La pseudocultura di Sinistra fa scempio dell’Italia, anche dell’arte…

La pseudocultura di Sinistra fa scempio dell’Italia, anche dell’arte…

di Dalmazio Frau

L’IMPERO CULTURALE DELLA SINISTRA ITALIANA CONTINUA PRESSOCHÉ INALTERATO, SEPPUR MOSTRANDO OGNI GIORNO DI PIÙ, I PROPRI PIEDI D’ARGILLA E IL PROPRIO FALLIMENTO

Cominciamo con il dire, senza nasconderci la cruda realtà, che se in tutti questi decenni non si fosse verificata un’assenza nel campo artistico e culturale da parte della Destra, in Italia, l’occupazione manu militari effettuata dalla Sinistra, sin dal secondo dopoguerra, non sarebbe stata possibile.

Antonio Gramsci aveva ben compreso che impadronirsi di settori fondamentali, quali quello giudiziario e quello culturale – dunque con esso l’arte – avrebbe consentito un vero e proprio governo occulto, ma potentissimo, in mano alla Sinistra, allora dipendente dall’Unione Sovietica. Oggi, caduto il muro di Berlino, con una Russia che non ha più il marchio del bolscevismo e dello stalinismo, tuttavia l’impero culturale della Sinistra italiana continua pressoché inalterato, seppur mostrando ogni giorno di più, i propri piedi d’argilla e il proprio fallimento.

Fallimento che comunque viene ancor ben mascherato, perché dall’altra parte non si è in grado, tranne pochissimi, isolati casi, di opporsi e d’imporsi con la forza delle idee. Forse perché idee ne esistono molto poche, spesso soverchiate da paure, da irragionevoli timori nel mostrarsi politicamente scorretti o poco democratici e intolleranti. Insomma, se pur l’arte e la cultura imposte dalla Sinistra italiana sono state incapaci di segnare realmente il corso della storia umana, ancora aspettiamo di vedere una risposta coraggiosa e vibrante da parte della Destra.

Ottant’anni di disattenzione e disinteresse alle tematiche del Bello e dell’arte, hanno consentito alla pseudocultura di Sinistra di far scempio dell’Italia, e questo è un dato di fatto inoppugnabile come lo è che il Bello sia un valore assoluto e oggettivo, vorremmo ricordarlo questo, anche se tale affermazione suona dolorosamente quanto politicamente scorretta alle orecchie di chi si è costruito su una certa pseudocultura che vorrebbe “in arte tutto è lecito”.

Il che comporta una domanda che, da tempo non ha trovato esauriente risposta, ovvero: Perché la “cultura di destra” ha tanto in odio l’arte? O meglio ancora sarebbe chiedersi se l’attuale destra in Italia, abbia cognizione di cosa significhi arte e soprattutto “fare arte”.

Eppure in un passato forse oggi troppo lontano, la Destra italiana fu realmente innovativa anche in campo artistico, avendo avuto un coraggio e una forza vitale, uno slancio eroico, che la Sinistra non possedeva sin dai tempi della Rivoluzione d’Ottobre. È dal pensiero rivoluzionario della Destra successiva alla Grande Guerra, dai suoi “intellettuali” che, per esempio, sono nati il Movimento Futurista e quella forma unica al mondo di art déco che è il Razionalismo italiano, da cui poi lo Stile Littorio. È stata la Destra italiana ad aver creato il Realismo Magico degli anni Trenta in pittura e la Metafisica sino all’espressione Dada del Barone Julius Evola.

Quelle erano le vere, ardite, innovative e coraggiose avanguardie artistiche del Novecento. Motivi e canoni che rispecchiavano il Bello e la Bellezza sia nelle forme sia nei contenuti, che ricordavano al mondo come esse fossero Armonia, Ritmo nell’architettura e nella decorazione.

Invece durante tutti questi lunghi anni di repubblica rigorosamente e dichiaratamente antifascista, si è lasciato devastare anche il paesaggio – che è un’altra delle grandi fonti turistiche e culturali che abbiamo a disposizione, e dunque ancora una straordinaria risorsa economica – con l’impianto d’incubi eolici inutili, con distese di cellule fotovoltaiche sui vigneti e sugli uliveti della penisola. È stata consentita la cementificazione d’intere regioni, dove sarebbe stato sufficiente una ristrutturazione eseguita con criterio. Non avendo mai ricevuto alcuna educazione al Bello, non soltanto è stato prodotto il brutto, ma anche una diminuzione economica laddove invece l’arte e la Cultura  avrebbero potuto implementare lavoro e benessere.

Troppo semplice evidentemente, in uno stato che ama le inutili complicazioni. Molto meglio allora chiamare le archistar a creare obbrobri strapagati quanto non necessari, a progettare oscenità.

Almeno si avessero l’umiltà e l’intelligenza – perché si tratta d’intelligenza pura e semplice – di affidarsi a competenti, a consulenti veri, ad “esperti” anche non accademici, tanto talvolta essi sono migliori dei paludati professori universitari con cattedra incorporata – invece di collocare, anche maldestramente tra l’altro, parenti, amici e sodali a capo, o in prossimità, dei vertici di società a capitale pubblico o semi-privato che si occupano della gestione della Cultura.

Il secolo passato ci ha dunque lasciato in eredità un pessimo esempio dell’interazione tra la politica e l’arte, facendo della seconda una serva della prima e non già come dovrebbe essere una sua estensione naturale; dimenticando quindi che l’arte in qualunque società tradizionale, dalla Grecia classica sino all’Europa dell’Ottocento, sia una manifestazione della politica, che l’Estetica contenga un’Etica e che senza l’una l’altra sia soltanto vano moralismo. Mentre priva della seconda, la prima è solo formalismo, apparenza e nulla più. Basterebbe per esempio osservare come nei programmi elettorali, la Cultura, e dunque l’arte che di essa partecipa, quasi non abbia riconoscimento ad esistere e da questo ne derivi poi come il declino del nostro paese riguardi non soltanto l’economia o il costume, ma innanzitutto il livello culturale della popolazione e di conseguenza il baratro nel quale è lasciata sprofondare l’arte.

Tutto ciò è intollerabile.

Analfabetismo di ritorno, scarsità di lettori, disinformazione e disinteresse la fanno da padroni nei settori artistici di questo paese che ha prodotto l’avvampante bagliore della Rinascenza. In Italia, una politica culturale che rivaluti l’arte è una necessità primaria, un dovere intellettuale, praticamente uno stato dell’essere, e se è pur vero che le urgenze siano la salute, i salari, la riduzione delle tasse e la sicurezza, si ricordi che un popolo di benestanti ignoranti avrà sempre un basso tenore di civiltà e che un paese di buoni borghesi privi di una qualsiasi forma artistica, non sarebbe degno d’essere considerato una società civile.

L’arte è e deve essere parte integrante e fondamentale di qualunque popolo, perché un popolo senza cultura né arte, non sarà nemmeno in grado di utilizzare nel modo migliore tutti i vantaggi che gli deriveranno dal proprio benessere materiale. Senza spirito la materia è morta e come un golem si anima soltanto quando gli viene insufflato il nome divino.

La politica quindi dovrebbe avere il coraggio di essere impopolare nel precedere i cittadini per renderli migliori, avendo il coraggio di sostenere e privilegiare la priorità dell’emergenza culturale su ogni altra.

L’ignoranza, l’assenza di buon gusto, di educazione al bello, alla lettura e all’arte ha prodotto, tra gli altri scempi, spesso una classe dirigente e politica sempre più squalificata e desolante. Sono gli stessi assisi in Parlamento che ignorano quest’emergenza culturale, che non sanno chi abbia dipinto gli affreschi a loro intorno, e non capendoli se ne disinteressano. Come potrebbero dunque codesti “onorevoli” interessarsi a una rivalutazione in primis della Cultura? Fra la Cultura e la Politica si è creata quindi una tale separazione che chi si occupa dell’arte è ai margini della società, perché la Cultura è divenuta uno spazio ristretto, estraneo spesso anche alle istituzioni che ad essa dovrebbero essere dedicate. Più che di corrotti abbiamo una classe dirigente incapace di spendere correttamente il denaro a loro disposizione.

Sembra quasi che i giovani nelle scuole, vengano mandati a scuola di bruttezza, con testi mediocri e troppo cari per il loro vero valore, in una contemporaneità che non ha fatto altro che produrre cose orribili e con questo incubo ci si ritrova a convivere ormai per la maggior parte delle nostre giornate, mentre il Bello, anche nel gusto dei pochi colti resiste strenuamente grazie alla sopravvivenza della memoria.

Per comprendere la follia dei nostri giorni basterebbe porre mente a come invece furono pensate le città del Quattrocento e del Cinquecento. Il committente allora era il papa e le Signorie oppure i banchieri, ma in quei tempi il dialogo tra la Cultura e il potere era quello che s’instaurava tra un Michelangelo Buonarroti e un Giulio II e il suo risultato era una creazione artistica e architettonica, e dunque urbanistica, di altissimo livello. Questo perché la centralità della Cultura rendeva grandi i papi e gli imperatori, proprio perché altrettanto grandi erano gli artisti da essi sostenuti. Lorenzo Il Magnifico è sommo perché sommo è Sandro Botticelli al suo servizio.

Oggi invece fra chi esegue e chi commissiona l’opera d’arte, non esiste più rapporto né intesa, perciò non sapendo e non potendo più distinguere il bello dal brutto, viene chiamato il primo “creativo”, il primo architetto, pittore, scultore che, spinto dalle correnti politiche o dalle lobby, gli si consente di devastare in modo permanente una città con l’operato della propria ignoranza.

Il simbolo di questa civiltà orribilmente degradata viene direttamente dall’America con la Pop Art, che ha rinnegato ogni rapporto con il nobile passato dell’Europa ma ha rifiutato anche le avanguardie del primo Novecento, sostituendo così a Raffaello Sanzio e Giorgio De Chirico le insegne al neon, le lattine di zuppa di fagioli e le icone politiche o cinematografiche. Che Guevara è al posto del Cristo morto di Andrea Mantegna, il volto ripetuto ad libitum di Marylyn Monroe sostituisce quello della Vergine Maria.

E nessuno reagisce più a questo scempio, tanto ci siamo assuefatti a essere conquistati e dominati dalla sottocultura del Brutto, si consente di inscatolare l’Ara Pacis, di creare “nuvole” come palazzi ed erigere grattacieli falloidi laddove non hanno senso di esistere, in una guerra che non fa prigionieri e dove il nuovo che avanza, il moderno, vuole esclusivamente distruggere tutto ciò che odia di più: la nostra cultura e la nostra tradizione.

Ma pare che anche questa sia la civiltà, la democrazia, e avanti così verso un mondo unito sotto un’unica bandiera: quella del denaro e delle banche, dei giochi a premio e dei social network.

L’arte contemporanea – quella gestita e utilizzata per decenni dalla Sinistra – conduce invece nella direzione opposta ad un mondo che abbia rispetto per il Bello, con una sorta d’inversione che lascerebbe adito al dubbio che – anche in questo ristretto ambiente – siano ormai entrate in gioco altre “forze” non proprio umane e quasi certamente demoniche. Del resto non sarebbe la prima volta che ciò accade, la “guerra occulta” che si va combattendo da millenni, non conosce esclusione di colpi né di campo e il colpire un aspetto d’altissima importanza quale l’arte non è cosa da poco e può arrecare danni gravissimi a una società che si voglia definire “tradizionale”.

Una delle peggiori idiozie, derivata da un mal compreso senso di democrazia che attanaglia la società odierna, e voluto con ogni mezzo dalla Sinistra, è il pensare che chiunque possa fare qualunque cosa, ovvero che, di fatto gli uomini, essendo ritenuti dal pensiero giacobino “tutti eguali”, siano interscambiabili anche nelle loro attività. Ora, se chiunque può esercitare l’attività dell’assicuratore o del bancario o dell’impiegato al catasto o del muratore, ne consegue facilmente che chiunque possa anche fare arte o essere definito artista. Ecco perciò il proliferare d’improvvisati, d’autodidatti, di dilettanti che si presentano come artisti e si fanno vanto – anziché vergognarsene come sarebbe avvenuto in una qualunque altra civiltà di stampo tradizionale – di essere tali. Quest’“arte” fatta da chiunque, inverte così l’antico rapporto tra colui che crea e il suo pubblico, finendo per essere privilegio di pochi, esattamente al contrario di come avveniva un tempo quando gli artisti – pochi – creavano per tutti.

Il nostro tempo – segnato a fuoco da un’ideologia sinistra – è quello che privilegia il fare di chi fare non sa, impedendo in tal maniera d’operare a colui che invece saprebbe come agire “a regola d’arte”, perché l’arte implica regole che vanno conosciute e applicate prima di essere – eventualmente – infrante. Chi non sa fare il più delle volte rifiuta d’imparare, affetto da un’ipertrofia del proprio ego che urla lo slogan “né maestri né padroni”. È il trionfo luciferico, anzi satanico del self made man che tanto piace al capitalismo d’oltreoceano, ma anche alla più becera sinistra italiana e soprattutto ai radical chic, grazie ad alcuni esponenti politici che hanno retto e favorito il loro gioco.

Non a tutti è dato creare arte, così come non a tutti è stata consegnata l’attitudine a essere buoni genitori o eccellenti insegnanti, o grandi combattenti. Non esistendo più né Gilde né Corporazioni di Arti e Mestieri, tutti oggi possono dire d’essere artisti e “fare arte”, precipitando così la società in quel demonico anarchismo del “tutto è lecito” come ha ben delineato René Guénon insieme con altri pensatori in altri scritti.

L’arte fatta da chi non ne ha il diritto – perché proprio di “diritto” si tratta – è quella cosa che ha imposto ovunque la dittatura del Brutto, generando disagio e depressione diffusa tra le genti, non ha aumentato né il benessere psicofisico dell’uomo, né ha diminuito la violenza, anzi, molto spesso ha favorito la malattia psichica, sociale e la brutalità.

Questo perché mentre la Bellezza genera, trasmette, anche in maniera inconsapevole per chi vi è esposto, un influsso sottile e “positivo”, le cose brutte sono veicoli del male, del dolore e della follia. Un giardino all’italiana rende sereno chi vi passeggia, mentre percorsi lastricati di cemento, acuiscono il malessere di chi li attraversa, come avviene in certi quartieri delle nostre città e soprattutto nelle periferie abbandonate a loro stesse.

Ma tutto questo oggi importa sempre meno, ci si nasconde dietro i falsi miti creati soprattutto dalla Sinistra, come quello dell’”ecosostenibilità”, del “recupero delle zone urbane degradate” mediante l’arte, fatta appunto da quegli stessi che – non essendo artisti – contribuiscono ad aumentare malessere e caos.

Il nostro è un mondo morente, fatto di rovine che restano in piedi soltanto apparentemente e tra le quali, alcuni tra noi, ostinati, disperati, ma ancora vivi e vigili, continuano ogni giorno a volerci fare colazione brindando alla vita che non muore.

*Testo pubblicato per gentile concessione dell’Autore e già apparso, con il titolo La mano sinistra dell’arte, nel libro a cura di Italo Inglese “La sinistra ha fallito? Opinioni a confronto” (Edizioni Solfanelli, Chieti 2020 – www.edizionisolfanelli.it), alle pagine 51-57.

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