Ben 400 mila italiani attendono di conoscere l’identità della madre che li ha messi al mondo
Di Anna Arecchia*
Il Comitato nazionale per il Diritto alle origini biologiche, di cui sono presidente, è nato a Napoli nel 2008 per far valere il diritto a oltre 400.000 cittadini italiani non riconosciuti alla nascita, nati cioè dal cosiddetto parto anonimo, affinché possano conoscere l’identità della madre che li ha messi al mondo.
Oggi si parla molto di questo diritto ma, quando circa venti anni fa sono nati su Internet i primi contatti tra persone adottate che manifestavano lo stesso disagio e lo stesso desiderio, quello di sapere da chi erano stati generati, sembrava che si stesse parlando di persone fuori dal mondo, per le quali anche il solo riconoscersi sotto la terribile dicitura “nato da N.N.”, richiedeva grande coraggio.
Il nostro palesarci ha inteso rinnegare quel tabù, nel quale eravamo stati relegati, con la squalificante dicitura di illegittimi.
Pertanto, solo il coraggio di decine, poi centinaia, poi migliaia di persone che sono venute allo scoperto, prima nascoste dietro pseudonimi (io per prima non ebbi inizialmente la forza di presentarmi con la mia identità), poi manifestatesi con il loro nome reale, ha fatto sì che si potesse iniziare a parlare quasi normalmente di chi, meno fortunato, non era stato riconosciuto dalla propria famiglia d’origine.
La stessa adozione, salvezza per noi piccoli sfortunati lasciati in un brefotrofio, è stata vissuta per la stragrande di noi, oggi età media cinquant’anni, come qualcosa da nascondere e di cui era vietato parlare in famiglia. Era il segno dei tempi.
Nel giro di 10 anni siamo però riusciti a farci conoscere, a portare all’attenzione, non senza fatica, dei media ma soprattutto della Corte Europea per i diritti dell’Uomo, della nostra Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione il nostro diritto e così, con sentenze della Cedu nel 2012, della Consulta nel 2013, delle Sezioni Unite di Cassazione nel recente 2017, abbiamo ottenuto il tanto sperato abbattimento dell’anonimato a vita.
Le Pronunce di queste Supreme Corti hanno riconosciuto l’incostituzionalità della norma che prevedeva di non poter mai conoscere l’identità della Madre che ci aveva generato, o, di conoscerlo “solo” dopo 100 anni dal parto, come modificato dal Codice sulla privacy nel 2003.
Una ingiustizia anche per le stesse madri, alle quali veniva negata la possibilità di potersi ri-esprimere su una scelta effettuata tanti anni prima e per motivi decisamente dolorosi.
Il riconoscimento della Magistratura, non ha, tuttavia, messo fine alla discriminazione di cui siamo vittime.
Dal 2013 i 29 Tribunali per i minori d’Italia si sono lentamente adeguati ad applicare le Sentenze, non senza difficoltà, come via via abbiamo avuto modo di constatare.
Non notiamo ancora omogeneità nel loro agire e, a fronte di Tribunali assolutamente virtuosi, ci scontriamo con lentezze burocratiche che rallentano la conoscenza dell’esito e, molte volte, rischiano di dare risultati, paradossalmente, qualche mese dopo la morte delle madri, donne ormai anziane, che poi, il più delle volte, si sono rivelate alla ricerca dei loro figli, senza sortirne notizia alcuna, non essendo loro diritto poterne avere. Oltre al danno, la beffa. La ricerca di una vita, da ambo le parti, spesso si conclude col dover depositare solo un fiore su una tomba.
In ogni caso, mentre la Magistratura si adeguava al nostro sentire, uniformandosi anche con i regolamenti già da tanti anni in atto in Europa, il nostro Comitato ha preteso, dal 2008, poi richiesto dalla stessa Consulta nel 2013, che fosse il Parlamento a riconoscere, quale legge dello Stato, il diritto alla conoscenza delle proprie origini.
Ci siamo resi, così, promotori di diverse proposte di legge che, dalla XVI Legislatura hanno iniziato a far riflettere sul tema.
Ma nel 2008 i tempi non erano ancora maturi e i primi disegni di legge, dopo un tiepido apparire nelle Commissioni di Camera e Senato, non hanno sortito alcun interesse. Ci abbiamo riprovato nella scorsa Legislatura e, dopo tanta insistenza e passione da parte nostra ed un ampio lavoro delle Commissioni, il 18 giugno 2015 è stato approvato, quasi all’unanimità dalla Camera, il disegno di legge 784.
Passato al Senato con il numero 1978, dopo ampia discussione in Commissione Giustizia e audizioni di tutte le parti coinvolte, purtroppo non è approdato in Aula perché fino all’ultimo giorno della Legislatura continuavano a mancare atti fondamentali del Governo. Una mancanza quasi sicuramente voluta.
Il nostro lavoro è stato enorme, infaticabile, non nascondiamo che abbiamo dovuto informare centinaia di Parlamentari che erano assolutamente all’oscuro delle norme che vietavano l’accesso alle origini, ma, soprattutto, abbiamo dovuto operare per molti di essi, a una vera e propria “conversione”, in quanto essi stessi ancorati a pregiudizi popolari, rispetto ai quali non era mai sopraggiunto un reale confronto con i diretti interessati.
Abbiamo incontrato Parlamentari commossi che, al racconto delle nostre storie, hanno innocentemente ammesso di non essersi mai soffermati sul problema. Tutti, comunque, ci hanno dichiarato di essere pienamente d’accordo ad approvare la nuova norma.
Così non ci siamo arresi e nel giugno del 2018 abbiamo consegnato ai Senatori Pillon e Urraro la bozza di un nuovo disegno di legge, arricchito e migliorato rispetto ai precedenti, privo di tutte le criticità che, negli anni, avevamo ulteriormente analizzato.
Assegnato e annunciato in sede redigente della Commissione giustizia l’11 dicembre 2018 con il numero 922, solo la scorsa settimana, dopo due anni di giacenza in Commissione, è stato sottoposto all’Ufficio di Presidenza per poterne iniziare i lavori, ma non ha accolto la maggioranza dei voti.
Trattato in Commissione per chiederne a maggioranza l’incardinamento, è stato bocciato con una votazione di 9 a 9 che, nonostante la parità, per un regolamento del Senato non ne ha consentito l’approvazione.
Unanime è stato lo sdegno di tutto il nostro Comitato, concordando con la nota stampa dei Senatori Pillon e Urraro che hanno dichiarato: “Con un voto vergognoso 9 a 9 la maggioranza di governo ha rifiutato di incardinare il disegno di legge sulla ricerca delle origini biologiche presentato dai senatori Francesco Urraro e Simone Pillon. In questo modo migliaia di persone, oltretutto in questo tempo di pandemia in cui molti anziani ci stanno purtroppo lasciando, resteranno deprivate del loro diritto di conoscere i loro genitori biologici e magari della possibilità di dare loro un abbraccio. Anche la Corte Costituzionale aveva auspicato l’intervento del legislatore su questo tema. Troviamo pertanto inspiegabile e arrogante questa decisione, di cui si portano la responsabilità il Partito Democratico, il Movimento 5 stelle, Italia Viva e Leu”.
Tra i commenti del nostro Comitato, emblematico quello della vicepresidente Emilia Rosati: “Vorrei guardarli in faccia uno per uno, i componenti della Commissione giustizia (g volutamente minuscola) che oggi hanno votato per non incardinare la proposta di legge sul DIRITTO ALLE ORIGINI BIOLOGICHE. Come a dire ‘Non se ne parla neanche’. Vorrei cercare di capire, dal loro sguardo, cosa pensano, se pensano – cosa sanno, se sanno – come interpretano il proprio rappresentare il paese, se lo rappresentano – e, se da quelle parti si gioca una battaglia navale contro il nemico di turno oppure si guida una flotta per il bene comune, come dovrebbe essere. Vorrei chiedere che valore ha per loro una Sentenza della Corte Costituzionale, come quella del 2013, additiva di principio, cioè che dispone che il Parlamento modifichi la legge 184/83 laddove questa non ammette la reversibilità dell’anonimato materno. Vorrei guardarli in faccia uno per uno, e immaginare chi li abbia votati e perché. Indipendentemente dal colore, o dalla bandiera, perché un diritto umano non ha colore e non ha bandiera, se non quella dell’Umanità. Vorrei solo dire loro che oggi non hanno colpito e affondato uno o più rivali, ma la giustizia stessa, e la speranza, la redenzione, la vita intima di quattrocentomila cittadini. Vorrei solo dire VERGOGNA”.
E pensare che servirebbe davvero poco, perché la nuova discussione potrebbe avvalersi delle numerose audizioni, raccolte in un ampio dossier, già effettuate a Magistrati, a Presidenti di Tribunali per i Minori, alle Associazioni di figli adottivi e di genitori adottivi, al Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche e ad altri eminenti esperti del settore, durante la trattazione di questo tema nella scorsa Legislatura.
Sicuramente il disegno di legge sarà riproposto in Commissione Giustizia, ma credo che una visibilità da parte di testate giornalistiche quale monito a questa miope attenzione dei nostri Parlamentari, possa sicuramente agevolare le nostre speranze.
* Presidente Comitato nazionale per il Diritto alle origini biologiche