Fra un Dpcm e l’altro l’Italia continua ad inseguire i bagliori delle apparenze

Fra un Dpcm e l’altro l’Italia continua ad inseguire i bagliori delle apparenze

C’È GENTE CHE, A COLPI BASSI, DECIDE PER TUTTI, SI CONTENDE IL RUOLO MIGLIORE NELLA VITA, PENSA DI AVERE POTERE SU TUTTO E CHIUDE GLI OCCHI SULLA SOFFERENZA ALTRUI. SONO PERSONE CHE HANNO DIMENTICATO L’ESSENZIALE

Di Antonella Paniccia

Sarà Natale. Ma quante persone rivivono nel cuore il senso ed il significato di questa festa?

Quanti cristiani oggi riconoscono la divinità della nascita del Redentore, ne contemplano il mistero e la bellezza?

In questo tempo di smarrimento generale, tutto sembra cooperare all’oblìo della memoria:  ogni ricordo vissuto in famiglia, le tradizioni di una vita, la fede, l’espressione religiosa di una festa tanto attesa…

Ogni cosa viene impoverita e svuotata del suo senso autentico. Si decretano leggi per limitare gli accessi nelle chiese, si accendono polemiche per stabilire l’ora di nascita del Redentore, si proclama che per rendere culto a Dio basterà solo accendere il televisore di casa e assistere alla santa messa come si fa per uno spettacolo televisivo.

Questo è quanto ci lasciano intendere, questo è ciò che molti accettano. In tal modo, il diktat del pensiero universalmente corretto, il più insidioso dei virus che ci viene instillato quotidianamente attraverso telegiornali e social, colpisce al cuore e s’insinua nella mente di tanti che, pur inconsapevolmente, ripetono: “È per il nostro bene… se vogliamo salvarci dall’epidemia dobbiamo evitare di assembrarci in chiesa”. Come se solo in chiesa fosse in agguato il nemico, pronto a ghermirci con la sua pestifera virus-corona se solo osiamo mettervi piede, come se, fra tanti luoghi avesse scelto come luogo privilegiato i banchi della chiesa e l’altare per colpirci nella salute.

E se così fosse, ma è davvero improbabile vista la scarsa affluenza nelle chiese, davvero bisognerebbe interrogarsi sull’origine, sullo scopo del “nemico” così malignamente virus-coronato.

E poi… “se vogliamo salvarci”: ma siamo certi che il non andare a messa possa essere, in definitiva, la nostra via di salvezza? O è vero il contrario?

Intanto, fra un decretino e l’altro, restando col fiato sospeso perché “del diman non v’è certezza”, il mondo continua ad inseguire i bagliori delle apparenze e tutta l’umanità si rallegra solamente quando si illumina e si addobba a festa ogni città, ma non si rattrista alcunché quando viene oscurata la fede.

Così, fra l’indifferenza o l’impotenza di tanti, c’è gente che, a colpi bassi, decide per tutti, si contende il ruolo migliore nella vita, pensa di avere potere su tutto e chiude gli occhi sulla sofferenza altrui. Sono persone che hanno dimenticato l’essenziale. Un errore che noi, comuni mortali, non partecipi delle effimere glorie terrene, dobbiamo evitare di commettere.

Sarà Natale: allora non dimentichiamo che lo sarà per tutti. Ho visto, al supermercato, persone in fila alla cassa con i carrelli colmi di varietà di cibo per i cani e i gattini; ho visto, al banco dei salumi, una vecchietta chiedere il prezzo di un etto di mortadella e contare i centesimi nel borsellino prima di comprarla. Ho visto visi scavati, occhi infossati, abiti stracciati indossati da persone che sporgevano la testa dal loro rifugio di umidi cartoni sistemati per terra, accostati ai muri di via della Conciliazione: a Roma, in Vaticano, nel cuore del mondo! Gesticolavano, gridavano frasi senza senso, ossessivamente perché la fame non dà tregua: tutto avveniva fra l’indifferenza generale e sotto gli occhi delle forze dell’ordine che presidiavano la zona… ma nessuno si è preso cura di loro. Mi sono vergognata per ogni volta che, nella mia vita, ho pensato di avere delle difficoltà.

Ho sentito storie di uomini che hanno perso il lavoro, la casa, spesso anche la famiglia. Hanno perso tutto ma conservano intatta la loro dignità anche se dormono in nere tende appoggiate alle vetrine dei negozi chiusi. Ho ascoltato, in questi giorni tristissimi, racconti di persone stremate dalle difficoltà quotidiane. Ho colto anche la disperazione nelle parole di un anziano uomo, abbandonato dai parenti stretti, a cui non restano che due denti e una piccolissima pensione: ”Nessuno mi cerca, nessuno mi parla, né mi telefona, sono sempre solo in casa…io e la mia stufetta. Ma ogni mattina, appena mi sveglio, io ringrazio Dio di avermi regalato un nuovo giorno da vivere!”. Storie dolorose che non possiamo ignorare. Come non sentirsi coinvolti personalmente? In ognuno di quei racconti di dolore c’è nascosto un grido che vale per tutti, anche per me. Nella fame, nella sete, nel freddo, nella solitudine di quelle persone forse c’è anche la mia, la nostra colpa. Ogni richiesta accorata di aiuto, espressa o silenziosa che sia, oggi ci interpella, ci riguarda direttamente. Ho negli occhi l’immagine della parabola di Lazzaro, raccontata da Gesù“…coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe…”, così è scritto nel Vangelo. Ma Lazzaro fu poi consolato e il ricco invece fu nei tormenti. Come non pensare, dunque, che ogni persona è cara, è preziosa agli occhi di Dio perché ognuna è valsa il sangue di Gesù?

Basterebbe allora che ci prendessimo a cuore, almeno una volta, una delle tante situazioni che vediamo: un solo gesto, una parola, un sorriso, un solo pranzo…tutto ciò che sarà possibile fare per illuminare, riscaldare, salvare una vita dalla disperazione dell’abbandono.

Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?”. Un giorno, non sappiamo quando verrà, anche noi ci sentiremo dire: “Ero Io!”

Allora, carissimi, chiedo a me per prima, chiedo a voi tutti: quale Natale festeggeremo?

Quali auguri vogliamo scambiare? Io, personalmente, oso salutarvi così:

Non dite auguri perché la città è illuminata a festa se non sapete neanche chi è il festeggiato.

Non dite auguri se in casa c’è un bellissimo albero ma manca il presepe.

Non dite auguri se la vostra tavola è riccamente imbandita ma avete dimenticato di condividere il pranzo con vostro fratello anziano e solo.

Non dite auguri per festeggiare il Natale se vi sentite padroni di sopprimere agli albori una vita perché è scomoda da accettare.

Non dite auguri se decretate per legge a che età è opportuno togliere il disturbo: ricordate che a Natale si festeggia una vita che nasce e che ha dato la vita per ognuno di noi.

E ogni volta che diciamo “Auguri” sia per benedire, per aiutare, per soccorrere, per perdonare, per salvare.

Scrisse Emily Dickinson: “Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi non avrò vissuto invano. Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido non avrò vissuto invano”. Se anche noi faremo così, sarà il più bel Natale che avremo trascorso nella nostra vita.

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