Pio XI, il Papa della “Pace di Cristo nel Regno di Cristo” e l’enciclica sociale Quadragesimo Anno

Pio XI, il Papa della “Pace di Cristo nel Regno di Cristo” e l’enciclica sociale Quadragesimo Anno

Di Don Gian Maria Comolli*

Pio XI, Achille Ratti, fu Papa dal 1922 al 1939 e, attorno al suo motto “Pax Christi in Regno Christi”, si collegano tutte le iniziative che caratterizzarono il suo Pontificato.

La “Pace” nella libertà e il “Regno” nell’apostolato era il binomio sempre presente con coraggio nel Magistero di Papa Ratti.

Quando la pace istaurata da Cristo “in terra” non era sostenuta da “uomini di buona volontà”, era minacciata da regimi politici atei che oltre che privare le popolazioni della libertà, subordinavano la persona allo Stato.

Indicative sono le tre lettere encicliche della quaresima del 1937: la “Mit brennender Sorge” (Con viva preoccupazione), del 14 marzo, redatta in tedesco per la bruciante preoccupazione nei confronti della Chiesa di Germania dove imperavano i metodi totalitari del nazionalsocialismo, del razzismo e dell’antisemitismo, la “Divini Redemptoris” (19 marzo), che denunciava il comunismo che spogliava l’uomo della libertà e del principio spirituale togliendo alla persona ogni dignità e, infine, la “Firmissimam constantiam” (28 marzo), scritta in spagnolo (“Nos es muy conocida”), perché diretta ai messicani, vittime di un feroce totalitarismo statale. Il loro generale Plutarco Elias Calles amava dichiarare che il governo può e deve entrare nelle coscienze e prenderne possesso.

L’altra caratteristica del Pontificato di Pio XI fu la diffusione del “Regno di Cristo”. Per questo si compiaceva di essere indicato come il “Papa delle missioni”, poiché alla propagazione della fede dedicò un’intensa attività. Fu una guida sicura e un condottiero energico, tenace nel lavoro e nello studio, persona di ampia cultura aperta al progresso scientifico, sacerdote di profonda e sobria pietà.

Per favorire “la pace di Cristo”, che è anche concordia sociale che nasce da intese e da trattative, il pontificato di Papa Ratti è caratterizzato da una rigogliosa fioritura concordataria: undici concordati e tre accordi. D’interesse per noi è il Concordato con il Regno d’Italia, firmato l’11 febbraio 1929, che ha posto fine a una lancinante situazione che durava dal 1870. Nel 1931, a quarant’anni dalla Rerum Novarum e con il mondo immerso nella “Grande Depressione” causata dal crollo di Wall Street a seguito della sovra-produzione, della catastrofica speculazione borsistica e da mutamenti economici che influivano pesantemente sull’ordine sociale, Pio XI scrisse l’enciclica sociale “Quadragesimo Anno” (“Quarant’anni dopo” dalla famosa enciclica di Leone XIII). Questo documento fu promulgata il 15 maggio 1931 ed è suddiviso nelle tre seguenti parti: I frutti dell’enciclica Rerum Novarum; L’insegnamento sociale ed economico della ChiesaLe profonde trasformazioni economiche avvenute dopo l’epoca di Leone XIII.

L’Enciclica è il secondo grande pilastro dell’insegnamento pontificio moderno in materia sociale, che passa dalla questione operaia evidenziata da Leone XIII a quella socio-economica. Pio XI ritiene errore fatale la separazione dell’etica dall’economia, ciò che purtroppo avviene anche oggi avendo appreso ben poco dagli errori del passato. Quando un sistema economico idolatra il denaro e umilia la persona, gli uomini e le donne sono trasformati in strumenti di quella logica definita da Papa Francesco “dello scarto” che genera profondi squilibri. Ma esaminiamo ora le tre parti dell’Enciclica.

Nella prima parte il Pontefice, riflettendo sui positivi frutti della Rerum Novarum, evidenzia nuovamente il ruolo delle associazioni e dei sindacati a fianco dei lavoratori. Auspica quindi che “i lavoratori cristiani stringano tra loro associazioni secondo la varietà dei mestieri” (n. 31) e incoraggia i sindacati cattolici poiché in mancanza di questi i fedeli sarebbero “costretti ad iscriversi a sindacati neutri” (n. 35).

Nella seconda parte sono trattati molteplici temi. Anzitutto il diritto di proprietà (cfr. nn. 44-52), riconosciuto legittimo ma non bene assoluto; il rapporto tra capitale e lavoro (cfr. nn. 53-60); l’innalzamento del proletariato e l’accesso alla proprietà (cfr. nn. 61-64) e, infine, il giusto salario (cfr. 65-76). Per quanto riguarda il “giusto salario” l’enciclica indica tre criteri: il sostentamento del lavoratore e della sua famiglia; la situazione dell’azienda e il bene comune. In questi tre parametri è presente il tema  della “cogestione”, cioè il coinvolgimento dei lavoratori nella conduzione, nei programmi produttivi e infine nei profitti dell’impresa. Questa prospettiva, ovviamente, richiama molteplici argomenti tra cui la responsabilità d’impresa. Davvero interessante è questa intuizione, attuale anche oggi, dell’inserimento del dipendente nel sistema di lavoro da protagonista, cioè partecipe e responsabile.

Le conseguenze della crisi del 1929 non furono solo economiche, ma riguardarono anche la politica che incrementò l’intervento pubblico, quindi l’ingerenza dello Stato nella vita economica e nella tutela sociale, tentazione anche odierna. Affermava in proposito Papa Ratti: “si è quasi estinta l’antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso di associazioni diverse; ora restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato” (n. 79). Da qui l’importanza del principio di sussidiarietà: “È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima venivano eseguite anche dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo un principio importantissimo della filosofia sociale. Non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che le minori e inferiori comunità possono fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle” (n. 80).

Nella terza parte Pio XI si addentra nelle profonde trasformazioni avvenute dopo l’epoca di Leone XIII e, in particolare, sulla questione del potere egemonico assunto dal capitale con le sue funeste conseguenze motivate dalla “sete insaziabile di ricchezze e di beni temporali” (n. 132). Afferma il Papa: “I facili guadagni, che l’anarchia del mercato apre a tutti, allettano moltissimi allo scambio e alla vendita, e costoro unicamente agognando di fare guadagni pronti e con minima fatica, con la sfrenata speculazione fanno salire e abbassano i prezzi secondo il capriccio e l’avidità loro, con tanta frequenza, che mandano fallite tutte le sagge previsioni dei produttori” (n. 132). Propone quindi come soluzione la cristianizzazione della vita economica (cfr. n. 135), il recupero dei costumi morali (cfr. n. 137) e l’applicazione sociale della legge della carità (cfr. n. 138). In questa parte è presente, inoltre, il totale rifiuto del comunismo e forti critiche al socialismo chiarendo che “socialismo religioso e socialismo cristiano sono termini contraddittori: nessuno può essere buon cattolico ad un tempo e vero socialista” (n. 120).

 

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