L’incredibile storia del Carabiniere Albino Badinelli, “Giusto dell’umanità”

L’incredibile storia del Carabiniere Albino Badinelli, “Giusto dell’umanità”

A cura di Andrea Gaggioli e Don Tommaso Mazza

«DIO PERDONA LORO PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO! SI, SIGNORE PERDONA LORO». SONO QUESTE LE PAROLE CHE ANCORA OGGI RISUONANO FORTI OGNI ANNO A SANTO STEFANO D’AVETO, QUANDO SI PARLA DEL GIOVANE CARABINIERE ALBINO BADINELLI. UNA STORIA NELLA STORIA COME QUELLA DI SANTA MARIA GORETTI E DEL BEATO ROLANDO RIVI. UNA STORIA DI RESISTENZA, DI AMORE PER IL PROSSIMO E DI FEDE IN DIO CHE CON IL TEMPO SI SPERA LA CHIESA POSSA ELEVARE AGLI ONORI DEGLI ALTARI

La storia di vita di Albino Badinelli martire per la pace durante l’ultimo conflitto mondiale si rivela fra le più nobili testimonianze di dedizione al prossimo.

La vicenda di questo militare converge negli eventi della guerra partigiana che lo hanno visto protagonista del riscatto di un intero paese italiano in cambio della sua fucilazione da parte dei nazifascisti.

Questa narrazione si aggiunge alle innumerevoli storie del martirio di innocenti durante la seconda Guerra Mondiale e la Resistenza, in particolare di vittime della furia nazifascista.

Fin dai primi anni di vita militare il carabiniere Albino Badinelli si dimostrò subito una persona che aveva fatto della sua professione lo strumento più efficace per esprimere l’altruismo, l’amore verso la gente, la fedeltà alla Patria, il gratuito servizio ai più deboli e ai sofferenti.

Tutta la sua vita fin dall’adolescenza si è rivelata un espressione di carità e tenerezza ma al contempo di coraggio e abnegazione per la difesa dei più alti valori della fraternità, della pace e della convivenza fra diversi.

Questa esistenza spezzata a soli 24 anni sembra convergere verso il più tragico climax della sua uccisione per mano dei nazifascisti quasi a conferma del carattere puro e innocente che si sintetizza nel più nobile eroismo.

La vera energia, la forza che sprigiona Albino Badinelli è comunque secondo le vicende che si snoderanno nel corso dei suoi 24 anni quella fede cristiana che caratterizza un giovane motivato e confermato da sempre nella dedizione a Dio e al prossimo con un amore profondo.

Ottavo dei quattordici figli di Vittorio Badinelli e Caterina Ginocchio Albino nasce ad Allegrezze una frazione del Comune di Santo Stefano d’Aveto in provincia di Genova il 6 marzo del 1920. E’ un bambino come tutti, semplice, volitivo, tenace, intraprendente, altruista. Alle scuole elementari Albino è attento, capace, rivelandosi sempre più incline al canto al disegno, alla religione ma anche a materie come l’italiano, l’ortografia la geografia, l’aritmetica. Nel tempo libero dagli studi collabora al lavoro di famiglia nei campi accompagnando anche al pascolo gli animali. E un bambino infaticabile finito un lavoro ne inizia un altro. Vivace gioca con gli amici e i fratelli e in particolare è ferrato nel gioco del ‘mondo’ un passatempo tipico dell’epoca nel quale i giocatori devono muoversi in un labirinto fra cielo e terra. E’ attaccato alla vita in tutte le sue espressioni vivendole gioiosamente e mai con tedio. La sera si ritira insieme alla famiglia attorno al focolare per la cena e la recita del Rosario. Il suo sguardo infatti è in particolare rivolto a Maria, mai staccandosi dalla corona del Rosario che custodisce quotidianamente nella tasca dei pantaloni. E’ un bambino buono, genuino, con tutti disponibile ad offrire una parola di amicizia. Col passare degli anni nei momenti di libertà si dedica alla poesia, all’arte, al disegno, ma anche alla musica. Dotato di una bella voce canta nel coro parrocchiale. Dove passa lascia sempre un segno, una scia. Fisicamente è alto snello di colore roseo con un carattere aperto, solare, sempre con il sorriso sulle labbra. Inizia anche a vivere una relazione sentimentale con una ragazza della sua parrocchia di nome Albina. Il loro affetto durerà fino alla morte di lui e, in un certo senso, anche fino alla morte di lei per il suo desiderio di essere sepolta insieme alle lettere che Albino le scrisse durante il periodo bellico. Oggi è proprio il segreto di quella tomba a dare ancora più sacralità al loro sentimento.

La vita spirituale di Albino assume su tutto una particolare caratteristica di coerenza con il Vangelo: vive un personale rapporto con Cristo, nella preghiera e nel servizio alla comunità e a chiunque veda nel bisogno. Nel 1939 entra all’Accademia militare di Torino e il 1° marzo dell’anno successivo è incorporato, quale carabiniere ausiliario a piedi presso la Legione Carabinieri di Roma con la ferma ordinanza di leva di diciotto mesi. Il 10 giugno del 1940 presta il suo giuramento e viene nominato carabiniere effettivo. Il 14 successivo viene inviato nella Legione di Messina per prestare servizio a Scicli. Dal 2 maggio era già stato assegnato alla Legione di Napoli per il costituendo Battaglione Mobilitato e il 21 settembre giunge in Balcania territorio già dichiarato in stato di guerra.

Nonostante i continui spostamenti e distacchi Albino manterrà sempre un forte legame con la sua terra, la Val d’Aveto, e con le sue tradizioni civili e religiose. Giunge a Zagabria (Croazia) passando qui uno dei periodi più incisivi per la sua storia spirituale. Di mentalità aperta capisce e comprende prima di cadere in sterili pregiudizi. E’ uomo capace di sognare essendo nemico anche dell’ ‘ormai’. Davanti a niente e a nessuno si dà per vinto. E’ l’uomo della speranza che non delude perché è uomo di Dio. Si è scritto dell’attenzione di Albino per l’arte e sin da piccolo i genitori assecondano questa inclinazione procurandogli il minimo per dipingere e scrivere.

Ancor oggi sono conservati stralci di carta per appunti e album da disegno sui quali si possono scoprire le predilezioni di Albino per il bello in tutte le sue forme, espressioni forse della sua un po’ impacciata profondità spirituale ed emotiva. In tutto ciò che ammira sa cogliere l’essenziale e in diverse espressioni artistiche è come se avesse la voglia di tornare indietro, di sfogliare pagine già scritte della sua breve esistenza. E’ uomo attirato dal sole, dalla luce, e non c’è tenebra oscura che lo renda incapace di esprimere il senso di gratitudine che ci ricorda come siamo custodi di un qualcosa che nostro può sembrare ma che in fondo nostro non è. In questi mesi ‘balcanici’ Albino compone le lettere più significative per parenti e amici. Parole di conforto, di vicinanza, di speranza in un domani che secondo lui “Dio vorrà donarci”.

Nel 1943 rientra in Italia dove viene inviato alla Stazione dei Carabinieri di Santa Maria del Taro in provincia di Parma. La vicinanza a Santo Stefano gli permette di fare visita più volte alla famiglia mentre anche in questo paese la situazione si fa sempre più difficile con l’avanzare dei partigiani e i relativi scontri con i nazifascisti che mettono a dura prova i giovani carabinieri.

Agli inizi del ’44 alcuni partigiani cercando di entrare con la forza nella caserma sparano ad un collega di Albino. Alcuni giorni dopo la caserma viene distrutta con una bomba sempre ad opera dei partigiani. Albino ed il suo collega Fabio Morelli riescono a fuggire e ritornare a casa. Durante la via del ritorno Albino getta via il moschetto e si disarma, per non uccidere i fratelli così come verrebbe spontaneo fare ad un cristiano. Fabio Morelli oggi ultra novantenne ricorda Albino come una “persona speciale, dai forti tratti umani e profondo senso religioso… insomma come un esempio per tutti”. Quando viene a sapere -molti anni dopo- che Albino è stato trucidato esclama ” Hanno ucciso anche me”. Rientrato a casa nell’estate del ’44 si rimbocca le maniche e spende le sue giornate tra casa, lavoro in campagna e in chiesa. Intanto conosce Albina una giovane ragazza e se ne innamora. Con lei trascorre parte del suo tempo e con il permesso dei genitori la sera la accompagna alle feste del paese. Una stagione di vita affettiva molto intensa ma offuscata dal dolore per la mancanza di notizie di Marino, il fratello che sta combattendo come alpino sul fronte russo. Ne condivide l’angoscia delle ricerche disperate fino alla tragica notizia: Padre Pio da Pietrelcina, allora quasi sconosciuto frate di San Giovanni Rotondo, interpellato dalla mamma Caterina, scrive ai familiari di non cercare più il loro caro Marino perché stando a quanto Gesù avrebbe rivelato allo stesso religioso il giovane sarebbe morto e poi sepolto in Russia in una fossa comune.

Questa notizia sarà poi confermata ufficialmente dal Ministero della Difesa negli anni ’80 del secolo scorso. Per la famiglia Badinelli è un dolore immenso, una ferita non rimarginabile di fronte la quale Albino non si dà pace proclamandosi contrario alla guerra e disprezzando l’odio fra gli esseri umani a tal punto da non comprenderlo. E’ tanta la sofferenza nel suo animo ma prevale comunque la fiducia nella pace che presto arriverà. Sente intorno a lui qualcosa che non lo lascia né indifferente, né tantomeno tranquillo.

La situazione bellica in Val d’Aveto si fa sempre più grave fino agli eventi culminati nell’agosto del ’44 mentre Albino vive sempre più un’angoscia interiore, quasi una paura. Una sera tornando a casa vede divampare dal terreno antistante il cimitero di Allegrezze una fiamma che sembra illuminare le tombe a lui più vicine. La paura della visione lo fa correre a casa per chiedere aiuto al padre. Si è certi oggi che si è trattato del fenomeno dei ‘fuochi fatui’ vale a dire un particolare tipo di fiammelle in genere di colore blu che si manifestano a livello del terreno in luoghi come le paludi o i cimiteri dovute alla decomposizione degli organi visibili per lo più nelle calde sere di agosto. Quasi un presentimento per Albino questo fatto rimane un segno chiaro circa il destino suo e di tutta la sua gente.

Nei giorni seguenti, infatti, una Divisione nazifascista guidata dal Maggiore Cadelo, detto Caramella, e dal Tenente Luccorini fa ingresso in Val d’Aveto per fermare l’avanzata del Movimento partigiano che sta sempre più affermandosi fra le montagne della Liguria. La mattina del 27 agosto un rombo di cannone sveglia gli abitanti della Valle mentre ad Allegrezze si muovono tutti verso la Chiesa per la celebrazione della Messa. Il piccolo abitato di Casoni è avvolto dalle fiamme. Poi è la volta di Alpicella dove i fascisti bruciano le case dei partigiani.

I nazifascisti avanzano verso il capoluogo. In testa alla colonna è posto don Giovanni Barattini preso prigioniero ad Alpicella. Il Paese alza bandiera bianca per timore di avere la stessa sorte dei borghi vicini. Intanto dalle 9 del mattino un gruppo di partigiani è appostato a difendere la strada verso Santo Stefano d’Aveto. I nazifascisti avanzano mandando avanti un giovane di Villanoce, Andrea Brizzolara, che ha il compito di controllare la situazione. I partigiani attaccano ed ecco lo scontro. Andrea ritenuto un traditore viene ucciso. Un inferno di scariche e di mitragliatrici rompe il silenzio delle montagne. Solo alla fine dalla terra insanguinata riemergono i cadaveri e i feriti. Circa trenta alpini infatti perdono la vita così come il giovane partigiano Silvio Solimano di Santa Margherita ligure. Don Barattini invece riesce a trarsi in salvo gettandosi a terra ai lati della strada. Il giorno seguente i nazi-fascisti raggiungono il capoluogo senza più essere disturbati.

In tutta questa situazione Albino non interviene se non per restare accanto alla sua gente in Paese e ad ogni modo non mette in atto nessuna azione di guerra. Il 27 agosto fu forse per gli abitanti di Santo Stefano e della valle il momento più duro e più critico. In quei giorni le invocazioni e le suppliche salivano alla Madonna di Guadalupe come non mai. Erano preghiere di madri, padri, giovani, e anziani. Chiedevano a Maria che non li lasciasse soli, che non li abbandonasse in tanta assurdità. Ancora oggi resta vivo questo ricordo e questa preghiera: ogni anno in ringraziamento del favore ricevuto la popolazione si reca sul monte Maggiorasca per venerare il grande monumento dedicato alla Madonna nell’agosto 1947.

Il 29 agosto giorno della Madonna della guardia ad Allegrezze sono tutti raccolti in Chiesa per la Messa. Il silenzio che precede e segue l’elevazione è scosso ad un tratto da un rumore di camions e dalle voci aride dei tedeschi. La porta della chiesa si apre: Appare una donna disperata che dice: “Venite a togliere un po’ di roba, perché Allegrezze deve essere bruciata! Ci danno un quarto d’ora di tempo!”. In chiesa rimane solo il parroco mons. Primo Moglia che nonostante le numerose minacce continua la sua celebrazione. Il paese cade tra le fiamme. Tutto viene distrutto mentre la chiesa e la canonica risparmiate. La casa di Albino riesce a resistere al fuoco e rimane l’unica intatta. Ma per i nazi-fascisti l’incendio non basta: il parroco deve essere ucciso. Mons. Primo viene condotto al cimitero. Giunti davanti al cancello egli si inginocchia, si copre il volto con le mani e si raccoglie in preghiera. Grande è la sua meraviglia quando, ritornato in sé si ritrova solo sano e salvo.

Nei giorni seguenti i nazi-fascisti tengono il controllo del comune e viene imposto – tramite manifesto- il comando a tutti i giovani, partigiani, sbandati e disertori di presentarsi pena la fucilazione degli ostaggi civili e la distruzione del paese di Santo Stefano d’Aveto. Albino viene immediatamente avvertito e dopo aver preso informazioni sulla situazione pur non facendo parte attivamente della resistenza si presenta spontaneamente al Comando fascista con sede nella casa littoria di Santo Stefano d’Aveto mosso da uno spirito di responsabilità nei confronti dei suoi amici, compaesani e parenti che anche nella fede erano fratelli. Albino, infatti, visto che in pochissimi si costituiscono ai fascisti afferma con i famigliari: – Se succedesse qualcosa a quegli innocenti non avrei pace. Io devo essere il primo-. Accompagnato dalla mamma Caterina arriva al centro operativo fascista e dà prova della sua fedeltà di uomo e di Cristiano. Giunto alla casa Littoria presenta le sue dimostrazioni al Comandante ritenendosi del tutto contrario all’odio che l’ideologia fascista stava seminando in Italia. Grida “PACE!” che sarà la sua ultima parola. Per il maggiore Cadelo, invece, non c’è nessuna replica, nessun commento ma solo un secco ordine: “Plotone di esecuzione!”.

E’ il 2 settembre del 1944 verso mezzogiorno. In paese la paura sale. Alcuni del luogo piangendo gridano: ” Uccidono uno di Allegrezze!”. Albino nel frattempo chiede di potersi confessare ma il permesso non gli è concesso. Un giovane presente allora corre a chiamare Mons. Giuseppe Monteverde unico sacerdote presente in paese. Con lui il Badinelli ha la possibilità di confidarsi sulla via verso il camposanto luogo dell’esecuzione. Al prete Albino ricorda l’affetto per la mamma, la sua famiglia e la sua gente domandandogli inoltre di far presente che egli perdona i suoi uccisori. Il sacerdote allora consegnatogli un crocifisso e impartitagli la benedizione lo raccomanda a Maria Vergine di Guadalupe. Arrivati dinanzi al cimitero di Santo Stefano, Albino viene posto con le spalle al muro pronto per essere freddato. In quel momento il giovane, baciato con riverenza il crocifisso e guardando il Cristo che stringe forte a sé ripete con profonda fede e umiltà le stesse parole che Gesù dalla croce rivolse al Padre : -Perdonali Padre perché non sanno quello che fanno!-. Davanti a quel gesto di fede ed alla croce il soldato che doveva sparare si tira indietro. Prende il suo posto un altro giovane militare che non si fa nessun tipo di scrupolo. Tre colpi di arma da fuoco, due al cuore ed uno alla testa, freddano Albino separandolo per sempre dalla vita terrena.

Mons. Casimiro Todeschini, allora arciprete di Santo Stefano d’Aveto commentando questa fine cruenta, illuminata dalla luce del perdono esclama : “Stavo proprio tornando da Allegrezze quando mi sono trovato di fronte al tristissimo fatto compiuto: nel coro della vecchia chiesa, su di un tavolo, è disteso esanime Albino Badinelli ! Ero stato assente poco più di mezz’ora e questo breve lasso di tempo era bastato a provocare un atto che non aveva nessuna giustificazione, non era altro che un autentico e feroce assassinio. Ho ancora negli occhi quello spettacolo: il suo corpo disteso su quel tavolo, gli occhi spenti, rivoli di sangue che lentamente scendono dai fori delle pallottole. Povero e caro indimenticabile ragazzo, dagli occhi e dal sorriso di un bambino buono, simpatico”.

Numerose sono le testimonianze dell’uccisione di Albino ma in particolare merita quella di Giovanni Focacci ufficiale di stato civile di Santo Stefano d’Aveto che ricorda la signora Caterina mamma del carabiniere martire. “La signora Caterina Ginocchio accompagnò suo figlio Albino al Comando Militare. Ne aveva cinque di figli con le stellette! Questa mamma aveva accompagnato il figlio conscia che sarebbe stato meglio per lui e per gli altri. Non aveva forse fatto i conti con chi non di coraggio ma di vendetta viveva. Anche Albino non conosceva di certo né odio né vendetta tanto che si avviò alla morte perdonando. La madre si era appena accomiatata dal figlio quando sentì i colpi di arma da fuoco. Udendo il rumore era tornata indietro e addossato al muro del cimitero (proprio sul lato che guarda verso la sua Allegrezze) aveva rivisto suo figlio a tragedia ormai compiuta. In quel momento si sentirono delle urla, delle urla disumane…mi dissero che era proprio lei, la mamma di Albino.

Così il Carabiniere Albino Badinelli entrò nel novero di quegli eletti che, con il loro sacrificio supremo resero possibile “il nostro riscatto”. Quando ancora il corpo di Albino giace sulla piazza del cimitero i fascisti vi accompagnano suo fratello Domenico per un ultimo saluto. Quella visione e quello spavento gli costerà una malattia neurologica che lo porterà alla morte dopo molta sofferenza. Anche sua sorella Lidia una delle prime a giungere sul luogo della fucilazione rimarrà profondamente segnata tanto che, con il passare degli anni, perso il senso, continuerà a ripetere il racconto di quel tragico momento.

Dopo l’esecuzione di Albino in paese non si muove una foglia. Nessuno esce per strada, le case sono sigillate. Mentre il corpo del giovane carabiniere per ordine del maggiore Cadelo non può essere spostato dal coro della vecchia Chiesa parrocchiale. Quel corpo sanguinante ancora caldo deve essere di ‘esempio a tutti’. Deve ricordare che quella è la fine di chi non ha saputo abbassare il capo dinanzi al potere, di chi non ha voluto accettare l’oscurità di un inutile guerra. Nonostante la decisione dei nazi-fascisti i genitori vogliono dare al figlio strappatogli barbaramente una degna e cristiana sepoltura. Per questo nel pieno della notte alcuni uomini accompagnati da mons. Casimiro Todeschini caricano la salma di Albino su una scala e attraverso una strada mulattiera la trasportano ad Allegrezze. Al loro arrivo ad accoglierli oltre alla famiglia Badinelli è presente il parroco del paese Primo Moglia. Questi profondamente commosso vedendo avanzare il corteo esclama: “Albino è già in Paradiso!”. In prima mattinata si pensa di celebrare le esequie ma su suggerimento di alcuni militari per evitare l’attenzione dei fascisti si opta per un rito più breve al cimitero.

Dopo la benedizione la salma racchiusa tra quattro semplici assi di legno non lavorato viene tumulata nel terreno del camposanto dove ancora oggi riposa. Questo gesto di amore supremo con cui a ventiquattro anni Albino chiuse la sua esistenza terrena il 2 settembre del 1944 servì a salvare da morte certa i venti ostaggi e l’intero paese dalla distruzione. Da quel giorno il sacrificio del Badinelli non si è ancora spento: a suo nome è stata intitolata una via del Comune dove si trovano la stazione dei carabinieri e la scuola.

Il 27 settembre del 1944 il Mag. Cadelo, oggi medaglia al Valor Militare, conosciuto come il peggiore tra gli ufficiali fascisti rimane vittima di un attentato e perde la vita. Qualcuno comunica la lieta notizia alla mamma di Albino: ” Hai visto che Dio ha fatto giustizia?”, ma la buona donna risponde :” Non voglio ritirare il perdono che mio figlio ha dato prima di morire!”. Poco tempo dopo arrivano a Santo Stefano d’Aveto un ufficiale e un cappellano militare con il compito di raccogliere informazioni e testimonianze sulla morte di Albino. I due accompagnati dai sacerdoti del luogo decidono di fare visita alla famiglia Badinelli. Entrando in casa il cappellano nota immediatamente che mamma Caterina è seduta in un angolo della cucina intenta a recitare il Rosario. Allora da buon prete domanda alla povera signora che cosa stia facendo. Risposta: “Prego per coloro che hanno ucciso mio figlio!”. Dinanzi a queste parole nessuno dei presenti osa replicare. Solo il prete in questione poco dopo esclama: “…quanta umiltà in questa casa”.

E’ questa la storia di Albino Badinelli un innocente condannato al posto di molti che in punto di morte affida la sua anima a Dio e perdona con serenità i propri carnefici. Con le sue parole di perdono infatti egli ricorda a tutti che la vita è fatta per essere consegnata; che noi siamo fatti per rendere testimonianza di un amore vittorioso che sulla croce è diventato frutto di vita nuova.

Albino Badinelli oggi…

Albino Badinelli viene ricordato come Medaglia d’Oro al Merito Civile.
Il 18 dicembre 2017, infatti, nella sala di rappresentanza del Comando della Legione Liguria dei Carabinieri, a Genova, si è svolta alla presenza delle più alte autorità civili e militari la cerimonia per la consegna del brevetto e della Medaglia d’Oro.
La motivazione dell’onorificenza concessa è la seguente: “Carabiniere effettivo alla stazione di Santa Maria del Taro (Pr), dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, non volendo mancare il giuramento dato e decise di non far parte della milizia della Repubblica di Salò, fu prima al spot e successivamente ha deciso di arrendersi al dipartimento nazifascista che, per rappresaglia ad un attacco immediatamente, ha minacciato di massacrare venti civili disarmati e davanti al plotone di esecuzione ha sacrificato la sua vita per salvare i prigionieri. eccezionale senso di abnegazione e di virtù civiche elette spinte all’estremo sacrificio. Settembre 1944 – Santo Stefano d’Aveto (GE)”.

Domenica 25 settembre 2016, durante la visita a Stella (Savona), il Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella ha incontrato Agnese Badinelli, sorella di Albino. Dal 6 marzo 2017 Albino Badinelli viene commemorato come “Giusto dell’umanità”, titolo riservato a coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’ umanità e ai totalitarismi. A lui e ad altre venti figure è stata dedicata la cerimonia di apertura delle celebrazioni per la Giornata europea dei Giusti, a Palazzo Marino, Milano, con la consegna delle pergamene per l’inserimento nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. E’ seguita poi la commemorazione in Consiglio Comunale, con la lettura dei nomi dei nuovi Giusti, ospiti d’onore nella seduta del Consiglio.

Anche la Chiesa cattolica sta lavorando per riconoscere ufficialmente la fama di santità di questo giovane. Papa Francesco è stato informato della vicenda legato alla figura di Albino Badinelli nel settembre 2015, quando il Comitato, in visita a Roma, ha donato un piccolo volume a Papa Francesco, nel contesto dell’Udienza generale. Nella stessa occasione, il volume è stato dato anche al Papa emerito Benedetto XVI, attraverso il suo segretario personale.

Il 2 gennaio 2016, Tommaso Mazza, attualmente seminarista della diocesi di Chiavari, ha avuto l’opportunità di intrattenere una conversazione personale con Papa Francesco a Casa Santa Marta. In questa occasione, tra le molte cose proposte, ha presentato al Santo Padre, in modo più dettagliato, la storia di Albino Badinelli, facendo particolare riferimento alla storia della sua morte. Nel maggio 2018 i Cardinali e i Vescovi lo hanno scelto come “Testimone” del Sinodo dei Giovani.

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