Antisemitismo? In fondo a sinistra
UNA RIFLESSIONE SULL’ANTISEMITISMO NELLA SINISTRA ITALIANA
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Di Andrea Rossi
In tempi non sospetti, nel 1967, al termine della guerra fra Egitto e Israele, Pierpaolo Pasolini, di cui abbiamo parlato approfonditamente non molto tempo fa (vedi qui e qui), alzò (solitario) la sua voce su una tendenza che vedeva consolidarsi nel PCI: l’antisionismo, definizione edulcorata di un sentimento antiebraico che nella sinistra italiana era vivo e presente almeno dal 1948, ossia dalla nascita dello stato di Israele.
Queste le parole dello scrittore, come sempre profetiche: “Forse perché Israele è uno Stato nato male? Ma quale Stato ora libero e sovrano non è nato male? E chi di noi, inoltre potrebbe garantire agli Ebrei che in Occidente non ci sarà più nessun Hitler? O che gli Ebrei potranno continuare a vivere in pace nei Paesi arabi? Forse possono garantire questo il direttore dell’Unità o qualsiasi altro intellettuale comunista?”.
Il problema è di scottante attualità, perché il 27 gennaio scorso, nel giorno dedicato alla memoria della Shoah, si sono moltiplicati ovunque atti antisemiti: le lettere minacciose, come quelle inviate al museo dell’ebraismo a Ferrara, gli insulti razzisti durante la presentazione online del libro di Lia Tagliacozzo sulla deportazione dei parenti della scrittrice ad Auschwitz e le idiozie di amministratori di seconda o terza schiera, i quali bene avrebbero fatto a tacere se nulla avevano da dire sul tema.
La propaganda dei partiti di sinistra ha utilizzato questo fenomeno deprecabile a fini politici, per scaricare sulla destra le responsabilità di questo clima. In realtà per osservare quanta ipocrisia esiste su questo grave fenomeno di intolleranza, è sufficiente leggere cosa pensano di Israele diversi esponenti di PD, di LeU o della galassia antagonista.
Accanto a silenzi imbarazzati, e distinguo incomprensibili, infatti, alcune vicende sono apparse, anche in tempi recenti, inequivocabili; solo alcuni casi: nel 2018 la giunta comunale di Bologna faceva approvare a maggioranza una mozione per l’embargo contro Israele; sempre la richiesta di censure a Israele sono arrivate, lo scorso anno, da settanta deputati del PD e del Movimento 5 Stelle; la commemorazione del 25 aprile, ormai da anni, vede a Roma cortei divisi, con la comunità ebraica che decide di ricordare la liberazione per conto proprio, mentre a Milano prosegue indisturbato l’obbrobrio dei fischi allo striscione della brigata Palmach, composta da ebrei che combatterono assieme alle forze armate britanniche contro i nazisti in Italia.
Frattanto il rapporto della sinistra con l’Islam italiano appare condizionare in modo sempre più pesante gli orientamenti dei postcomunisti del nostro paese: ovunque, da nord a sud, esponenti musulmani radicali sono stati reclutati senza alcun discernimento (e spesso eletti) dalle forze della sinistra, salvo poi creare imbarazzi nel partito di Nicola Zingaretti.
Non più tardi del 2017 Sumaya Abdel Qader, influente consigliera comunale milanese in quota PD, commentando il fatto che il 60% dei musulmani italiani considerava gli ebrei (non gli israeliani, si badi bene!) la causa di ogni male, spiegava che gli intervistati forse confondevano antisemitismo e antisionismo (sic), e che comunque percentuali simili si potevano trovare anche fra gli italiani, immediatamente smentita dagli autori della ricerca.
Questa la sinistra che usa la Shoah come argomento politico puntando il dito contro i “rigurgiti razzisti” e “le destre xenofobe”, uno schieramento che in realtà, ancora nei giorni in cui si ricorda lo sterminio degli ebrei europei, è incapace di fare i conti con sé stesso e con le proprie irrisolte contraddizioni.
Nella foto: una manifestazione contro Israele del Partito comunista dei lavoratori