Quei giornalisti che non si limitano a leggere le veline dei poteri forti o quelle anestetiche del politicamente corretto
IL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 55MA GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI MESSO IN PRATICA DA TANTI GIORNALISTI ED OPERATORI DEI MEDIA
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Di Giuseppe Brienza
«Dobbiamo dire grazie al coraggio e all’impegno di tanti professionisti – giornalisti, cineoperatori, montatori, registi che spesso lavorano correndo grandi rischi – se oggi conosciamo, ad esempio, la condizione difficile delle minoranze perseguitate in varie parti del mondo; se molti soprusi e ingiustizie contro i poveri e contro il creato sono stati denunciati; se tante guerre dimenticate sono state raccontate».
Parto da quest’importante citazione del Messaggio di Papa Francesco per la 55ma “Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali”, che quest’anno si celebrerà domani, 16 maggio, per richiamare uno dei dati che emergono dal Rapporto 2020 di Reporters sans Frontières (Rsf), organizzazione che monitora lo stato di salute del giornalismo nel mondo.
Ebbene, l’anno scorso sono stati uccisi nel compimento del loro mestiere ben 50 giornalisti nel mondo, la maggior parte dei quali stava lavorando in Paesi non in conflitto!
Il che vuol dire che in Paesi ufficialmente democratici come il Messico, il Pakistan, le Filippine, l’Honduras, ma anche islamici come l’Iran o l’Iraq, le minacce alla libertà di informazione non vengono solo dalla guerra…
Tanto più che durante il 2020 le segnalazioni arrivate sono state probabilmente molte di meno di quelle reali a causa sia delle condizioni dei Paesi nelle quali si sono verificate sia della c.d. pandemia da Covid-19.
In dieci anni, dal 2011 a oggi, Rsf ha censito 937 vittime, con un numero dei “morti da giornalismo” che, nell’immaginario collettivo, è sempre però collegato al “reporter di guerra”, ovvero alla missione giornalistica compiuta in contesti ad alto rischio in sé, come nei conflitti o guerre civili e simili, mentre non è così, come abbiamo visto.
Nei Paesi Occidentali l’assassinio “di Stato” o di milizia politico-economica magari non si verifica, ma la persecuzione amministrativo-giudiziaria o l’ostracismo di vario tipo, soprattutto se il giornalista opera in ambiti delicati e preziosi a certi Poteri forti non manca.
Sempre nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali 2021, intitolato “Vieni e vedi” (Gv 1,46), il Santo Padre scrive a questo proposito: «il giornalismo, come racconto della realtà, richiede la capacità di andare laddove nessuno va: un muoversi e un desiderio di vedere. Una curiosità, un’apertura, una passione.[…] Sarebbe una perdita non solo per l’informazione, ma per tutta la società e per la democrazia se queste voci venissero meno: un impoverimento per la nostra umanità».
Leggendo queste illuminanti parole di Papa Francesco, viene da pensare al lavoro coraggioso e pericoloso di tanti giornalisti che, “sotto copertura”, stanno documentando e denunciando i veri e propri crimini contro l’umanità del XXI secolo.
È il caso, ad esempio, di quelli organizzati dal Center for Medical Progress (Cmp), l’organizzazione pro life che sta conducendo negli ultimi anni un’importante indagine nei confronti dell’operato della “multinazionale dell’aborto”, ovvero quella International Planned Parenthood Foundation (IPPF), che è stata fra i maggiori finanziatori della campagna elettorale del neo-presidente degli Stati Uniti Joe Biden.
Chi ha lo stomaco forte può vedere ad esempio l’ultimo video del Cmp, che abbiamo rilanciato anche su inFormazione Cattolica (vedi qui) nel quale sono stati ripresi funzionari dell’IPPF mentre parlano di compensi da incassare in cambio di tessuti prelevati da bambini abortiti. Onore quindi a David Daleiden, il 31enne cattolico fondatore del Center for Medical Progress di Irvine, California, nel 2013!