Scoraggiare la proprietà privata danneggerà la società e le classi più bisognose…
Di Pietro Licciardi
Papa Francesco alcuni giorni fa ha rivolto un saluto e un discorso in un incontro virtuale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America che si è aperto il 30 Novembre 2020 sul tema “La costruzione della giustizia sociale. Verso la piena applicazione dei diritti fondamentali delle persone in condizioni di vulnerabilità”.
Il giorno dopo tutti i giornali, riportando stralci di quel discorso, hanno titolato che secondo il Papa la proprietà privata non è un diritto intoccabile, assoluto ed è in subordine alla destinazione universale dei beni.
Vediamo su questo argomento cosa dice la Chiesa.
Secondo il Catechismo della Chiesa cattolica al punto 2402 si ricorda che «Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell’umanità, affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i frutti (…) Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini, perché sia garantita la sicurezza della loro vita, esposta alla precarietà e minacciata dalla violenza. L’appropriazione dei beni è legittima al fine di garantire la libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui ha la responsabilità».
Al punto successivo (2403) si legge che «Il diritto alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo, non elimina l’originaria donazione della terra all’insieme dell’umanità. La destinazione universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo esercizio».
Inoltre «la proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della provvidenza; deve perciò farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti» (2404), mentre «i beni di produzione – materiali o immateriali –, come terreni o stabilimenti, competenze o arti, esigono le cure di chi li possiede, perché la loro fecondità vada a vantaggio del maggior numero di persone».
Riguardo alla destinazione universale dei beni il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa al punto 176 chiarisce che «mediante il lavoro, l’uomo, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e a farne la sua degna dimora: In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. È qui l’origine della proprietà individuale. La proprietà privata e le altre forme di possesso privato dei beni assicurano ad ognuno lo spazio effettivamente necessario per l’autonomia personale e familiare, e devono essere considerati come un prolungamento della libertà umana».
Il punto 177 chiarisce che «la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile: al contrario, essa l’ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell’intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell’uso comune, alla destinazione universale dei beni. Il principio della destinazione universale dei beni afferma sia la piena e perenne signoria di Dio su ogni realtà, sia l’esigenza che i beni del creato rimangano finalizzati e destinati allo sviluppo di tutto l’uomo e dell’intera umanità. Tale principio non si oppone al diritto di proprietà, ma indica la necessità di regolamentarlo. La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo».
Anche per questo motivo «la proprietà privata è elemento essenziale di una politica economica autenticamente sociale e democratica ed è garanzia di un retto ordine sociale. La dottrina sociale richiede che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti, così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari, ed esclude il ricorso a forme di “comune e promiscuo dominio” (177)
Un equivoco può sorgere, come ha spiegato Guido Vignelli in un suo intervento sull’Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale, se il diritto alla proprietà è considerato un diritto non assoluto né primario né originario ma solo «un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati», il quale invece è «un diritto naturale, originario e prioritario, il primo principio dell’intero ordinamento etico-sociale».
A parte l’errato paragone tra diritto e principio, due livelli non paragonabili, per Vignelli risulta evidente un conflitto tra il diritto (secondario) alla proprietà privata e quello (primario) all’uso comune dei beni, conflitto nel quale il primo deve sempre cedere al secondo.
Tuttavia, a rigore, un conflitto è possibile non tra due diritti (per giunta naturali) ma quando un fatto si oppone a un diritto che dev’essere assolutamente rispettato. Ciò rivela che papa Francesco, pur trattando della proprietà come diritto, da una parte tende a considerarlo come una pretesa astratta che deve cedere all’esigenze concrete del genere umano, dall’altra tende a ridurlo a un mero fatto, la cui cattiva distribuzione sociale impedisce il diritto all’uso comune dei beni. Infatti, egli afferma che il possesso di beni rimane tutt’oggi un privilegio riservato ad alcuni a scapito del diritto di tutti al comune uso dei beni. Il permanere dell’indigenza popolare sarebbe quindi dovuto alla mancata destinazione universale dei beni: «se qualcuno manca del necessario per vivere con dignità, è perché un altro se ne sta appropriando»; Affermazione questa storicamente dimostrabile come falsa.
Che la proprietà privata sia un diritto non assoluto ma relativo, è un’affermazione (falsamente) ovvia. Propriamente parlando, l’uomo ha un solo diritto assoluto: quello di poter conoscere, onorare, amare e servire Dio al fine di salvarsi l’anima; parallelamente, le società hanno un solo diritto assoluto: quello di poter servire Dio come Creatore, Legislatore e Redentore dell’umanità, al fine di favorire la salvezza eterna dei loro componenti. Questo diritto è assoluto semplicemente perché deriva dal dovere supremo dell’uomo: quello di fare la gloria di Dio.
Rispetto a questo unico diritto assoluto al sommo bene della vita eterna, tutti gli altri diritti umani sono relativi, anche quelli ai beni necessari alla vita terrena. Non solo il diritto alla proprietà, ma anche quelli al nutrimento, alla salute, alla dimora, al lavoro, alla famiglia e all’educazione, sono tutti diritti non assoluti ma relativi, perché non sono fini in sé ma sono solo mezzi utili per conseguire il fine supremo: fare la gloria di Dio salvandosi l’anima.
Che quello alla proprietà sia un diritto non primario e originario ma solo secondario e derivato, è (ovviamente) falso. Anche diritti importanti come quelli alla sicurezza, al benessere, allo studio, alla solidarietà, sono tutti diritti secondari perché presuppongono quelli primari (come quelli alla vita e al culto), sono tutti subordinati all’esigenze del bene comune della società e dipendono tutti dalle condizioni oggettive che li rendono possibili. D’altronde, l’esperienza storica dimostra che l’uomo può vivere anche privo di quei diritti secondari. Tuttavia, quei diritti umani non sono tutti eguali; tra loro esiste una gerarchia richiesta dalla loro diversa importanza e funzione.
Ad esempio, vi sono diritti teoricamente secondari ma praticamente primari, perché risultano concretamente indispensabili all’uomo per vivere degnamente e non solo sopravvivere miseramente. Di conseguenza, il diritto di proprietà, per quanto sia teoricamente secondario, è un diritto concretamente primario, perché rende possibili quelle citate condizioni sociali (famiglia, comunità, Stato) che permettono l’esercizio degli altri diritti secondari e, più in generale, è un principio che tutela l’ordine naturale della società.
Dire che la proprietà è una funzione sociale, come spesso si afferma, è erroneo; se così fosse, non esisterebbe diritto proprietario ma solo diritto a ricevere dalla collettività i beni di sussistenza, come pretende l’ideologia socialista. In realtà, la proprietà non è ma ha una funzione sociale, ossia la compie di per sé, non per imposizione esterna o per composizione d’interessi; per questo, normalmente, individui, famiglie, professioni e comunità hanno diritto ad acquisire quella proprietà privata che, oltre a permettere l’esercizio dei loro ruoli, adempie a una utilità sociale.
Il magistero sociale della Chiesa ha sempre avvertito che la destinazione universale dei beni si realizza normalmente mediante il loro uso sociale e questo si realizza concretamente diffondendoli sotto forma di proprietà privata; all’uso comune dei beni terreni «corrisponde l’obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata possibilmente a tutti» (Pio XII, discorso del Natale 1942). Per una destinazione universale dei beni dunque non è richiesta una dannosa rivoluzione che espropri e ridistribuisca i beni a tutti in modo egualitario, ma solo una prudente riforma delle forze produttive (lavoro, imprenditoria, finanza) in modo ch’esse possano ordinatamente assicurare il bene comune della società.
Se invece, col pretesto di assicurare un’astratta destinazione sociale dei beni, si scoraggia o s’impedisce la concreta proprietà privata, il risultato non sarà una migliore distribuzione dei beni e dei servizi, ma anzi una loro penuria e inefficienza che danneggerà la società e particolarmente le classi più bisognose.