I nostri ragazzi hanno un anno di più, ma sentono di averne vissuto uno di meno…

I nostri ragazzi hanno un anno di più, ma sentono di averne vissuto uno di meno…

NEL NUOVO “DECRETO-LEGGE COVID”, IN VIA DI ADOZIONE DA PARTE DEL GOVERNO E CHE SARÀ VALIDO DAL 26 APRILE AL 31 LUGLIO, SI TORNA ALLA SCUOLA IN PRESENZA MA CON PERCENTUALI MINIME NELLE ZONE ROSSE (DAL 50% AL 75%). IN QUELLE GIALLE ED ARANCIONI NIENTE “GRUPPO CLASSE” PER TUTTO QUESTO ULTERIORE DISGRAZIATO ANNO SCOLASTICO, IN QUANTO LA PERCENTUALE DEGLI ALUNNI IN PRESENZA SARÀ A PARTIRE DAL 70%, E DA QUANTO SCRITTO IERI A DRAGHI DALLA “CONFERENZA DELLE REGIONI” TUTTO FA PENSARE CHE L’ORIENTAMENTO MAGGIORITARIO SARÀ DI INDURRE GLI ISTITUTI A TARARSI AL LIMITE MINIMO

Di Fosca Banchelli*

«Ho un anno di più e ne ho vissuto uno di meno». Questa è l’impressione che accomuna molti ragazzi delle scuole superiori. È passato più di un anno da quando la pandemia del Covid-19 ha stravolto le loro vite e quelle di tutti noi. Ed ora hanno un anno di più, ma sentono di averne vissuto uno di meno.

Un anno sfumato, dove tutte le loro certezze sono scivolate nel vortice che ci ha trascinati tutti. Nella mia esperienza come insegnante di teatro, mai ho visto una tale rassegnazione generale, una mancanza di speranza così profonda come in questi tempi. Certo i ragazzi che vedo a teatro sono comunque allievi appassionati, capaci di grandi slanci e una tenacia davvero straordinaria, che io stessa forse non avrei avuto alla loro età. Inoltre, qualcuno dirà che ora i ragazzi apprezzano maggiormente le piccole cose, la casa, la famiglia, gli affetti. Tuttavia, continua a risuonarmi nella testa un campanello d’allarme: lentamente, a spegnersi, rischiano di essere proprio le loro passioni e i desideri.

Sono giovani che stanno sperimentando il confronto, le amicizie, le inimicizie, gli amori, le passioni artistiche, culturali, sportive. Ed invece hanno vissuto un lungo anno di Didattica a Distanza (DaD), conoscendo solo in parte i compagni di classe, un anno di palestre chiuse, di spazi culturali fortemente ridotti se non chiusi, di pomeriggi insieme in gruppo mancati, di compleanni e abbracci in video. Così piano piano in molti si sono abituati al buio della loro stanza: alzarsi, monitor, studio, monitor, studio, dormire. E il giorno dopo uguale. Giorno dopo giorno, sperando che questo tempo passi e porti via tutta la paura ed il dolore che li circonda. E ad un certo punto non sperano neanche più.

In questo scorrere dei giorni, per molti di loro tutti uguali, ecco che anche le sensazioni diventano uguali: l’importante è finire la giornata, rassegnati di non aspettarsi nulla di nuovo. E questa rassegnazione cala come una nebbia, ad avvolgere gli occhi che smettono di cercare e si rifugiano in una realtà falsata che gli fa vivere (forse) quelle emozioni che non possono vivere direttamente. Molti fanno il pieno di serie televisive sulle piattaforme a pagamento, storie nelle quali ragazzi come loro vivono quelle esperienze che sono per loro un miraggio lontano. Altri si rifugiano nei videogiochi. Alcuni nella lettura. I più fortunati riescono a trovare una valvola di sfogo, magari uno sport o una passione (per i miei allievi rappresentata appunto dal teatro) che è potuta continuare a seconda delle chiusure e delle riaperture concesse nelle diverse regioni d’Italia.

E così, tra una giornata uguale all’altra, tra una serie ed un’altra, tra un monitor e una notte, passano i giorni nella loro “vita a distanza”. La scuola, che potrebbe essere occasione di confronto, di scontro, di dubbio, di approfondimento, spunto per una progettualità futura, beh la scuola spesso non c’è. Da oltre un anno a questa parte è ridotta per lo più ad una trasmissione di nozioni, ad un correre dietro al programma: settimane lente e senza stimoli in DaD che si alternano a settimane frenetiche, in presenza, con più compiti ed interrogazioni ogni giorno. Il tutto che sta mettendo fortemente sotto pressione anche i ragazzi più abili a gestire lo stress. E così, molti di loro, smettono di lottare, d’interessarsi al mondo. L’importante è sopravvivere, riuscire a gestire la pressione della scuola e distrarsi. Tanto ogni giorno è uguale, tanto sono tagliati fuori da quelli che erano i loro interessi, tanto basta che passino quelle ore noiose in video, tanto non gli è rimasto nulla per cui lottare, per cui costruire. Il futuro per loro è un monitor spento.

Parecchi ragazzi preferiscono restare a casa con la DaD, perché è più facile gestire la situazione, l’emotività. Il confronto diretto con l’insegnante, con cui ormai hanno perso il contatto personale, li spaventa. Un possibile conflitto con i compagni, che spesso non sono riusciti neanche a conoscere dal vivo, diventa difficile da gestire. Inoltre, hanno paura di ammalarsi, di portare il virus a casa. Spesso si sentono additati come “untori” quando vanno in giro. E allora, meglio la loro camera, con il buio, il silenzio, lo schermo, le serie, i videogiochi. “Lontano da” ma sicuri. Sicuri di essere sempre più soli e lontani dal mondo. Un mondo che dovrebbe essere per loro e che sta a noi, quanto prima, restituirgli…

 

* Insegnante di teatro e presidente dell’Associazione culturale “La Lanterna immaginaria”.

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