Riprendiamoci l’identità perduta: solo la “Pax Christi in Regno Christi” raddrizzerà il mondo!

Riprendiamoci l’identità perduta: solo la “Pax Christi in Regno Christi” raddrizzerà il mondo!

Di Matteo Castagna

Nella prefazione del mio secondo libro, appena uscito e intitolato “Pensieri ereticamente corretti”, scritto con l’Avv. Gianfranco Amato e con il Prof. Daniele Trabucco per quelli della Flamingo edizioni dell’Università di Bellinzona, il Prof. Avv. Augusto Sinagra ci definisce “testimoni di Verità”.

Vuole essere un’affermazione che renda al meglio il compito che, come studiosi, in parte eterogenei e professionalmente differenti, ci siamo presi nel nostro impegno pubblico. Trasmettiamo agli altri ciò che abbiamo ricevuto dalla nostra formazione, che si basa su una solida conoscenza della Religione Cattolica, di matrice aristotelico-tomista.

Fonte d’ispirazione non può che essere il grande scrittore G.K. Chesterton, che all’inizio del secolo scorso già scriveva un saggio, dal titolo “Eretici”, ove si poneva in contrapposizione con il pensiero debole della sbornia delle teorie antinazionali, che sono soprattutto anticristiane, per stabilire che solo nella Croce di Cristo e nella tradizione esistono le risposte alle crisi, alle difficoltà, alla confusione, al caos generato dalle forze tenebrose del Male. Anche Chesterton immaginava un “1984” in stile orwelliano.

All’inizio de “Il Napoleone di Notting Hill”, Barker pranza con un bizzarro personaggio incontrato per la via, l’ex- Presidente del Nicaragua, cacciato dal suo paese dai repubblicani. Questi introduce nel romanzo il primo accento del sentimento patriottico incarnato poi da Adam Wayne, dando agio a Barker, sempre caloroso sostenitore dello status quo, di magnificare il bizzarro sistema politico che Chesterton si diverte a immaginare in vigore cento anni dopo i suoi tempi: un sistema dove la carica del Re è elettiva, e l’elezione viene eseguita estraendo a sorte da un elenco alfabetico di cittadini.

Si evitano così i brogli elettorali, sostiene Barker. Ma il presupposto più profondo della sua arringa di difesa è che non ha alcuna importanza chi sieda sul trono: perché le leggi della politica sono quelle che sono, e non c’è chi possa cambiarle, chiunque sia il Re, il paese andrà avanti come sempre. Il Re è così potenzialmente un despota assoluto, ma in realtà una sorta di segretario universale, inchiodato dalla grigia ineluttabilità delle leggi del mondo. Il mondo che Auberon e Wayne scardineranno è infatti interamente rattristato dalle catene impostegli dal determinismo. Chesterton immagina che, a causa e come conseguenza della ubriacatura di teorie rivoluzionarie, il popolo non chieda che un po’ di quiete, e sfiduciato continui a fare ciò che ha sempre fatto, perché non c’è motivo di fare altrimenti (tanto che la polizia è ridotta al minimo, e le uniche armi che ci siano in circolazione per combattere – giunto il momento – sono le picche di stampo medioevale che Quin ha introdotto come ornamento).

La descrizione del mondo come potrebbe essere ottant’anni dopo la stesura del romanzo nasconde invece alcuni giudizi degni di nota. Il primo è che per cambiare occorre qualcosa che venga da fuori, qualcosa di divino, un ideale; l’inglese medio che Chesterton situa in questo suo futuro immaginario, non ha più ideali, né la capacità di pensarli, né l’energia di aderirvi.

Proprio le teorie rivoluzionarie, essenzialmente il socialismo, hanno ottenuto questo risultato, poiché negavano la libertà, la responsabilità individuale e proclamavano come l’evoluzionismo l’ inevitabilità della vittoria. Noi, oltre al socialismo, che oggi si è fuso nella cosiddetta “area liberal” perché ha fatto comunella con il liberalismo, abbiamo oggi una realtà peggiore, perché la secolarizzazione ecclesiale così come, ad esempio, l’ha descritta Mons. Carlo Maria Viganò nella recente lettera aperta al Presidente Donald Trump, va a peggiorare il nichilismo politico e sociale, che è frutto di 300 anni di relativismo, che ha ucciso ogni verità oggettiva, naturale, soprannaturale, morale, nel mare delle opinioni d’egual valenza ed importanza.

Morta la verità, oggi tutto è soggettivo, quindi limitato e limitante. Morta la verità, muore anche l’afflato ideale. Paradossalmente anche la voglia di pensare e di realizzare un’idea viene meno perché la vita quotidiana è solo un tran tran monotono di automatismi in cui l’idolo è il materialismo, di cui la globalizzazione è espressione di massima voracità, aiutata dal mondialismo che è l’ecumenismo delle diversità, utile a dire che siamo tutti uguali, anche se è falso.

Da dove nasce la debolezza, la mancanza di solidità di Barker? Non è che gli manchino intelligenza o volontà (è un uomo ambizioso, e non c’è ambizione senza forza di volontà). Ciò che manca al politico, che è anche sempre, in Chesterton, un aristocratico, se non di nascita, di sentire, è l’ancoraggio alla Verità, alla tradizione. Chiuso nel mondo, privo di un trascendente al quale consegnarsi, le sue convinzioni sono in balia degli eventi. Non avendo un punto di vista assoluto, escatologico, non ha un criterio stabile con cui giudicare: egli non può cambiare il mondo, perché può cambiare il proprio ideale. Coincidendo con il proprio ideale, Adam Wayne può solo trasformare il mondo per adeguarlo ad esso, stare o cadere con esso, per usare le sue stesse parole. Avendo un ideale mutuato dal mondo, Barker lo cambia, seguendo il mondo. Proprio per questo mai riuscirà, invece, a cambiare il mondo.

Sganciato dalla tradizione, l’uomo si consegna alla moda. La mentalità che Barker abbraccia alla fine è più ragionevole, più a misura d’uomo, più allegra, colorata e gioiosa; ma si tratta di un caso, o meglio dell’esito dell’azione del patriota, cui egli non ha contribuito per nulla, di cui è una sorta di vittima, per quanto di una vittima felice. E’ la sua mancanza di fede che consegna Barker irrimediabilmente alla sconfitta.

“Dall’inizio del mondo moderno, nel XVI secolo, non c’è sistema filosofico che corrisponda veramente al senso del reale di tutti; al quale, se abbandonati a sé stessi, gli uomini comuni darebbero il nome di senso comune. Ciascuno comincia con un paradosso; un punto di vista particolare che richiede il sacrificio di quello che si può chiamare un sensato punto di vista. Questo è l’inizio comune di Hobbes e Hegel, Kant e Bergson, Berkeley e William James.

L’uomo deve credere in qualcosa in cui nessun uomo normale crederebbe, se venisse proposta improvvisamente alla sua semplicità; come, per esempio, che la legge è superiore al diritto, o che il diritto è fuori della ragione, o che le cose sono soltanto come noi le pensiamo, o che ogni cosa è relativa a una realtà che non è qui. Il filosofo moderno pretende, come una specie di uomo di fiducia, che una volta consentitogli questo, il resto sarà facile: egli raddrizzerà il mondo, non appena gli sarà concesso di storcere così il nostro cervello”. (GKC, San Tommaso, pag. 122).

Ci stiamo arrivando. Molti ci sono già arrivati. Chi non vuole “storcere il suo cervello” capirà che solo la “Pax Christi in Regno Christi” potrà raddrizzare il mondo. Per capirlo deve fregarsene del giudizio dei non credenti, deve superare il senso di inferiorità messogli dal laicismo imperante, deve cavalcare la tigre della tradizione per riprendersi l’identità perduta.

 

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