La politica è strettamente congiunta alla morale, ma molti non lo comprendono…

La politica è strettamente congiunta alla morale, ma molti non lo comprendono…

 

Di Alessandro Cortese, Alessandro Beghini*

Il secondo di due seminari di approfondimento sul tema Uomo e bene comune in Tommaso d’Aquino, organizzati dall’Associazione Doctor Humanitatis, sezione di Verona della Società Internazionale Tommaso d’Aquino (SITA). ha avuto come relatore il prof. Daniele Trabucco, professore associato di Diritto costituzionale comparato e Dottrina dello Stato presso l’Istituto INDEF di Bellinzona (Svizzera) e professore a contratto di Diritto Internazionale presso il Campus universitario Unimedia di Milano, che ha trattato della concezione della politica e della giustizia nell’Aquinate.

Tommaso d’Aquino definisce la politica come una scienza attiva, e non fattiva, avente come fine quello di dare un’organizzazione agli uomini, funzionale a far sì che essi possano dare seguito alle loro inclinazioni. Pertanto essa appartiene all’ordine dei mezzi, il cui fine è favorire lo sviluppo delle virtù di ciascuno in modo armonico con gli altri, con i quali l’uomo è portato a vivere assieme in quanto ha una natura sociale.

Per san Tommaso dunque la politica è strettamente congiunta alla morale.

Per lui la politica ha un valore educativo, c’è una paideia politica, come si può vedere nel De regno adregem Cypri, libello incompiuto indirizzato al giovane re di Cipro.

In questa opera egli delinea una cultura politica per educare il re all’arte del governo. L’Aquinate afferma che la politica, intesa come arte funzionale a dare ordine a una comunità, è una necessità, dal momento che senza un governo, una comunità si sfalderebbe, cadendo nell’anarchia dove ognuno pensa soltanto al proprio interesse, aprendo la strada al soggettivismo etico.

È una scienza e un’arte necessaria per il bene della moltitudine, di cui il re deve essere consapevole. La responsabilità di governo che il re si deve assumere ha come fine il bene della moltitudine, ossia realizzare una comunità politica che favorisca lo sviluppo della dimensione sociale dell’uomo che lo porta a vivere insieme agli altri in modo armonico.

Il bene della moltitudine è anche la realizzazione da parte di chi ha il compito del governo della giustizia, fine fondamentale della politica, che ha come conseguenza la pace.

La giustizia è quella situazione di uguaglianza e armonia tra le parti di una comunità che perfeziona le attitudini della volontà conformi alla legge naturale.

Secondo san Tommaso “è compito proprio della giustizia, fra tutte le altre virtù, di ordinare l’uomo nei rapporti verso gli altri. […] Le altre virtù perfezionano l’uomo soltanto nelle sue qualità individuali che riguardano lui stesso” (S. Th., II-II, q. 57). Le leggi sono positive se spingono gli uomini a comportamenti virtuosi che attuano la giustizia commutativa e distributiva.

Alla domanda su cosa spinga gli uomini riuniti in una comunità a ritenersi obbligati a obbedire a leggi che comandano comportamenti virtuosi, la risposta del grande santo è che tutti vogliono la felicità. È nella volontà umana, anche se inespressa, tendere naturalmente al fine ultimo che è la felicità (che in ultima analisi è la visione eterna di Dio), e per questo occorre agire virtuosamente, ossia secondo l’ordine del Creatore.

Se possiamo definire la politica il mezzo e la giustizia il fine, il potere politico deve rispettare la verità della natura umana, senza pretendere, come è stato tentato, di ricostruirla. La scienza politica per san Tommaso non costruisce gli uomini.

Questo implica il riconoscimento di una legge naturale che permette il passaggio dal piano naturale a quello legislativo, a differenza di quanto fa la corrente del positivismo giuridico per il quale la giustizia e la politica sono fondate sulla volontà di chi detiene il potere in un dato momento storico; ma questo significa cadere nell’arbitrio della volontà umana, sia singola (il sovrano assoluto) sia della maggioranza secondo la procedura di tipo democratico. Per il Dottore Angelico, e in generale per il giusnaturalismo classico, il passaggio dall’essere al dover essere avviene sul piano dell’essenza, ossia il fine è già scritto nella natura.

Il reale non va concepito come un essere statico, ma come un essere in movimento, nel quale già si può scoprire un dinamismo, come si dice nel Minosse platonico quando si parla della legge come di euresis, di una scoperta. Oggi la concezione predominante del potere politico ha dimenticato questa prospettiva, e non a caso ha come retroterra culturale una visione immanentistica (lo Stato come il “dio mortale” secondo Thomas Hobbes). Ma chi nega il diritto naturale abbandonando la prospettiva come quella di Tommaso, sta dicendo, in modo evidentemente contraddittorio, che è indifferente essere e non essere quello che siamo. Per sostenere il diritto naturale occorre allora recuperare un fondamento metafisico trascendente, che fondi razionalmente l’etica e la politica, colmando anche le lacune di quelle posizioni precarie sorte in ambito cattolico come il personalismo. In conclusione Tommaso d’Aquino è da riscoprire non solo da parte dei cattolici, ma anche da tutti gli uomini, perché ci interroga su come stiamo esercitando il potere.

Per poter rivedere il video del Seminario basta andare sul sito internet dell’Associazione Doctor Humanitatis Verona: doctorhumanitatis.eu

*Società Internazionale Tommaso d’Aquino –Doctor Humanitatis Verona

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