Il significato della carità e il suo potere di trasformare e arricchire la nostra vita
IL MODO IN CUI PRATICHIAMO LA CARITÀ PUÒ ESSERE LA CHIAVE PER APRIRE STANZE CHIUSE DA TEMPO
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A cura di Angelica La Rosa
In “Give. L’arte di vivere con generosità” (Edizioni San Paolo 2021, pp. 272 euro 16) Magnus MacFarlane Barrow, fondatore dell’organizzazione umanitaria Mary’s Meals e autore di La straordinaria storia di Mary’s Meals citato nell’elenco dei libri più venduti del Sunday Times esplora, attraverso i numerosi, incredibili gesti caritativi a cui ha assistito nel mondo, il significato della carità e il suo potere di trasformare e arricchire la nostra vita.
La carità, se vissuta in pienezza, ci aiuta a conoscerci più a fondo. Scopriremo strada facendo che non sono solo i poveri ad averne bisogno, ma anche noi. In noi, infatti, potremo scoprire «zone di carestia» (bisogni di amore non soddisfatti) o «zone d’ombra» in cui non ci siamo mai avventurati. Il modo in cui pratichiamo la carità può essere la chiave per aprire stanze chiuse da tempo, dove sono conservati i nostri tesori più grandi, perle come la gioia, la pace interiore e un più profondo scopo della vita, che risplendono nell’oscurità.
Nato ad Aberdeen nel 1968, Magnus MacFarlane-Barrow, dopo una breve esperienza come allevatore di pesci, ha fondato la Scottish International Relief, organizzazione umanitaria divenuta poi Mary’s Meals. È sposato con Julie, una ex infermiera, con la quale vive a Dalmally, nella contea di Argyll, in Scozia, insieme a sette figli. Magnus, da fondatore e direttore di Mary’s Meals, si adopera per assicurare a bambini di 19 Paesi un pasto nella propria scuola. Oggi Mary’s Meals fornisce ogni giorno un pasto a quasi due milioni di bambini poveri di quattro continenti, favorendone la scolarizzazione.
A seguire un estratto dell’introduzione del testo a cura dell’autore.
È necessario acquisire una migliore consapevolezza collettiva e avere un sincero rispetto per i diversi tipi di carità. Una maggiore chiarezza al riguardo è una base essenziale da cui partire, ma non è sufficiente di per sé a ripristinare la fiducia verso il mondo della beneficenza. Perché il modo in cui compiamo le nostre opere di carità è importante quanto il risultato finale. Un’organizzazione che, pur avendo sviluppato un sistema di interventi estremamente mirato ed efficace, avesse perso la stima di coloro ai quali presta servizio, perderebbe di credibilità. Un ente benefico che avesse messo a punto sofisticati metodi di finanziamento, dimenticando però che le persone a cui si rivolge sono esseri umani in grado di amare, e non meri «bancomat» erogatori di soldi, non sarebbe degno del suo nome. E gli stessi enti caritativi, anche nell’eventualità in cui applicassero i migliori sistemi finanziari, sarebbero destinati a fallire qualora non ritenessero speciale e inestimabile ogni donazione ricevuta, a prescindere dalla sua consistenza.
La carità è amore. Quando lo dimentichiamo, sminuiamo tremendamente il valore della più nobile virtù umana. Quando lavoriamo bene, esaltiamo la carità e contribuiamo a consolidare nella coscienza della gente il grande valore di ogni persona umana. Possiamo aiutare chi dona e chi riceve a essere più umano, a condurre una vita più felice e ricca di significato. Possiamo creare spazi in cui diffondere fede, speranza e amore e, in tal modo, far sì che il risultato dei nostri sforzi travalichi la causa specifica di cui ci occupiamo e generi cambiamenti ancora più importanti nel mondo – magari impercettibili, ma determinanti. Quando però non gestiamo la carità in modo responsabile, soffochiamo lo spirito umanitario lasciando spazio al cinismo, all’egoismo e alla perdita della speranza; spingiamo le persone a pensare solo a se stesse anziché agli altri; arrechiamo un danno ben più grave dei nostri errori, contribuendo a peggiorare le condizioni di un mondo già in grande difficoltà.
Per molti anni, io e i miei collaboratori ci siamo chiesti quale fosse l’essenza della beneficenza e come esserne degni portavoce. Ogni volta, malgrado i nostri dubbi ed errori, siamo stati spinti a proseguire vedendo i tanti piccoli atti d’amore compiuti in favore della nostra missione. Questi gesti ci hanno spronato a provare ancora, fino a riuscirci; a rinnovare l’impegno per raggiungere il livello di carità richiesto dai nostri sostenitori; a ricordarci sempre che chi ha la fortuna di fare questo lavoro fa un servizio di amore – un amore donato e ricevuto.
Così, non smettiamo mai di porci domande, quali: come fare per gestire in modo responsabile le risorse che ci vengono affidate e per mantenere un rispetto profondo e sincero sia per chi aiutiamo sia per chi sostiene il nostro lavoro? Come definire la missione che perseguiamo, tenuto conto delle nostre specifiche responsabilità? Come costruire buoni rapporti con i governi e altri importanti soggetti interessati? I valori e gli approcci che hanno funzionato quando eravamo una piccola organizzazione sono ancora validi in questo tempo attuale, nel quale a contribuire alla nostra missione sono milioni di persone in Paesi molto diversi? Credo che solo trovando le risposte a tali interrogativi e cercando di metterle in pratica ogni giorno potremo diventare degni amministratori del compito che ci è stato affidato, quello di organizzare al meglio le attività caritative.
Il viaggio nel mondo della carità non è importante solo per chi, come noi, è impegnato a gestire un’organizzazione umanitaria; lo è anche per chiunque voglia migliorarsi come persona. Le forme che scegliamo per praticare la carità ci definiscono come individui. Il modo in cui la promoviamo e la incentiviamo forgerà il futuro della nostra società. Tuttavia, oggi più che mai, nonostante stia diventando una componente significativa della cultura occidentale, la carità viene messa in dubbio, fraintesa e talvolta ridicolizzata. Addirittura, si potrebbe dire che stia vivendo una crisi d’identità. Eppure, il nostro mondo, così tormentato, nel quale le voci più forti sono sovente le più egoistiche, farebbe bene ad ascoltare la voce silenziosa della carità, a imparare da essa e a onorarla – pur non essendo questo l’obiettivo perseguito dalla carità autentica.
Dedicandoci appieno alla carità impareremo a conoscere più a fondo anche noi stessi. Lungo il cammino, ci accorgeremo che ad averne bisogno siamo anche noi, non solo i poveri che vivono in Paesi lontani. In noi potremmo perfino trovare la «carestia» (una parte affamata di amore) o zone oscure in cui non ci siamo mai avventurati. Questi «viaggi nella carità» potrebbero condurci ben oltre le donazioni che riceviamo regolarmente ogni mese (che sono comunque di grande aiuto!), a cui pensiamo di rado, o le corse di beneficenza a cui partecipiamo con gli amici (utilissime anche queste!) solo per divertimento, e chiederci di intraprendere anche attività che comportano rischi e disagi. Il nostro rapporto con la carità può essere la chiave che ci permette di aprire stanze che avevamo chiuso, al cui interno ci attendono i nostri più grandi tesori, perle come la gioia, la pace, la sensazione di avere uno scopo, un significato, che brillano nell’oscurità.
Ma questi viaggi possono essere impegnativi. Le mappe non si trovano facilmente e il terreno impervio potrebbe indurci a tornare alla comodità delle nostre case. Sarebbe una tragedia, soprattutto perché ci precluderemmo una gioia incredibile, quella apportata da chi persevera nella carità, una gioia in grado di trasformare la nostra vita. Le persone più felici che ho conosciuto erano anche le più caritatevoli. Sono certo che saranno anche coloro che riusciranno a influenzare il nostro mondo e il suo futuro, anche se potrebbe non essere così evidente nell’immediato. Da quanto ho visto finora lungo il mio cammino, non ho dubbi: l’effetto di ogni buona azione, seppur piccola in apparenza, arriva anche in luoghi lontani e si tramanda di generazione in generazione, provocando una gioia mai provata nella vita di persone pur lontanissime da noi.
Mi sono innamorato del volontariato fin dai primi giorni in cui cercavo di aiutare la gente in Bosnia. Ne sono rimasto affascinato. Ero talmente colpito da chi lo praticava da desiderare di diventare una persona migliore. Da quel momento percorro ogni giorno questa strada e, per la verità, mi chiedo se mi sia mai anche solo avvicinato al mio obiettivo. Nonostante tutti gli anni trascorsi in questa scuola di carità, così privilegiata, mi sento ancora un principiante quando si tratta di metterla in pratica. È un aspetto, questo, che ad alcuni risulta più facile, e che di sicuro non rientra nei miei talenti principali. Però persisto: sono convinto che Dio ama chi si sforza di provarci e che fare del bene sia alla portata di tutti, non solo di coloro che hanno personalità accattivanti, che svolgono determinate professioni, che hanno risposto a vocazioni speciali o ricevuto un’istruzione particolare, o che professano un certo credo.
L’attività di Mary’s Meals, che si è diffusa in tutto il mondo in un modo che non avrei mai potuto programmare né tanto meno immaginare, è alimentata dalla carità, da una miriade di piccoli atti d’amore. Avendo assistito a una infinità di questi gesti, penso di avere imparato a riconoscere la vera carità, sebbene essa si manifesti diversamente a seconda delle culture e dei contesti. Ricchi, poveri, rockstar, bambini, anziani: tutti siamo capaci di compiere atti di carità belli e sorprendenti, in grado di cambiare in meglio sia noi che il mondo in cui viviamo.
Mi permetto di scrivere questo libro non perché sono uno studente modello o un professionista esperto, ma perché nel corso del mio lungo cammino ho stretto amicizia con molte persone che lo sono davvero. Visitando luoghi lontani colpiti da carestie, presenziando a riunioni di scuole locali, partecipando alle operazioni di soccorso post-terremoto, ascoltando omelie impegnative, di fronte alla fame dei bambini e agli eccessi degli adulti, ho assistito ad atti di estrema generosità compiuti da persone profondamente caritatevoli che mi hanno permesso di mettermi in discussione e rinnovato in me il desiderio di comprenderne meglio il significato. Sono giunto alla conclusione che ovunque vediamo atti di autentica carità, vediamo Dio.
Ogni volta che la carità viene travisata o sminuita, per me è come se venisse fatto lo stesso a mia madre, che intanto continua a impastare in silenzio il pane, desiderando di condividerlo con tutti. La carità, infatti, è un dono troppo prezioso per lasciare che venga screditato e umiliato, senza possibilità di difesa. È un bene indispensabile nella nostra vita, improntata a ricercare la pienezza della dimensione umana. È troppo bello e diverso per essere confuso con ciò che non lo è, e di certo troppo nobile per permettere alla cattiveria di insinuarsi sfruttandone il nome. Ed è proprio questo il motivo per cui, pur non avendo una risposta per tutte le domande, ho deciso di scrivere questo libro.