infetti dalle ideologie mondane penetrate abbondantemente anche nel corpo della Chiesa, recuperando le nozioni fondamentali della reale esistenza della verità, i suoi diritti e quelli della ingiustizia dell’errore; il che significa ingaggiare una durissima lotta contro i moderni dogmi, accettati da quegli stessi cattolici, che hanno stabilito, praticamente, come ogni opinione abbia il diritto di esistere, cancellando oltre un secolo di magistero che della modernità aveva individuato con impareggiabile e infallibile acume limiti pericoli e derive, a cominciare da quel Sillabo sbeffeggiato per decenni dalla stessa chiesa “progressista”.
Per far ciò occorre por mano ad una vasta opera culturale, oggi forse più necessaria delle opere di misericordia corporale. Anzi, essa stessa atto di grande carità, in quando suscettibile di ricondurre le persone alla ragione e quindi alla vera fede. Solo dopo questa opera di risanamento sarà possibile riportare anche la politica – intesa nel suo significato più ampio – a Dio.
È proprio perché abbiamo tollerato sedicenti cattolici dalla cultura avariata dal germe modernista, i quali hanno rifiutano di accettare l’intera dipendenza della politica allo sguardo di Dio, che siamo arrivati alla situazione attuale, in cui ogni vizio, iniquità e perfino l’omicidio hanno diritto di cittadinanza nei nostri ordinamenti giuridici e nella società.
E’ sempre più evidente che è finito il tempo in cui nel timore di offendere alcune convinzioni comuni era possibile ritirarsi. Oggi si deve combattere e per farlo è necessario, come avverti san Giovanni Paolo II che la fede diventi cultura.