Giulia Bovassi: “i ragazzi hanno bisogno di conoscere (bio)etica, metafisica, teologia morale”
OCCORRE OFFRIRE AGLI UNIVERSITARI (CHE SARANNO I FUTURI DOCENTI ED EDUCATORI) UNA FORMAZIONE UNIVERSITARIA SPECIFICATAMENTE BIOETICA (NON SOLO RARI CORSI DI QUALCHE ORA SPARSI QUI E LÀ) E, IN PARTICOLARE, DI BIOETICA PERSONALISTA
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Di Maria Luisa Donatiello
“Se c’è una cosa che oggigiorno mette in crisi i giovani è la costrizione generata dall’aut-aut, poiché comporta una responsabilità e delle rinunce. Inoltre, scetticismo e relativismo alimentano la malsana concezione che l’etica non sia altro che emotività”. A dirlo ad Informazione Cattolica è la bioeticista Giulia Bovassi.
Classe 1991, studi filosofici presso l’Università degli Studi di Padova, licenza in Bioetica e perfezionamento in “Neurobioetica e Transumanesimo” presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA), la professoressa Bovassi è una giovanissima ed apprezzata bioeticista. Dopo un master in Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale conseguito presso l’Università Europea di Roma e l’APRA, attualmente Giulia Bovassi è research scholar della Cattedra Unesco in “Bioetica e Diritti Umani”. Nonostante la giovane età la dottoressa Bovassi ha all’attivo diverse pubblicazioni accademiche e anche alcune opere di saggistica. Dopo “L’eco della solidità. La nostalgia del richiamo tra antropologia liquida e postumanesimo”, ha ricevuto notevoli consensi la sua “Guida bioetica per terrestri. Da Fulton Sheen al cybersesso”, edito da Berica Editrice.
Dottoressa Bovassi, la scuola e la famiglia sono i due principali contesti di crescita dei bambini e dei giovani perciò reciprocamente legati. In ambito accademico si avverte l’urgenza di estendere il prezioso insegnamento della bioetica personalista anche al mondo della scuola e perciò ai dirigenti scolastici, ai docenti e agli alunni tutti? Quali a suo avviso potrebbero essere le modalità?
La domanda è senza dubbio puntuale e credo dovrebbe porsi al centro di un dibattito ad hoc sulla declinazione della bioetica verso i giovani (o giovanissimi), che di fatto rappresenta una sfida difficilissima e proprio per questo tende a scoraggiare. Ciò è dovuto soprattutto al clima culturale fortemente ideologico in cui ciascuno di noi si trova inserito, il quale pretende misure protettive provenienti da un impianto etico sano e forte e dall’esercizio del pensiero critico. Sulla base della mia esperienza, posso dire che la necessità di avvicinare la disciplina bioetica al mondo della scuola non è abbastanza sentita nel mondo accademico poiché anche la bioetica, in realtà, trova spazio insufficiente già in questo mondo! Tuttavia, vi è l’intuizione di dover estenderne le tematiche agli ambienti educativi che precedono la formazione universitaria o, addirittura, la ricerca accademica.
Cosa si può fare?
Credo si debba compiere uno sforzo capillare, che sappia dimostrarsi creativo nel linguaggio, nelle modalità, nei mezzi senza banalizzazioni indebite, semplicemente nell’ottica di dover consegnare degli attrezzi morali su questioni oramai quotidiane per orientare la coscienza davanti al bivio della crisi. Penso che i ragazzi oggi oltre alla (bio)etica, che si rifà a precisi contesti dell’etica applicata, ovvero a quelli legati alle scienze della vita e della salute, abbiano bisogno di etica, metafisica, teologia morale. Di essere formati alle categorie del pensiero in grado di dar loro strumenti per orientarsi dinanzi alla scelta. Se c’è una cosa che oggigiorno mette in crisi i giovani è la costrizione generata dall’aut-aut, poiché comporta una responsabilità e delle rinunce. Inoltre, scetticismo e relativismo alimentano la malsana concezione che l’etica non sia altro che emotività, compromesso tra due mali (uno più o meno svantaggioso dell’altro, seguendo ottiche utilitariste) od opinionismo. La tendenza più diffusa è quella di ignorare il dato oggettivo di realtà finendo per accettare tutto e il contrario di tutto, indiscriminatamente. Tant’è che i giovani, ma purtroppo anche tantissimi adulti, si prestano alle direttive morali impartite dagli “influencer” di turno senza che vi sia alcuna struttura di pensiero, alcuna competenza, men che meno autorevolezza nella fonte. L’estrema digitalizzazione, il suo impatto pervasivo, genera quel che si definisce una “quantificazione del sé”, che da un lato esaspera il narcisismo, mentre dall’altro normalizza appiattendo le differenze di pensiero e opinione.
A questo cosa segue?
Quanto consegue sono bolle di autoaffermazione che minano alle radici lo sviluppo di un pensiero critico. Perciò, ecco, penso che sia doveroso educare agli argomenti bioetici in maniera rigorosa, competente, pedagogica per evitare che i ragazzi si prestino come una tabula rasa ad assorbire tutto ciò che ricevono, in particolare quando si tratta di potenziali ferite mortali per la loro vita, la loro salute, la loro anima. È necessario per contribuire al processo di maturazione morale e umana dei ragazzi, ma anche per dar loro una presenza prossimale vigile, concreta ed empatica. Molto spesso quanto accade in quest’arco temporale incide considerevolmente a breve e/o lungo termine tanto nel danno quanto nel beneficio. Per questa ragione ritengo auspicabile che si dispongano in questa importante parentesi maturativa le fondamenta per garantire ai ragazzi gli strumenti utili al discernimento etico e, nello specifico, bioetico.
Sembra un compito difficile…
È un compito complesso, come complessa è la bioetica stessa: per questo occorre intensificare la formazione in tale ambito. Per quanto concerne le modalità, anzitutto occorre offrire formazione universitaria specificatamente bioetica (non solo rari corsi di qualche ora sparsi qui e là) e, in particolare, di bioetica personalista. Gli universitari sono futuri docenti, educatori, ecc. che a loro volta avranno l’onere di consegnare la loro formazione ai ragazzi. Per quanto riguarda, invece, le scuole secondarie credo sarebbe opportuno introdurre progetti formativi, laboratori con una certa costanza che affrontino singole tematiche in un arco di tempo sufficiente a stimolare dibattiti e interazioni (anche attraverso la cinematografia, ad esempio).
In qualità di referente dell’Associazione Generazione Famiglia presso il FORAGS (Forum regionale associazioni genitori scuola) della Regione Veneto lei mostra in concreto il suo interesse e il suo impegno per le tematiche pro-life e in difesa della famiglia naturale e della libertà educativa dei genitori legate in particolare al mondo della scuola. Ci illustra i tratti più rilevanti della mission dall’associazione di cui fa parte?
I punti principali dell’Associazione si rifanno a quanto lei ha indicato: promuovere, sostenere e difendere il valore antropologico della famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. La famiglia, quale pietra d’angolo della società, è un bene che esige di essere riscoperto. Vi è oramai l’abitudine all’idea che la famiglia sia marginale, addirittura nociva quando è proprio lì, nella culla della vita, e garanzia di una continuità generazionale, nella culla dell’accoglienza e della complementarietà che matura la capacità di riconoscere la diversità convertendo lo sguardo all’uguaglianza sostanziale tra individui. La famiglia ha bisogno di una fiducia nuova che parta dall’identità filiale di ciascun essere umano. Questa fiducia implica l’impegno a intensificare la presenza sociale e politica della famiglia al fine di proporre politiche attente ai bisogni dei bambini, delle madri e dei padri. In particolare Generazione Famiglia presta attenzione al rapporto scuola-genitori, lavorando per preservare il primato educativo della famiglia che oggigiorno ha bisogno di far sentire che la propria voce ha un peso ben preciso e non indifferente dinanzi a spinte ideologiche, talvolta sottoposte agli studenti all’insaputa dei genitori.
Ha mai pensato di scrivere un libro che affronti temi bioetici adatto ai più giovani? Se lo facesse quali temi affronterebbe prioritariamente?
Mi è stato proposto, ma ancora non ho avviato un progetto in questa direzione. In ogni caso sono convinta sarebbe utilissimo poter giovare di testi semplici (non banali) per lo studio e la consultazione, in quanto consentirebbe di metabolizzare i contenuti con il giusto tempo da essi richiesto. Inoltre sarebbe l’alternativa scientifica e filosofica che si tenta di non far avvicinare ai giovani mediante la diffusione del cosiddetto “pensiero banale”, il medesimo che si presta a svendere proposte e voci accademiche della bioetica personalista come qualcosa di infondato, irrazionale, retrogrado e oscurantista. Un sistema confezionato per far passare l’idea che mettere in dubbio le proposte del mondo attuale sia pari a una colpa. Per quanto riguarda le tematiche da affrontare, penso tratterei fin da subito di inizio vita e sessualità partendo dalla valorizzazione della corporeità e del pudore, in opposizione a una logica consumistica del proprio corpo. In secondo luogo tratterei della caducità: siamo la società che ha cancellato la morte e spettacolarizzato la sessualità; questo rende molto difficile accettare che la sofferenza non sia un imprevisto della vita, bensì parte integrante. Infine, uno dei temi che amo di più: come digitalizzazione e nuove tecnologie ci riportano all’umano!