Dopo il Covid, quali i principi, le prospettive e la battaglia culturale della scuola?
GLI ATTORI PUBBLICI OCCUPANDOSI DI SCUOLA SI PERDONO NELLA DICOTOMIA PUBBLICO/PRIVATO SENZA RENDERSI CONTO CHE, IN MOLTI CASI, SI TRATTA DI ELEMENTI COMPLEMENTARI E NON SOSTITUTIVI
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Di Giuseppe Brienza
I lunghi mesi della crisi da Covid-19hanno visto, come ben sappiamo, la scuola italiana dimostrarsi fanalino di coda dell’intero panorama europeo. Nel nostro Paese, infatti, siamo stati i primi a chiudere tutti gli istituti di ogni ordine e grado, compresa l’università, per il lockdown (confinamento) e oltre, quindi a partire dall’ordinanza ministeriale del 23 febbraio del 2020, e gli ultimi a riaprire, si fa per dire, con le mille limitazioni di presenza, carenze logistiche e sproporzionate misure di “sicurezza” sanitaria imposte dal MIUR con l’avvio, il 14 settembre 2020, del nuovo anno scolastico 2020/2021.
Per ragionare in termini sintetici e generali di principi, prospettive e battaglia culturale relativamente al diritto/dovere delle famiglie e dei genitori italiani all’educazione e istruzione dei propri figli, vale la pena illustrare brevemente quali sono i principi che la Dottrina sociale della Chiesa (DSC) propone in materia di educazione e libertà scolastica.
Quindi possiamo sintetizzare l’insegnamento del Magistero sull’educazione, in prima generale approssimazione, ricorrendo ai due seguenti principi ribaditi appunto dalConcilio Vaticano II, ovvero:
– la famiglia è la prima scuola di vita cristiana e «una scuola di umanità più ricca» (Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 52);
– i genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli (Dichiarazione sull’educazione cristiana, Gravissimum educationis, 28 ottobre 1965, n. 3).
Il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 trae questa conseguenza dai due fondamentali principi della DSC prima detti (ovvero famiglia “prima scuola” umana e cristiana e genitori principali educatori dei figli): «i genitori hanno il diritto di scegliere per loro una scuola rispondente alle proprie convinzioni» (n. 2229). Sembra ovvio ma, anche in Italia, questo diritto-dovere dei padri e delle madri è contraddetto in radice dall’ingiustizia che li vede pagare, a differenza degli altri cittadini con figli, le tasse scolastiche due volte.
Anche nel Compendio di Dottrina sociale della Chiesa del 2004 troviamo espressi i due principi di fondo in materia educativa e viene sottolineata la necessità della collaborazione delle diverse agenzie educative. Esigenza sacrosanta perché, oggi più che mai, la famiglia isolata non può minimamente pensare di farcela a educare i propri figli e avviarli ad una scuola veramente umana e cristiana. Leggiamo quindi nel Compendio: «I genitori sono i primi, ma non gli unici, educatori dei lori figli. Spetta a loro, dunque, esercitare con senso di responsabilità l’opera educativa in stretta e vigile collaborazione con gli organismi civili ed ecclesiali» (n. 240). Questo vuol dire che ai genitori, secondo la DSC, non va precluso il diritto-dovere di auto-organizzarsi, ricorrendo persino all’istruzione domiciliare, chiamata in inglese home-schooling, altrimenti detta “scuola parentale”, che è svolta esclusivamente fra le pareti di casa o comunque in un “contesto domiciliare”. Si tratta, in taluni casi, di una soluzione “estrema” ma, in fin dei conti, diventata non troppo inconsueta anche da noi.
Il Compendio non cita espressamente l’home-schooling ma il principio che ne è alla base, e che è anche salutarmente contrario ad ogni impostazione statalista in ambito scolastico. Leggiamo: «I genitori hanno il diritto di fondare e sostenere istituzioni educative. Le autorità pubbliche devono far sì che “i pubblici sussidi siano stanziati in maniera che i genitori siano veramente liberi nell’esercitare questo diritto, senza andare incontro ad oneri ingiusti. Non si devono costringere i genitori a sostenere, direttamente o indirettamente, spese supplementari, che impediscano o limitino ingiustamente l’esercizio di questa libertà”» (n. 241).
È da considerarsi quindi una «ingiustizia», come la definisce il Compendio, il rifiuto di sostegno economico pubblico alle scuole non statali che ne abbiano necessità e rendano un servizio alla società civile (questo impone l’attuale monopolio scolastico dello Stato in materia scolastica), oppure gli intralci o le penalizzazioni all’home-schooling quando soggetto alle regole di base dettate dall’ordinamento costituzionale. Lo Stato, le Regioni, l’Unione europea o le altre istituzioni pubbliche, insomma, non potrebbero limitarsi, senza commettere una violazione di un diritto fondamentale, a “tollerare” esclusivamente le scuole cosiddette private oppure quelle parentali violandole o anemizzandole in questo modo progressivamente ma inesorabilmente.
Poi il Compendio della DSC inserisce giustamente il tema dell’educazione e della scuola nell’ambito dei diritti-doveri di partecipazione civica non solo dei genitori o delle famiglie, ma anche di tutti i cristiani. L’impegno sociale e politico del fedele laico in ambito culturale, infatti, assume oggi come prima direzione precisa quella «di garantire a ciascuno il diritto di tutti a una cultura umana e civile» (n. 557).
Anche chi non ha figli o non li ha in età scolastica, quindi, in obbedienza del comandamento dell’amore verso il prossimo, dovrebbe collaborare al diritto delle famiglie e delle persone ad una scuola libera, come afferma il Compendio, da «ogni forma di monopolio e di controllo ideologico». L’impegno per l’educazione e la formazione della persona, insegna infatti il Compendio DSC «costituisce da sempre la prima sollecitudine dell’azione sociale dei cristiani» (n. 557).
Un altro passaggio importante del Compendio, sempre riferito al rapporto scuola/famiglia, spiega chiaramente che la missione educativa esercitata da quest’ultima «contribuisce al bene comune e costituisce la prima scuola di virtù sociali, di cui tutte le società hanno bisogno» (n. 238). Rimanendo al “caso italiano”, però, va riscontrato che la famiglia non solo non è aiutata ma, per vari motivi, dobbiamo dire sia impedita all’esercizio della propria libertà di scelta educativa. E questo prima di tutto, ma non esclusivamente, per ragioni economiche.
Poi troppo spesso gli attori pubblici occupandosi di scuola si perdono nella dicotomia pubblico/privato senza rendersi conto che, in molti casi, si tratta di elementi complementari e non sostitutivi. Anzi, la scuola statale e quella non statale (questi dovrebbero essere, dal punto di vista tecnico, i termini da utilizzare), in una società complessa come l’attuale dovrebbero vieppiù essere considerate i due cardini istituzionali di un unico sistema che mira a soddisfare bisogni e necessità di primaria importanza. Difficilmente il sistema dell’istruzione potrà assolvere ai propri compiti, di fondamentale importanza per lo sviluppo del Paese, senza che i soggetti c.d. privati siano messi in condizione di superare questa crisi e continuare nel loro faticoso, incessante ma necessario lavoro. Da quanto detto, quindi, emerge la perfetta conferma di quanto affermato nel punto n. 238 del Compendio della DSC.
Il diritto che si dovrebbe riconoscere a tutti di essere formati e di vivere in una cultura umana e civile implica secondo il Compendio DSC «il diritto delle famiglie e delle persone ad una scuola libera e aperta» (n. 557). Quali sono allora i principali ostacoli a questo diritto nell’Italia di oggi?
Purtroppo la scuola italiana non è affatto né libera né aperta a tutti. Schiava è la Scuola Statale che paga la libertà con il controvalore dell’autonomia: i dirigenti scolastici non hanno alcuna autonomia per gestire la scuola … sono inchiodati alla burocrazia, zero autonomia, zero risorse; ricevono i docenti che a caso sono loro assegnati, non quelli richiesti; pertanto è facile scaricare su di loro e sui docenti i limiti gravissimi di un sistema, comunque fuori controllo dal punto di vista gestionale. Schiava è anche la Scuola Paritaria, che paga la concessione dell’autonomia con il controvalore della libertà: autonomi sono i dirigenti di fare una buona scuola, ma non sono liberi i genitori di sceglierla se non si paga, con la doppia imposizione (ovvero il costo della scuola statale con le tasse e quello della scuola paritaria con le rette), il “pizzo” della libertà. È questa doppia schiavitù che rende il sistema scolastico italiano di scarsa qualità perché iniquo.
La promozione del diritto-dovere all’istruzione degli studenti delle paritarie, quindi, costituisce a mio avviso la priorità della battaglia culturale nell’attuale situazione del Paese. Non è un caso che, per la prima volta nella storia d’Italia, le Scuole paritarie hanno tenuto il loro primo sciopero nazionale il 19 e 20 maggio 2020. Basteranno per l’organizzazione del nuovo anno scolastico le motivazioni e gli effetti del ricorso a questo inedito gesto politico e simbolico?
In Il Corriere del Sud, n. 6
anno XXIX/2020, p. 3